La Rubrica online “Piazza Navona” è felice di presentarvi Opus Two, il nuovo album di Piero Gaddi Quartet feat. Bjørn Solli e prodotto da nusica.org. Musica, idee, suoni in perfetto equilibrio tra sperimentazione e tradizione.
Lo scorso 18 giugno è uscito il nuovo album di Piero Gaddi realizzato con la partecipazione di Bjørn Solli prodotto da nusica.org Il progetto musicale riprende e continua il precedente Opus One del 2020 mantenendone e approfondendone idee, suoni, intento e atmosfere grazie all’apporto e alla presenza del chitarrista Bjørn Solli.
Quella di Piero Gaddi Quartet feat. Bjørn Solli è una musica che evoca differenti paesaggi e molteplici sensazioni cercando di sfruttare l’intera tavolozza timbrica e dinamica a disposizione. Un crossover che inaugura connessioni tra generi e culture differenti, in costante equilibrio tra sperimentazione e tradizione.
In questa prospettiva, il lavoro compositivo messo in atto in Opus Two mira a dar vita a organismi sonori via via sviluppabili in maniera anticonvenzionale, nell’utilizzo di codici comunicativi – intellettuali ed emozionali – riconoscibili dall’ascoltatore, in un continuo percorso di ‘immersione’ e conoscenza. Ogni pezzo ha la sua storia perché pensato come organismo vivo, autonomo, con regole a sé stanti. Per tale ragione, talvolta si conservano tracce della forma canzone, ma più spesso la costruzione del brano tende a discostarsi da essa per imboccare strade differenti, lasciando al materiale generativo la scelta della propria evoluzione.
I nove brani compongono l’album appaiono così tasselli di un mosaico cangiante, tracce dai titoli evocativi (Transeunte; Il Linchetto; In quieto; La pioggia; Bye bye Boris, Rosa di Francia; Inverso; La legge; Il tempo volato) chiamate a comporre un mix di suggestioni e motivi svincolanti dal mero contenutismo in un viaggio ipnotico al confine tra i generi.
Incontro con Piero Gaddi
Come è avvenuto il suo incontro con la musica?
In casa c’era un vecchio pianoforte, un incontro inevitabile. Non ho mai pensato di suonare altro che il pianoforte, un amore a prima vista.
Come nasce il progetto musicale di Opus Two?
Attraverso i quattro anni di lavoro con questo quartetto sono nate gradualmente le idee che lo compongono, pensate per questa formazione. Nella scrittura e progettazione mi sono preso molte libertà, così ogni brano ha una sua spiccata personalità e una sua ragione d’essere. Spesso l’improvvisazione è solo una delle cose che compongono il brano, non sempre la più importante.
Cosa può raccontarci della sua collaborazione con Bjørn Solli?
Ci siamo incontrati sul palco nel 2017 nel gruppo di Ivan Mazuze, un artista di world jazz che stimo molto. Poi gradualmente abbiamo scambiato idee e partiture ed è nata la nostra collaborazione che ormai va oltre il puro fare musica ma è una amicizia preziosa. Siamo musicisti molto differenti ma ci rispettiamo e completiamo a vicenda. Non è sempre facile tra un pianista e un chitarrista. Bjørn si è dimostrato molto soddisfatto del nostro ultimo lavoro.
Opus Two è il “sequel” dell’album Opus One. Cosa accomuna e differenzia questi due album?
In Opus One ci sono brani che amo molto ma nel nostro secondo lavoro sento una profondità di suono e un interplay migliore che esprimiamo al meglio nei nostri “live”. Vi è una linea comune che sta nella ricerca di un scrittura che raccolga influenze anche molto differenti, dal jazz, alla musica colta, alla musica etnica, al rock. Senza preclusioni o barriere. Un vero e proprio crossover che i musicisti sanno interpretare con il necessario equilibrio stilistico. Sono tutti musicisti di grande sensibilità e cultura e la mia musica non riuscirebbe né a decollare né a toccare l’anima del pubblico senza di loro.
In Opus Two sperimentazione e tradizione trovano il loro equilibrio. Come è riuscito in questa magia musicale?
Non ne ho idee chiare al riguardo, credo che sia dovuto al fatto che sono incondizionatamente aperto sotto il profilo musicale. Anche se jazz prende buona parte del mio tempo, suono ed ascolto anche molta musica da camera, sinfonica, elettronica, sperimentale…
Quale viaggio ha compiuto dalla tradizione al jazz?
Ho scelto di suonare jazz non perché sia la musica che più mi piace ma perché è sicuramente quella che più si adatta al mio temperamento musicale.
Quali sono i musicisti, le canzoni, i generi musicali che hanno influenzato il suo “fare musica”?
Posso citare solo alcuni dei musicisti dai quali ho imparato qualcosa: tra i classici Bach, Mozart, Debussy, i maggiori operisti italiani; poi Peter Gabriel, I Beatles, Joni Mitchell, Sting, tra gli italiani l’ultimo De André e Fossati. Per venire al jazz: Coltrane, Davis, Shorter, Pastorious, Zawinul, Monk, Bill Evans, Jobim, Mingus, Kenny Wheeler, Pat Metheny. Ma la lista sarebbe molto molto lunga.
I brani che compongono il suo album ci permettono di compiere un viaggio anche sensoriale. Quali contaminazioni ha la sua musica? E quale vuole essere il suo messaggio?
Il crossover di cui parlavo sopra non ha particolari preclusioni stilistiche jazz, musica colta, pop, rock, etnica. Le idee si sviluppano utilizzando gli stilemi che ritengo più adeguati. Non c’è per me un messaggio unico ma piuttosto una multiformità di messaggi diversi. “Apertura” è il messaggio principale, insieme a “comunicazione”.
Qual è il brano musicale che avrebbe tanto voluto comporre e suonare?
Questa è un a domanda molto difficile: uno di questi potrebbe essere “Choro pro Zé” di Guinga.
Quali sono i suoi prossimi progetti professionali e musicali?
Un progetto originale in trio: flauto, sax ed elettronica tra Svezia ed Italia, con l’amico Galante e Mikael Godee. Un lavoro da progettare a quattro mani con Ivan Mazuze. Vorrei anche fare un progetto rivolto alla musica popolare, forse in trio. Tante cose molto differenti, spero di avere tempo ed energia sufficiente per realizzarle.