La Rubrica online “Piazza Navona” vi presenta e intervista i finalisti del Premio Letterario Nazionale “EquiLibri” Edizione 2019: Gerardo Di Cola e il suo saggio “Lydia Simoneschi. La voce del cinema italiano” (èDICOLA editrice).
La trama
Gerardo Di Cola nel suo saggio Lydia Simoneschi. La voce del cinema italiano (ri)costruisce sulla base di un’attenta e approfondita ricerca, interviste e testimonianze inedite un ritratto privato e professionale di colei che, ancor oggi, è considerata una delle più grandi doppiatrici italiane. Lydia Simoneschi, infatti, ha prestato la sua voce ad oltre cinquemila film e, nel 1962, è stata la prima donna a ottenere la nomina di direttrice di doppiaggio della CDC (Cooperativa Doppiatori Cinematografici).
Tanti sono i colleghi e i familiari di Lydia Simoneschi che nel libro la ricordano e la raccontano con stima, ammirazione e affetto: da sua nuora Maria Loredana Lehmann al secondogenito Gianni Lehmann (di cui Gerardo Di Cola non manca di raccontare e sottolineare un tratto importante della sua vita e quella di sua madre), da Marzia Ubaldi a Roberto Chevalier, da Elio Pandolfi a Rita Savagnone. Tanti ricordi e aneddoti che raccontano di una voce unica e di una donna umile, riservata, professionale e professionista, amante della cucina e profondamente attaccata alla sua famiglia.
Sul libro
Barbara Stanwyck. Ingrid Bergman. Bette Davis. Vivien Leigh. Maureen O’Hara. Jennifer Jones. Sophia Loren. Joan Crawford. Joan Fontaine. Deborah Kerr. Myrna Loy. Lauren Bacall. Angela Lansbury. Rita Hayworth. Ginger Rogers. Isa Miranda. Katherine Hepburn. Marlene Dietrich…
E ancora, nel fantastico mondo Disney: la Fata Turchina, Maga Magò, la Fata Smemorina, Lady Cocca…
Tante attrici. Tanti personaggi. Oltre cinquemila film e un solo nome. Una sola voce: Lydia Simoneschi. Quella appena riportata non è un che una piccolissima parte del lungo elenco di attrici cui la nota doppiatrice romana ha prestato la sua meravigliosa e inconfondibile voce.
Come non ricordare la sua Rossella O’Hara? O la sua Phyllis Dietrichson de La fiamma del peccato di Billy Wilder (1944)? O infine, la sua Anastasia o la sua Margot Channing? Impossibile dimenticare quella sua voce che, negli anni Cinquanta, è stata così descritta: Voce di volta in volta calda e appassionata, sottile e allegra, tenera, malinconica, felice, duttile. Voce che si ricrea per ogni attrice, pur restando se stessa. Tutto questo e molto di più è stata (e continua ad essere) Lydia Simoneschi… persino Cavaliere della Repubblica per meriti artistici!
Gerardo Di Cola, storico e studioso di Storia del doppiaggio, nel suo pregevole e importante saggio Lydia Simoneschi. La voce del cinema italiano (èDICOLA editrice) racconta di questa immensa artista ripagandola con la stessa moneta della sua indole: con rispetto, umiltà, semplicità, affetto… accennando a veri o presunti screzi, invidie, rivalità tra colleghi. Ad esempio: Andreina Pagnani o Lydia Simoneschi? All’epoca questo incontro/scontro tra titani era molto simile a quello tra Coppi e Bartali, per intenderci. Il senso di professionalità, rispetto e sana competizione manteneva lo stesso spirito.
Ma l’Autore va oltre sino a raccontare e a scoprire anche un aspetto molto privato di Lydia Simoneschi ovvero il suo essere madre. In particolar modo Di Cola ci racconta di Gianni Lehmann, il secondo figlio della Simoneschi avuto dopo anni di vedovanza e dopo aver sposato in seconde nozze suo cognato Luigi. Negli anni Cinquanta questo sarebbe stato uno scandalo nel nostro Paese di benpensanti e Lydia Simoneschi preferisce tener nascosto suo figlio. Sarà proprio quest’ultimo, in una lunga intervista rilasciata all’Autore, a raccontare per la prima volta della sua vita e della sua crescita con puro e sincero amore nei riguardi di sua madre e della sua famiglia.
Lydia Simoneschi. La voce del cinema italiano, così, diviene non solo un omaggio al Cinema e a chi l’ha reso grande ma anche alla vita. A Gerardo Di Cola ancora una volta va il merito di aver raccontato e ricostruito una storia, una vita, una personalità e l’Arte di chi altrimenti stava rischiando di finire definitivamente nel dimenticatoio. L’Autore con il suo impegno, la sua passione e il suo infaticabile lavoro ridona letteralmente voce a chi ha reso grande il nostro Cinema e a chi, ancora oggi a distanza di tanti anni, ci permette di sognare, commuoverci ed emozionarci. E questi sono doni che non hanno tempo né età.
Incontro con l’Autore
Come è nato il progetto editoriale di Lydia Simoneschi. La voce del cinema italiano?
Il saggio su Lydia Simoneschi entra a pieno diritto nella collana, “Doppiaggio e Cultura” da me ideata per svelare un’arte negletta dello spettacolo italiano, il doppiaggio, di cui non di doveva parlare. Era meglio sorvolare sulle questioni legate all’ottava arte, come mi piace definire il doppiaggio, perché i doppiatori prestavano la voce anche agli attori italiani e questi ultimi non volevano che si sapesse. Per esempio proprio la nostra Lydia Simoneschi per anni ha prestato la sua timbrica melodiosa a Sophia Loren oltre che a tutte le dive straniere tra le quali Ingrid Bergman. Soltanto da una trentina d’anni i doppiatori hanno iniziato a uscire dal cono d’ombra che li ha sempre oscurati. Tu, Chiara, sei il direttore artistico di un importante Premio Letterario che ha premiato per due anni di seguito due miei saggi sul doppiaggio. Incredibile, inimmaginabile fino a qualche anno fa!
In questo saggio dedicato a Lydia Simoneschi si racconta molto e con estrema delicatezza anche della vita privata dell’artista. Quali sono state le sue emozioni?
Tante e complesse per la sua storia umana. Una donna che oltre al doppiaggio aveva una sola passione, la famiglia. Lydia sposa il pilota d’aerei Franz Lehmann prima della guerra. La felicità per la nascita del figlio, Giorgio, è annullata dalla scomparsa del marito in un’azione di guerra. Nel duemila conosco Giorgio che mi mette a disposizione foto e notizie della madre scomparsa nel 1981. Nel 2004, quando Giorgio è già prematuramente scomparso, pubblico il libro Le Voci del Tempo Perduto, dove è presente la prima biografia su Lydia Simoneschi, un’artista sconosciuta anche ai critici cinematografici che ancora snobbano il doppiaggio. Nel 2015 ricevo una telefonata dalla Florida nella quale uno sconosciuto si presenta come il figlio della Simoneschi. Non ci credo e chiedo il suo nome ricevendo per tutta risposta: “Sono Gianni Lehmann, voglio ringraziarla perché soltanto adesso ho letto quello che ha scritto su mia madre”. Ero incredulo perché io sapevo dell’esistenza di un solo figlio. Quando Gianni è venuto a Roma per conoscermi, ha voluto anche rilasciarmi una lunga intervista per chiarire gli avvenimenti anche drammatici che hanno coinvolto la più grande doppiatrice mai esistita e mettermi a conoscenza degli avvenimenti legati alla nascita del suo secondo figlio, Gianni Lehmann, quando Franz Lehmann era scomparso già da sette anni. Lydia Simoneschi – La voce del cinema italiano è lo straordinario resoconto di una vita eccezionale dal punto di vista professionale e incredibile da quello umano.
Cosa l’ha colpita di più del modo di essere e di lavorare della Simoneschi?
Fin dall’inizio della sua carriera nel doppiaggio, Lydia ha segnato un “prima” e un “dopo”. Nel “prima”, dai primi anni ’30 alla seconda metà, c’erano grandi attrici di teatro come Andreina Pagnani e Tina Lattanzi, la regina del birignao, che detenevano il primato delle voci più belle. A cavallo degli anni Trenta e Quaranta si affaccia sulle scene delle sale di sincronizzazione una voce cristallina che sa adattarsi magistralmente ai volti di attrici intensamente belle, dalle notevoli capacità recitative le cui peculiarità erano restituite integralmente dallo spettro di timbri e tonalità che Lydia sapeva espandere con apparente facilità. Da allora a metà degli anni ’60 la Simoneschi ha dominato il mondo delle voci impreziosendo la recitazione di tutte le dive straniere ma, soprattutto, delle italiane che non erano in possesso delle stesse qualità vocali e recitative non avendo avuto la possibilità di studiare in corsi di recitazione e dizione. C’era un’altra difficoltà per le nostre “povere ma belle”: facevano fatica ad auto-doppiarsi.
È bene sottolineare che fino alla fine degli anni ’70 in Italia non si usava la presa diretta quindi si giravano i film acquisendo un sonoro che serviva solo come guida nel momento della post-sincronizzazione. In Federico Fellini e il doppiaggio, che mi ha dato la gioia di ricevere per la prima volta il Premio Piazza Navona per la saggistica, ricordo che il regista riminese faceva recitare i numeri ai suoi attori e poi sistemava tutto al doppiaggio con i doppiatori professionisti.
Qual è stata la difficoltà nello svolgimento delle sue ricerche per questo suo lavoro?
Da ragazzo avevo la capacità di riconoscere le voci dei doppiatori pur non avendoli mai visti in volto e non conoscendo i loro nomi. Cinquant’anni dopo per ragioni famigliari ero spesso a Roma. Ripensai alla mia antica passione e mi chiesi se erano stati fatti studi seri sul doppiaggio. Trovai soltanto un centinaio di articoli ma nulla di concreto. In quel lontano 1996, ad un passo dalla seconda laurea in Astronomia, decido di dedicarmi alla ricerca che mi avrebbe portato in breve tempo a essere l’unico in Italia a ricostruire una storia del doppiaggio e le biografie dei suoi interpreti, quasi tutti già scomparsi da tempo. Grazie ai doppiatori ancora in vita sono riuscito a scrivere una storia del doppiaggio pubblicata in Le Voci del Tempo Perduto nel 2004 insieme a un centinaio di biografie. Se avessi aspettato ancora una decina d’anni, non sarei riuscito a ricostruire una storia mai scritta per demerito di chi non voleva o non poteva svelare il “mistero” dell’ottava arte e noi oggi non saremmo a fare quest’intervista.
In quale film o prestata al volto di quale attrice hollywoodiana ha apprezzato particolarmente la voce di Lydia Simonecshi?
Non credo si possa rispondere a questa domanda tale è la vastità dell’opera della Simoneschi. Degli oltre cinquemila film doppiati voglio ricordare Cuori senza Frontiere, Notorius, Attila e Ulisse dove presta la sua straordinaria bravura a, rispettivamente, Gina Lollobrigida, Ingrid Bergman, Sophia Loren, Silvana Mangano. Ma non solo… Per esempio, nei cartoni animati è la Maga Magò in La spada nella roccia scoppiettante, irresistibile, fantasiosa… una vera prova d’autore che la consacra come la più grande di tutte le doppiatrici di sempre.
Con Lydia Simoneschi. La voce del cinema italiano ha realizzato una “doppietta” ottenendo, per il secondo anno consecutivo, il primo premio nella Sezione Saggistica al Premio Letterario Nazionale “EquiLibri” con la seguente motivazione:
Attraverso l’interessante saggio su colei che fu la voce italiana di grandi personaggi del cinema, come Ingrid Bergman, l’Autore rende omaggio all’invisibile e affascinante mondo delle “voci nell’ombra”, che spesso hanno contribuito a creare un mito nell’immaginario cinematografico dello spettatore italiano. Un lavoro importante per le testimonianze dirette raccolte al fine di una conoscenza non distorta del nascosto eppure vivo e presente mondo dei doppiatori. Una voce, un mito quello di Lydia Simoneschi, che l’Autore rende ancor viva e palpitante.
Cosa ha significato per lei ricevere questo riconoscimento?
Una gratificazione che va di là di qualsiasi immaginazione. Ricevere due volte un Premio letterario, io che ho una preparazione scientifica, mi crea un senso di intima soddisfazione e appagamento.
Lydia Simoneschi è stata la prima donna direttrice di doppiaggio agli inizi degli anni Sessanta. In quell’epoca, in quell’ambiente le donna che ruolo effettivo aveva? Non c’erano rivalità e “rappresaglie” da parte dei colleghi uomini?
Non c’era rivalità tra doppiatrici e doppiatori tanto il potere era tutto in mano a questi ultimi. Il doppiaggio si declinava al maschile, tutto ruotava sui protagonisti e soltanto in pochi casi la figura femminile dominava il racconto. Quindi anche il doppiaggio risentiva di quest’atmosfera maschilista.
Le rivolgo un paio di domande che lei stesso ha posto ai suoi intervistati. Secondo lei c’era della rivalità tra Andreina Pagnani e Lydia Simoneschi?
Ho posto a tutti gli intervistati la domanda se tra Andreina Pagnani, la donna di Alberto Sordi per ben nove anni, e la Simoneschi ci fosse una rivalità più o meno dichiarata. Era stato lo stesso Gianni Lehmann a farmi capire che tra la madre e la Pagnani ci fosse antagonismo. Devo dire che dalle risposte dei colleghi e, soprattutto, colleghe di Lydia non è emersa alcuna rivalità ma una sana competizione tra le due doppiatrici che venivano utilizzate soprattutto in base al direttore del doppiaggio scelto.
Ogni casa di produzione aveva un direttore di riferimento che a sua volta aveva delle preferenze legate spesso a rapporti di amicizia oltre che di stima professionale.
E chi è oggi l’erede di questa immensa doppiatrice?
Salto la generazione successiva a quella della Simoneschi anche se nel saggio ho espresso un nome: Rita Savagnone. La motivazione principale è che Rita è stata la doppiatrice scelta per far recitare Sophia Loren dopo che la voce della Simoneschi si era appesantita per l’età e le migliaia di ore passate a recitare in sala di sincronizzazione per il piacere degli italiani che l’hanno conosciuta soltanto quando era scomparsa da tanti anni. Faccio un solo nome: Emanuela Rossi.
Quali sono i suoi prossimi impegni editoriali? A chi dedicherà le sue prossime ricerche e il suo nuovo libro?
Durante il lockdown ho chiuso due libri. Ho da poco pubblicato nella collana “Doppiaggio e Cultura” Gualtiero De Angelis, poeta doppiattore. Adesso mi trovo a correggere le bozze del secondo volume che conto di far uscire nel gennaio del 2021. Per il proseguimento dell’attività di ricerca che da oltre venticinque anni assorbe tutte le mie energie vorrei mantenere un minimo di riserbo perché le idee sono tante ma le forze incominciano a scemare, lentamente ma inesorabilmente.
Qui di seguito troverete il video della Cerimonia di Premiazione del Premio Letterario Nazionale “EquiLibri” Edizione 2019 tenutasi lo scorso 25 gennaio nel Salone di Rappresentanza presso il Palazzo di Città di Cava de’ Tirreni (Sa) – Riprese e montaggio di Alberto Accarino.