La Rubrica online “Piazza Navona” è felice di ospitare ancora una volta lo scrittore livornese Enrico Pompeo e di raccontare del suo ultimo romanzo “Nessuno ha dato la buonanotte” (MdS Editore). E non perdete l'”Incontro con l’Autore”!
La trama
L’adolescente Teresa e i suoi genitori Linda e Giorgio sono i componenti della famiglia protagonista di Nessuno ha dato la buonanotte di Enrico Pompeo. Una famiglia piccolo borghese come tante: una madre e donna in carriera, un padre che cerca di realizzarsi da solo ed è ha la possibilità di avviare la propria carriera all’estero e una figlia, Teresa, nel pieno di quella fase adolescenziale dove non si è bambine ma nemmeno donne. Eppure la giovane si sente tale, capace di conquistare e di avere una relazione con il suo maestro di tennis che la aiuta anche nello studio. Una famiglia come tante. Almeno apparentemente. Con i suoi alti e bassi. Però, qualcosa viene meno e questa famiglia, pagina dopo pagina si sgretola. I suoi componenti percorrono ciascuno la propria strada, perdendosi. La famiglia apparentemente felice cade letteralmente a pezzi costringendo i suoi componenti a guardare e a guardarsi in faccia prima di un reciproco abbandono senza ritorno. Come riusciranno Teresa, Linda e Giorgio a ricomporre il puzzle ormai frantumato in mille pezzi delle loro esistenze e del loro nucleo familiare?
Sul libro
Nel novembre 2021 la Mds Editore pubblica l’ultimo romanzo di Enrico Pompeo, scrittore e docente livornese, dal titolo Nessuno ha dato la buonanotte inserendolo nella Collana “Cattive strade”.
Alcuni dei nostri lettori, forse, ricorderanno di Enrico Pompeo che la Rubrica online “Piazza Navona” ha avuto il piacere di ospitare nel 2019 per raccontare del suo libro Scritti (s)connessi, la raccolta di racconti classificatasi al quarto posto nella sezione “Racconti” alla prima edizione del Premio Letterario Nazionale “EquiLibri”. Quindi, per noi, oggi non può che essere un gran piacere rinnovare questo incontro e tornare a parlare della scrittura e della nuova creatura di Enrico Pompeo.
Si legge nell’incipit del meraviglioso Anna Karenina di Lev Tolstoj: Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece infelice a modo suo. Ecco: credo questo sia un ottimo punto di partenza per comprendere il senso e avere un esauriente riassunto di Nessuno ha dato la buonanotte. Non si vuole scomodare la grande letteratura russa per fare paragoni o cercare similitudini anche perché per qualunque Autore sarebbe una partita impari, ma questa frase del celebre scrittore russo è perfetta per il nostro “caso”. Dimostra quanto la famiglia da sempre nella letteratura sia al centro di (quasi) ogni vicenda e di come il suo assetto sia così labile, così delicato quasi quanto un castello di carte o di un oggetto realizzato con il più pregiato e fragile cristallo. Essi risultano splendidi e solidi all’apparenza ma basta un tocco, un soffio per farli cadere a terra e frantumarli in mille pezzi.
Nessuno ha dato la buonanotte è esattamente questo: il racconto di una famiglia all’apparenza solida, forte, unita, sufficiente a se stessa. Padre, madre e figlia. Lavoro, carriera, studio, sport, amicizie, vacanze… nulla sembra mancare. In apparenza, appunto. Pagina dopo pagina, però, Enrico Pompeo zooma in modo implacabile ma onesto su ciascun componente di questo gruppo di famiglia in un interno. Ed è così che il lettore ne scopre mancanze, problemi, tradimenti, invidie, silenzi, bugie… Pian piano la famiglia va in pezzi, si (auto)distrugge, implode per poi lasciare brandelli di sé tutto intorno al suo mondo.
Enrico Pompeo è stato molto bravo nell’impostare la storia, la sua struttura e quella dei suoi protagonisti. Dei vinti. Tre persone unite da un legame eccezionale come quello della famiglia ma, in realtà, si scoprono essere tre estranei. Ognuno con la propria vita, i propri segreti, i propri silenzi. Tutto questo creerà degli inevitabili muri che solo una tragedia, un’esplosione emotiva può buttar giù per tentare di (ri)costruire un equilibrio, una sana cinta muraria ma di difesa non di separazione.
Tutto questo Enrico Pompeo lo narra nelle circa duecento pagine di Nessuno ha dato la buonanotte. Senza critica, senza giudizio, senza sedersi sullo scranno di un giudice. Al contrario, l’Autore pur onnisciente e onnipresente diviene strumento e mezzo della sua stessa scrittura e della sua storia fungendo da intermediario tra la pagina (e la vicenda) e il Lettore. Pompeo, infatti, grazie al racconto di questa famiglia riesce a creare una sorta di dialogo, di relazione con il suo pubblico il quale può reagire agli eventi che travolgono e stravolgono questa famiglia come meglio crede e desidera. Ma senza interferire, senza influenzare. Il Lettore è libero quanto lo sono Teresa, Linda e Giorgio. Liberi di schiantarsi contro la vita e il fallimento di una famiglia. E altrettanto liberi di scegliere di (ri)cominciare e di (ri)prendere dal punto preciso in cui la comunicazione si è letteralmente interrotta.
Ed è così che Pompeo accende un faro bello luminoso anche sulla crisi odierna e contemporanea della famiglia e sui suoi meccanismi interni. Un vasto capitolo riguardo il quale tanto c’è da dire e da raccontare, soprattutto in questo particolare momento storico e sociale.
Nessuno ha dato la buonanotte, così, senza alcuna pretesa da parte dell’Autore ma grazie alla sua onestà, alla sua scrittura così limpida ma anche incalzante e, all’occorrenza, con un ritmo quasi vorticoso può divenire, per chi lo desidera, un gran buon spunto di riflessione. In ogni caso, utile.
In fondo, anche dirsi semplicemente buonanotte è un ottimo inizio per ricominciare un dialogo e (ri)unire la famiglia. Non importa che sia perfetta. Importa che sia sana.
Incontro con l’Autore
Come è nata l’idea di Nessuno ha dato la buonanotte?
L’idea è nata in seguito a una sensazione profonda di malessere che avvertivo ogni qual volta leggevo o ascoltavo i resoconti di cronaca relativi a casi di violenza domestica, familiare. Rimango, ancora oggi, colpito dal fatto che persone che conoscono bene questi soggetti violenti rimangano sorpresi, increduli e quasi sempre queste testimonianze si concludono con queste parole: “è una persona normale. Anzi, educata. Dava sempre il buongiorno.” Ecco, ho cercato di raccontare cosa può annidarsi nella ‘normalità’ di così scuro e potente da trasformarla in una dimensione aggressiva, violenta. Dominata da una rabbia silente che quando arriva a saturazione, esplode.
Dalla fase di ideazione a quella di stesura: qual è stato il passaggio più complesso? E perché?
Sicuramente quello della costruzione dei personaggi. Questa è una storia fortemente realistica, verosimile, pur se spinta verso derive accentuate. Il punto era dare spessore ai caratteri, per sviluppare, nel lettore, un processo di identificazione, anche se verso personalità disturbate, capaci di compiere azioni negative e, in alcuni casi, riprovevoli. L’intento è stato quello di spingere a farsi domande: quanto di questo nero è anche dentro di noi? Come fare per riconoscerlo e controllarlo, impedendogli di uscire e travolgere il tutto. E di stimolare, quindi, empatia verso personalità fragili, insicure e perciò più facili a sbagliare. Cercare di comprendere e non di giudicare.
Per la creazione di questo gruppo di famiglia in un interno da cosa ha tratto ispirazione?
Sicuramente dalla realtà, dall’attualità, purtroppo spesso segnata da episodi di violenza. Ma non solo: essendo un lettore accanito, ci sono stati libri che mi hanno dato delle suggestioni. In particolare, l’opera di Kent Haruf, scrittore statunitense, pubblicato in Italia da NN, che racconta, con estrema chiarezza e linearità, le vicende di Holt, una cittadina immaginaria del Colorado. Vite di tutti i giorni, insomma. Poi film, canzoni. Come sempre, nel mio lavoro, è stato prezioso il contributo delle opere di Fabrizio De André, in particolare dell’album Volume VIII° e del brano ‘Canzone per l’Estate’, che racconta la parabola esistenziale di un uomo che, quasi senza accorgersene, precipita in un’apatia e in una conseguente crisi nervosa, tanto da arrivare a chiedersi. “Com’è che non riesci più a volare?”.
Tra i protagonisti del suo romanzo vi è anche un professore innamorato del tennis e autore dei suoi stessi libri. Da Autore a personaggio: qual è il ruolo più complesso da (man)tenere?
Questa è, veramente, un’ottima domanda! Non che quelle prima non lo fossero, intendiamoci, ma qui si va a toccare una questione per me molto importante. Nei miei libri pubblicati, questo è il quarto, ho sempre inserito me stesso. Una comparsata, niente di più. Sempre in una versione caricaturale, preso in giro dai protagonisti della storia. Questo espediente mi serve per liberarmi dal racconto.
Quando si scrive, almeno a me succede così, a un certo punto i personaggi diventano parte della tua vita: ci parli, ti ci confronti, ti accompagnano e li senti più reali di chi ti circonda. Per uscire da questo meccanismo psicologico pericoloso, che può portarti a isolarti e a desiderare di vivere nella finzione più che nella quotidianità, ho bisogno di mettermi io stesso lì dentro, per confermarmi che è un’invenzione. Per osservare il proprio lavoro da una giusta distanza. Quindi, per me, il difficile è non scivolare nell’attrazione della creazione, che è un processo di liberazione dai propri demoni interiori, ma può diventare un abisso, se diventa unico spazio di autenticità e riconoscimento.
Nel romanzo Linda e Giorgio (marito e moglie) hanno scontri assai violenti. Perché ha scelto di indirizzare il racconto verso una riconciliazione e non verso una forte presa di posizione da parte della donna offesa e lesa?
Anche questa è una riflessione molto interessante e calzante. Linda e Giorgio sono, entrambi, personaggi ossessionati dalle proprie aspettative: lui vuole dimostrare agli altri di essere un vincente, lei di valere più di lui. Questa competizione, taciuta, ma costante, inizia a incrinare il loro rapporto, ma soprattutto il rispetto di se stessi e della propria identità. Diventano sempre più proiezioni di desideri, che persone. Ed è questo che impedisce loro di volere davvero bene a sé stessi e di poter scegliere di staccarsi l’uno dall’altra e ricominciare. Il groviglio di malintesi, di incomprensioni è così intricato che, per scioglierlo, ci vuole un gesto netto, chiaro, che, però, può essere fatto da una personalità che ha un giusto equilibrio con se stessa. Loro, ancora, non ci riescono, anche se, verso il finale, forse, cominciano a comprendere i propri errori. E direi che non c’è una vera e propria riconciliazione, ma piuttosto una possibilità, un’opportunità. Anche questa è una situazione che ho preso dall’attualità: quante donne aggredite aspettano, indugiano prima di staccarsi dal compagno? Sicuramente c’è un problema sociale e culturale enorme, il fatto di sentirsi abbandonate dallo Stato, non protette adeguatamente, l’idea, malsana, di sentirsi un po’ in colpa. Tutto, purtroppo, esistente e da condannare. Però, a volte, c’è anche un aspettare che è figlio di una difficoltà, a volte economica, ma molte altre esistenziale, a scommettere su se stesse, sulla possibilità di ricominciare. Ecco, volevo lanciare, anche qui, un invito a riflettere. Occorre amare se stessi prima di rivolgersi all’amore di un’altra persona. Altrimenti si parte già svantaggiati.
In Nessuno ha dato la buonanotte viene anche citato un verso di De André. L’amore per il cantautore genovese quanto influenza la sua scrittura e la sua ispirazione?
Tantissimo. Da Faber ho imparato e continuo a imparare costantemente. La spinta a non giudicare, ma a cercare di comprendere; l’attenzione verso gli ultimi; la necessità di provare a calarsi sempre nei panni dell’altro; ecco, questi sono solo alcuni dei suoi insegnamenti. Non dico di riuscire a metterli in pratica, ma, almeno ci provo, nella vita e quando scrivo. In questo libro ho cercato di raccontare una famiglia come tante, che si perde a contatto con un mondo che ci chiede di essere sempre al massimo, condizione impossibile da raggiungere, ma se uno non ha questa consapevolezza, si sente inadeguato, sbagliato e crolla, finendo per scaricare la frustrazione in rabbia o depressione.
E quando finisco una pagina, o un capitolo, mi chiedo cosa ne penserebbe De André, se lo leggesse. Forse è per questo che correggo moltissimo e non mi sento mai sicuro. Questo romanzo, per dire, ha avuto dieci revisioni, di cui due complete riscritture!
Come già accaduto con Scritti (S)Connessi e Il Drago, il Custode e lo Straniero, molto alta e profonda è la sua attenzione per gli adolescenti. Come scrittore, professore e uomo quanto è importante riuscire a instaurare un dialogo con i nostri ragazzi?
Direi che è imprescindibile. Fondamentale. In questo libro, come in precedenza, d’altronde, la speranza, la possibilità di un riscatto è nelle mani degli adolescenti, in questo caso di Teresa, la figlia tredicenne. Personalmente non ho una buona opinione degli adulti. Chiaramente in questo contesto mi metto anche io stesso. Non abbiamo saputo opporci a un progressivo smantellamento dei diritti e della salvaguardia nei confronti dei più deboli. Il nostro è un mondo profondamente ingiusto. La speranza sono i giovani e il nostro compito è avere il coraggio di raccontare loro i nostri errori per evitare che ci possano cadere dentro di nuovo. Non è facile, anzi, ma è l’unica via. Da insegnante alle scuole medie ho il privilegio di poter osservare gli adolescenti da vicino e pur con tutte le storture che essi subiscono dal contesto, credo che ci sia speranza e possibilità di un futuro migliore.
Oggi, secondo lei, quanto è importante la famiglia? E quale deve essere il suo ruolo?
La famiglia è essenziale. In fondo è la cellula primaria di ogni società. Il punto è che negli ultimi trent’anni questa realtà è cambiata, radicalmente, ma molti non sono stati in grado di adeguarsi a queste trasformazioni e anche per questo, spesso, è lì che si annida il germe della violenza, della distruzione. L’essere umano è lento e ci mette molto più tempo della realtà ad accogliere le diversità. Che, per fortuna, siano diversi i rapporti tra uomo e donna, che si stia superando una mentalità maschilista e retrograda, è evidente, eppure ci sono molte resistenze e spesso queste tracimano in violenze, purtroppo spesso incontrollate. Che ci sia più libertà sessuale e di genere è altrettanto riscontrabile, ma ci sono forze reazionarie che si oppongono a questa evoluzione. Il problema sta in questa diversa velocità di adeguamento, che crea tensione e paura. Occorre essere aperti e disponibili, tanto determinati processi vanno avanti comunque e non rendersene conto è solo controproducente e dannoso per chi cerca di fermarli. Ed è necessario tornare al dialogo, continuo, ininterrotto. Uscire dalla logica dello scontro di forze, della lotta per il dominio. Una comunità, piccola quanto si vuole, funziona se tutti gli elementi vengono coinvolti nella sua costruzione. Altrimenti si aprono delle crepe quasi impossibili da risanare.
Nessuno ha dato la buonanotte ha uno stile molto asciutto, quasi cinematografico. Ha pensato di realizzare un cortometraggio?
Sono contento che lei lo abbia notato. L’idea era proprio quella di raccontare quello che succede come se fosse visto da una cinepresa invisibile, una sorta di occhio che mostra il non detto, il lato nascosto delle cose, la parte oscura. Ho ricevuto alcune proposte. Le sto valutando. Credo che sarebbe uno sviluppo più che naturale. Avremmo già anche il tema per la colonna sonora. Un cantautore, Maurizio Bigongiali, dopo aver letto il libro e averlo apprezzato, ha scritto un brano, dal titolo “Affollata solitudine”, che farebbe proprio al caso. Vediamo cosa succede. Il punto è trovare un progetto serio, con partner affidabili e competenti. Se dovesse andare in porto, sarà mia premura avvisarvi in anteprima. Promesso!
Quali sono gli Autori e le opere che hanno formato e influenzato il suo essere lettore e scrittore?
Mi sembra un’impostazione, ancora una volta, eccellente! Non si può scrivere se non si è grandi lettori. Per me questo è un assunto importantissimo. Sarebbe come avere la pretesa di diventare un giocatore professionista e non allenarsi. Leggo, infatti, di media quattro o cinque libri al mese, tutti di narrativa, alternando classici a racconti o romanzi contemporanei, italiani e stranieri. Solo così si può affinare e migliorare il proprio stile e trovare la propria voce. Detto questo, posso aggiungere che i miei Maestri, i miei punti di riferimento costanti, ai quali guardo come fonte d’ispirazione, senza nessuna pretesa o velleità di paragoni sono, in ordine sparso, De André, Dostoevskij, Calvino, Fenoglio, Pavese, Tondelli, Fitzgerald, David Foster Wallace. Tra le scrittrici: Virginia Woolf, Elsa Morante, Jesmin Ward, Aimee Bender. Tra i contemporanei apprezzo molto Naspini, scrittore e amico, pubblicato da e/o, la mia casa editrice preferita. Mi permetto di segnalare che curo due rubriche di recensioni sulle riviste Azione Nonviolenta e Offline, nelle quali offro consigli di lettura.
Quali sono i suoi prossimi progetti professionali ed editoriali?
Sto lavorando sulla scrittura teatrale. Ho fatto la drammaturgia di uno spettacolo dedicato a Faber, chiamato La Cattiva Strada che è stato in tournée dal 2017. Ho poi collaborato alla stesura del copione di Corea, una questione di geometrie, un lavoro su un quartiere popolare di Livorno, città in cui vivo e sulla figura di Don Nesi, sacerdote ed educatore di prim’ordine, amico e compagno di banco di Don Milani. Inoltre sto terminando l’adattamento teatrale di Nives, libro di Naspini. Oltre a questo curo incontri e presentazioni di scrittori e scrittrici, tra le quali una formula interessante è quella dei pranzi con l’autore: in un ristorante, un tavolone con sedici persone a sedere e un autore che illustra e parla del suo lavoro, stimolato dalle domande di un moderatore e dei presenti. Organizzo, poi, seminari residenziali sulla scrittura e l’editoria presso l’Agriturismo Montevaso, struttura ricettiva per laboratori sull’arte e la comunicazione. Dal punto di vista della scrittura, nel computer ho tre libri conclusi, già passati sotto due revisioni. Mi sembrano pronti. Sono molto diversi l’uno dall’altro, ma mi danno l’impressione di essere autentici e urgenti. E anche un po’ coraggiosi. Che è ciò che cerco di esprimere quando scrivo. Aspetterò un altro po’ di tempo, darò un’altra lettura e, se convinto, cercherò di trovare la casa editrice giusta per ognuno di loro.
Vi ringrazio per l’attenzione e la disponibilità.
Un caro saluto a tutti e tutte.