In occasione dell’uscita del suo ultimo libro-disco La Storia (edito dalla Casa Editrice Squilibri), Otello Profazio – il più celebre cantastorie italiano – racconta alla rubrica online “PIAZZA NAVONA” i suoi esordi, la sua musica, la sua Arte… Insomma, La (sua) Storia.
È difficile descrivere le emozioni, la forza, l’energia che Otello Profazio – classe 1936 – riesce a trasmettere solo con la vivacità del suo racconto e delle sue parole che guizzano via rapide e precise. Ed è ancor più difficile descrivere la gioia e l’onore che si sentono nell’intervistare un Artista di questa levatura. Un vero e autentico rappresentante – forse l’unico – della tradizione del nostro Paese, del racconto orale, della canzone popolare, del folklore…
Otello Profazio è la Storia della Musica e della tradizione popolare italiana di cui è ambasciatore in tutto il mondo. Innumerevoli i suoi concerti, tantissimi i riconoscimenti ricevuti, altrettanti i dischi venduti nei cinque continenti. Otello Profazio porta la sua terra, il suo Paese e la sua tradizione verso altre tradizioni, culture e storie. Non è un caso che abbia venduto oltre un milione di dischi e che sia stato il Primo Italiano a ricevere il prestigioso Premio Tenco conferitogli durante la 40a edizione della Rassegna della Canzone d’Autore svoltosi nell’ottobre 2016 presso il noto Teatro Ariston di Sanremo.
La carriera di Otello Profazio è inarrestabile. Proprio questa sera, 27 aprile alle ore 21, presso l’Auditorium Parco della Musica di Roma presenterà il suo ultimo lavoro, il disco-libro La Storia edito da Squilibri Editore.
Ma lasciamo che sia Otello Profazio a raccontarci di questo progetto e della sua storia. La rubrica online “PIAZZA NAVONA” è onorata di ospitarlo nella sua piazza virtuale e ringraziandolo di vero cuore di tanta disponibilità è felice di “ascoltare” il suo racconto.
Come nasce il suo interesse per la canzone popolare?
Ho iniziato tardi perché io andavo a scuola. Facevo il Ginnasio. Non avevo né chitarra né mandolino né altri strumenti. Un giorno mio padre, che era capostazione a Reggio Calabria – Pellaro, andò al suo paese, a Palizzi (sullo Ionio) e tornò con una chitarra che lui da piccolo suonicchiava. Così, mi cantò delle cose. Io, senza aver mai studiato, ho preso questa chitarra in mano e ho cominciato a suonare delle cose che già echeggiavano al folklore. Ho trovato subito una canzone che poi diventò famosa e vendette diversi milioni di dischi in tutta Italia senza parlare dell’estero: solo in Australia non si sa quante copie sono state vendute. Sto parlando del Lamento del contadino per la morte del ciuccio (Ciucciu beddu di stu cori) che mi fu pure plagiata dal comico inglese Danny Kaye che, grazie alla complicità della moglie musicista Sylvia Fine, ne fece una canzone trasformando Ciucciu beddu, che era l’asino, in Ciu Ciu Bella che era il nome di una donna.
Come è arrivato al successo?
Tutto è iniziato quando il più grande presentatore di tutti i tempi Nunzio Filogamo aveva una trasmissione radiofonica che si chiamava Il microfono è vostro e andava nelle varie regioni. Venne a Reggio Calabria. Io dovevo cantare assieme ai miei compagni di classe. Invece, lui mi sentì canticchiare questo Ciucciu beddu di stu cori, licenziò i miei compagni e mi fece cantare questa cosa. Fu un successo grandioso in tutta Italia. Anche in Friuli. Quando si fece I migliori numeri de Il microfono è vostro che si svolse alla Mostra D’Oltremare di Napoli io venni chiamato e vinsi il primo premio. Alla manifestazione era presente il rappresentante della Casa discografica Fonit-Cetra che mi fece subito una scrittura. Da lì è nato il mio primo disco che era Cicciu beddu di stu cori e il Mastro Pettinaro. Questo disco andò a ruba. A partire da quel momento sono stato sempre sollecitato a fare delle cose.
Importante è stato anche il suo impegno in radio e in televisione…
Esatto. Infatti, nel frattempo facevo anche delle trasmissioni sia alla radio sia alla televisione. La trasmissione che comportò il mio trasferimento a Roma – avevo circa vent’anni – si chiamava Il campanile d’oro e si svolgeva a Napoli. Qui cantai una canzone che non ebbe lo stesso successo della precedente e si intitolava Chiamatemi u medicu (Chiamatemi il medico). In questa occasione era presente anche Fulvio Palmieri, il Direttore della Rai di Roma che mi disse, “Profazio, mi venga a trovare a Roma!” Questo voleva dire che gli piacevo e che potevo lavorare a Roma come cantante – chitarrista. A Roma trovai un’abitazione in affitto in via del Babuino n.29. La Rai allora era al n.9. All’epoca Via del Babuino era a doppio senso e ricordo che io avevo una Seicento e la posteggiavo lì e ci mettevo persino la copertura che avevo comprato a Porta Portese. Roma era una meraviglia.
Ma Palmieri non sono mai andato a trovarlo e ho cominciato a lavorare alla radio. Ho fatto delle trasmissioni come Quando la gente canta che ho portato avanti per 22 anni. In televisione tutte le cose sul folk le ho fatte io con Nanni Svampa e Patruno… Poi dischi a tutta forza.
Il più grande successo è arrivato a Milano dove partecipavo a una trasmissione televisiva come ospite fisso assieme a Giorgio Gaber, Bruno Lauzi, Enzo Jannacci, Lino Toffolo. Da lì sono passato tra i big. Io mi confrontavo con tutti. Anche con i più grandi. Ho cantato con Mina. Ho cantato con tutti. Poi tournée all’estero a mai finire. Io non è che sono stato in tutto il mondo. Sono stato tantissime volte in tutto il mondo: in Canada almeno 80 volte, negli Stati Uniti una trentina, in Australia ho fatto 31, poi Venezuela, Uruguay, Brasile, Argentina, l’Europa… E lo scorso anno ho ricevuto il Premio Tenco. Sono stato il primo italiano ad avere il Premio Tenco poi avuto anche da Vinicio Capossela di cui sono molto amico, facciamo anche degli spettacoli insieme. E nel film Nel paese dei coppoloni di Stefano Obino ha voluto inserire alcune mie canzoni come .
Per lei quanto è ancora importante la tradizione popolare?
È la mia vita. Io non ho titoli accademici ma sono stato sempre in contrasto con gli antropologi e gli etnologi a cominciare da Diego Carpitella. Questo perché loro erano dei professionisti della materia e non ci mettevano interesse, ovvero lo stomaco limitandosi a prendere nota degli eventi. A me non interessa di questo tipo di lavoro. Io sono stato la tradizione. Oltre a riportarla l’ho anche modificata ma non abbellita. Mi sono proprio immedesimato in essa. Poi ho scritto. Sono un cantastorie e ho scritto delle canzoni importantissime – almeno una ventina – come Qui si campa d’aria, Governo italiano che andò a Sanremo ed era contro le tasse, di protesta.
Qual è il suo rapporto con il futuro?
Io continuo sempre. Ho bisogno di altri quarant’anni di vita perché del mio repertorio si conosce solo il 30%. Io vorrei arrivare almeno al 60%. Il mio modo di cantare non è comune. Il mio modo di cantare non è con la voce, con l’ugola. Io canto con il corpo, con la pancia, con lo stomaco. Per me cantare non è una esibizione asettica. È come far l’amore, come mangiare.
E del suo prossimo lavoro, della sua presentazione a Roma… cosa può dirci?
Oggi esce il discolibro per Squilibri Editore dal titolo La Storia. È un disco importante in cui sono inserite anche le battute che mi sono state fatte durane gli spettacoli. Ad esempio, un tale a Bari dopo lo spettacolo con grinta si avvicinò a mi disse, “Io sono un suo grande estimatore”. Io ringrazio e lui, “Ma non i fraintenda! Non per come canta ma per quello che canta”.
Insomma, esce questo disco e contiene la Ballata consolatoria del Popolo Rosso. Io non sono mai stato Comunista però ho ammirato, ho apprezzato e mi hanno commosso i Comunisti quelli veri e che ci credevano. Non i D’Alema ma i Pietro Ingrao.
Questa sera con Peppe Voltarelli presenterò il libro disco presso l’Auditorium di Roma. È un evento importante.
Ed è dandoci questo appuntamento che Otello Profazio gentilmente ci saluta raccomandandosi di intervenire numerosi. La Rubrica online “Piazza Navona” non può far altro che ringraziare ancora questo grande Artista di aver – letteralmente – cantato la sua storia… e questo è solo l’inizio!