La Rubrica online “Piazza Navona” è lieta di ospitare la poetessa jesina Francesca Innocenzi e di parlarvi della sua silloge “Canto del vuoto cavo” (Transeuropa Edizioni). Naturalmente non perdete l'”Incontro con l’Autrice”!
La trama
Canto del vuoto cavo è l’ultima silloge della poetessa jesina Francesca Innocenzi. 60 brevissimi componimenti che seguono lo stile e la metrica dell’haiku giapponese e delle sue varianti (haiku doppi e tanka). Versi rapidi, puri, puliti, privi di qualsiasi artificio – stilistico e personale – attraverso i quali l’Autrice dice la propria sulla società e il mondo circostante denunciando senza giri di parole le loro contraddizioni, bellezze, incertezze. Così, Canto del vuoto cavo diviene non solo un riflesso del nostro presente ma anche il tentativo di dare un senso e un peso al vuoto cavo che naturalmente gli appartiene.
Sul libro
Nel 2021 Transeuropa Edizioni pubblica nella Collana “Nuova Poetica” la silloge di Francesca Innocenzi dal titolo Canto del vuoto cavo.
Si tratta di una piccola raccolta (circa 64 pagine) di 60 componimenti elaborati secondo la metrica dell’haiku giapponese. L’Autrice, in particolar modo, si concentra su 40 senryu doppi ovvero 40 haiku doppi (tenendo conto che ogni haiku è composto di tre versi qui ne troveremo sei) e 20 tanka formati da cinque versi. Ma questa esilità editoriale e metrica non deve affatto indurre in inganno. Canto del vuoto cavo, infatti, è quanto di più lontano può essere in apparenza. È una silloge sincera, schietta, scarna ma incisiva, libera da qualunque orpello o vezzo stilistico, priva di un ego che fagocita le parole e il loro senso. Eppure la presenza della scrittrice jesina è presente ma non ingombrante regalando al suo Lettore la pulizia e la semplicità del verso che fanno da contraltare al senso profondo e all’essenza del loro significato. La Innocenzi, così, servendosi di poche essenziali parole – come richiesto dalle metriche haiku – è assai generosa nel raccontare con la precisione e la determinazione quasi chirurgica il mondo cui essa appartiene e ci circonda. E lo fa senza risparmiare critiche ed elogi, pensieri e convinzioni, dubbi e naturali incertezze. Al suo centro vi è questo intento: scoprire ma anche custodire il verso senso del vuoto che inevitabilmente accompagna noi e la nostra epoca fatta di presenze virtuali e reali sempre più distratte e distanti per i motivi e le ragioni più disparate. Ma i suoi versi divengono anche denuncia, protesta, manifesti, tentativi di raccontare una realtà diversa, pura e semplice marcandone il suo vuoto, la sua pienezza e le sue mancanze:
i mantenuti
dallo Stato negli hotel
con cellulari
costosi – gabbie
di sproloqui sui mondi
che non si sanno
L’Autrice non manca anche di affrontare l’argomento Covid mostrando un’idea e anche una posizione ben chiare nella loro essenzialità dedicando un componimento anche al difficile periodo del lockdown:
c’è coprifuoco
sul davanzale. vita
tracima dentro
fuoco di stanza, stella
che dal tumulto chiama
In tal senso, Canto del vuoto cavo diviene anche una sorta di atto di coraggio dell’Autrice che si pone domande a confronto con tematiche attuali ed esistenziali a volto scoperto senza temere di affermare e affermarsi.
Non mancano anche particolari omaggi come il doppio haiku dedicato a Ingeborg Bachmann, la scrittrice e poetessa austriaca conosciuta anche con il nome di Ruth Keller scomparsa a Roma il 17 ottobre 1973 a seguito delle pesanti conseguenze fisiche derivate da un incendio da lei accidentalmente appiccato nella sua casa di via Giulia:
l’indicibile
das Unsägliche, resta
scritto nel mare.
dalla tua piuma
il dire di te suona
afona voce
Come si può notare dagli esempi riportati in questo articolo, i componimenti di Francesca Innocenzi sono privi di titoli, di maiuscole, non viene usata la prima persona e con una scarna punteggiatura. Inoltre, non mancano incursioni linguistiche latine, inglesi, tedesche, francesi, greche… facendo sì che i versi si aprano ancor di più verso l’esterno e verso l’altro. Forse, l’Autrice in questo modo desidera rendere ancora più forte e comprensibile il suo canto. Forse, chissà, l’Autrice attraverso queste “inclusioni linguistiche” desidera riempire, colorare e animare quel vuoto cavo che, silenzioso, ci gravita attorno nella sua dualità: come isolamento e come terreno fertile di opportunità e possibilità. Anch’esso, come i versi della Innocenzi, va osservato da vicino, compreso e vissuto nella sua interezza.
Incontro con l’Autrice
Come è avvenuto il suo primo incontro con la Poesia?
Un saluto a tutti e grazie mille per l’opportunità!
I miei esordi poetici sono certamente legati ad una certa atmosfera presente in famiglia. Scrissi la mia prima poesia all’età di sette anni, a quel tempo non conoscevo ancora i versi di mio padre. Solo più tardi, quando avevo quindici anni, lui pubblicò la sua prima raccolta, che apprezzai molto; probabilmente questo fatto fu all’origine di una stagione particolarmente prolifica per me: quell’estate scrissi tante poesie.
Perché ha deciso o scelto di dedicarsi prevalentemente a componimenti brevi?
È presente in me un’esigenza di essenzialità, dovuta in parte al fatto che per natura tendo alla sintesi, in parte legata a miei percorsi di studi, dall’epigramma antico al primo Ungaretti. E vi ha certamente contribuito anche la scoperta della poesia giapponese, appunto lo haiku. Infatti i componimenti di Canto del vuoto cavo sono stati classificati come haiku. Oggi trovo però fuorviante definirli tali, poiché dello haiku c’è, appunto, poco: lo schema metrico, come anche la tendenza ad evitare l’uso della prima persona. Ma, in tutto il resto, vi è assoluta libertà. E la natura resta sullo sfondo, ha un ruolo assolutamente marginale.
Qual è la difficoltà maggiore che ha riscontrato nella costruzione (stilistica ed emotiva) dei suoi componimenti?
La costruzione di questi testi è risultata piuttosto fluida. Una difficoltà generale, per me, sta nel rispettare rigorosamente le regole metriche, perché tendo ad utilizzare liberamente sinalefe/dialefe e a preferire versi non canonici.
Come nasce il progetto editoriale di Canto del vuoto cavo?
Si può dire che la raccolta sia nata come progetto editoriale: dal momento in cui sono iniziati a scaturire questi versi, con una loro identità e caratteristiche precise, ho capito da subito che avrebbero costituito un libro. Quando poi li ho sottoposti alla casa editrice Transeuropa, mi è arrivato quasi subito un riscontro positivo, con la proposta di farne una plaquette.
Nella sua raccolta centrale è il concetto di vuoto inteso come spazio da riempire ma anche come mancanza. Per lei, cos’è il vuoto?
Il vuoto può essere più cose insieme. È lacuna e mancanza, quindi percezione dolorosa, che però può rivelarsi spazio fertile di nuove possibilità; una sorta di catarsi, di rinascita. Per me il vuoto è la solitudine, temuta e amata, che ha segnato la mia adolescenza, come pure la vertigine agorafobica degli attacchi di panico. Nel libro c’è anche questo. C’è, in generale, l’attitudine a dotare il vuoto di uno spessore ontologico: di qui l’impiego di un aggettivo qualificativo nel titolo, o l’attribuzione di un colore, come in un particolare componimento della silloge.
Quale vuole essere il messaggio della sua poetica?
Credo che in questa epoca in cui si è perso il senso dell’essere collettività, la poesia possa fare molto, incentivando riflessioni scambievoli e condivise, portatrici di significati profondi. È quindi un invito alla riscoperta del simbolo, a spingersi oltre quanto è immediatamente fruibile, a coltivare l’arte del tempo e della pazienza.
Scrive poesie, romanzi, saggi… in quale stile e genere letterario sente di essere più a suo agio? E perché?
In realtà la scrittura non dovrebbe metterci a nostro agio, ma farci sentire scomodi quel tanto che basta da spingerci a tirar fuori qualcosa di buono. In generale, mi piacerebbe dedicarmi di più alla narrativa e anche alla saggistica, ma non so se potrà avvenire in un prossimo futuro.
I suoi componimenti hanno per titolo il primo verso delle stesse poesie. A cosa si deve questa scelta?
In Canto del vuoto cavo molte volte il titolo è proprio assente, e questo è un tratto di fedeltà – in realtà involontario – alla poesia haiku; quando il titolo c’è, è scritto in corsivo tra parentesi quadre, per puro gusto personale, e fornisce di solito una chiave di lettura del testo.
Nei suoi versi c’è anche una sorta di contaminazione linguistica. È un modo per riempire simbolicamente un vuoto?
In diversi testi ricorro a vocaboli di altre lingue: l’inglese, il francese, il tedesco, ma soprattutto il latino e il greco antico; idiomi, questi ultimi, che amo particolarmente, in special modo il greco. Una lingua è sempre una casa in cui abitare; in questo modo, cerco altri spazi, altri possibili luoghi di esistenza della parola. Quindi la contaminazione linguistica può essere senza dubbio un modo per riempire un vuoto comunicativo tra umani.
Quali sono gli Autori e le opere che hanno formato e influenzato il suo essere lettrice e scrittrice?
In questo momento mi vengono in mente: García Márquez, Nietzsche, Ingeborg Bachmann, Ungaretti, Strindberg, i lirici greci. Questi sono autori e autrici che ho amato (ne tralascio sicuramente molti altri). D’altronde le influenze che si subiscono, nella scrittura come in tutto il resto, sono molteplici e non provengono esclusivamente da ciò che si ama. Quindi non credo mi sia possibile rispondere in maniera esaustiva.
Quali sono i suoi prossimi progetti e impegni professionali?
Io faccio l’insegnante di italiano e storia nella scuola secondaria di secondo grado, il mio primo impegno professionale è ovviamente questo. Qui cerco di portare avanti il non facile compito di avvicinare le ragazze e i ragazzi alla lettura, alla scrittura, alla poesia.
Per il resto, nell’immediato vorrei continuare a dedicarmi soprattutto alle mie letture-colloquio con altri autori, perché sto scoprendo una comunità poetica ricca e bellissima, che neppure immaginavo esistesse. Poi vorrei riprendere lo studio dei poeti greci del tardoantico, su cui ho svolto un dottorato anni fa, per portarli a dialogare idealmente con autori del Novecento e oltre. Ma questo è un progetto ancora da strutturare.