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Monica Manganelli, poetessa dell’immagine che si fa Arte

La Rubrica online “Piazza Navona” saluta il nuovo anno e i suoi lettori con un “Incontro d’Arte” davvero unico e speciale. È un grande onore avere ospite della nostra piazza virtuale la regista, scenografa e creative director parmense Monica Manganelli. E l’immagine diventa poesia!

“Butterflies in Berlin- Diario di un’anima divisa in due”, regia di Monica Manganelli (2019)

Ho avuto il piacere di “incontrare” Monica Manganelli e la sua arte grazie dopo aver visto all’Ischia Film Festival il suo cortometraggio animato Butterflies in Berlin – Diario di un’anima divisa in due (2019) già vincitore di numerosi premi e riconoscimenti nazionali e internazionali. Ispirato a fatti realmente accaduti, è un racconto poetico senza pari il cui protagonista è Alex, nella Berlino del 1933, è alla ricerca del suo essere e della sua identità sessuale divenendo il primo transessuale della storia arrivando a scontrarsi con le barbarie dell’olocausto, delle repressioni e delle persecuzioni.

Monica Manganelli è una regista, scenografa, visual artist parmense. Si diploma in Architettura presso l’Istituto d’Arte Toschi per poi conseguire la Laurea in Conservazione dei Beni Culturali e la specializzazione in Architettura e Arti Sceniche presso l’Università della sua città. Frequenta il Master in Cad Design e Computer Graphics per poi specializzarsi in Scenografia per il Teatro presso il Teatro Regio di Parma.

Da questo momento non si è più fermata prestando la sua arte e il suo talento a numerose produzioni di lirica e di prosa italiane ed europee. Tra queste ricordiamo: Rigoletto (Teatro Marijnski, San Pietroburgo), Billy Budd (Teatro Regio di Torino), L’impresario delle Smirne (Teatro Stabile di Torino), Il Console (Teatro Regio di Torino), Samson et Dalila (Teatro Comunale di Bologna-Opéra Royal de Wallonie), Fahrenheit 451 diretto da Luca Ronconi (Teatro Stabile Torino).

Locandina dello spettacolo teatrale “Fahrenheit 451” diretto da Luca
Ronconi (Teatro Stabile Torino, 2007)

La sua versatilità è inarrestabile e Monica Manganelli decide di specializzarsi in  Matte Painter-Concept Artist – Vfx Art Director occupandosi della Creazione visiva, ideazione di scenari per film e spot. Nel 2015, inoltre, arriva il suo primo corto animato dal titolo La ballata dei senzatetto che, partecipando a oltre 60 festival in tutto il mondo, riceve ampi consensi ottenendo la partecipazione alle selezioni finali degli Oscar 2016 e rientrando nella cinquina della sezione Miglior cortometraggio ai David di Donatello (2016).

Il teatro, il cinema e l’arte sono un’anima sola in Monica Manganelli la quale continua senza sosta nel suo pluridisciplinare e inarrestabile percorso creativo curando come creative director diverse video installazioni, set e scenografie virtuali.

Nel 2019 realizza il già citato Butterflies in Berlin – Diario di un’anima divisa in due cui seguono altri progetti quali, ad esempio, la videoinstallazione The colors of war, la performing art dedicata a Bach attraverso un’esperienza video e visuale dal titolo L’Atlante delle Meraviglie e la lavorazione del suo primo lungometraggio di animazione Turandot – Principessa della Cina attraverso il quale, ispirandosi a Puccini e a una fiaba persiana, intende affrontare il tema della posizione della donna all’interno della Società.

Monica Manganelli è tutto questo. E molto di più. Sarà proprio lei nell’intervista che ci ha gentilmente concesso a raccontarci e a raccontarsi. Quindi non mi resta che augurarvi una buona lettura e un felice incontro con l’Arte!

La regista e scenografa Monica Manganelli (Per gentile concessione di ©Monica Manganelli)

Quando è nato il suo amore per il Teatro e per il Cinema?

Il mio amore per il cinema è nato quando ero piccolissima, mia madre mi portava al cinema a vedere i film della Disney, Cenerentola è il primo che vidi in una sala cinematografica a 3 anni.  È grazie a mia madre che sono stata “iniziata” all’arte, con cui andavo anche a vedere mostre, e mi comprava i libri legati ai film Disney che vedevo, e che conservo ancora. Mi ha molto stimolata fin da bambina. Sono cresciuta andando con lei a vedere E.T., Labyrinth, la saga di Star Wars, Indiana Jones. L’amore invece per il teatro e l’opera lirica è venuta molto dopo (a cui non pensavo proprio) nonostante a Parma, fosse popolare quanto il calcio, se non forse di più!  Infatti, per una coincidenza del destino, quando stavo per finire l’università scoprii un corso di specializzazione in scenografia teatrale al Teatro Regio di Parma, e venendo io dall’architettura e storia dell’arte, mi venne voglia di tornare a disegnare. E e così lo frequentai. Era il settembre 2001. Fu amore a prima vista e iniziai subito a fare l’assistente per uno scenografo e produzioni importanti.

Bozzetto Teatro di Strada (Per gentile concessione di ©Monica Manganelli)

Parte della sua carriera è incentrata nell’allestimento di scenografie per la lirica e la prosa. Ecco: come nasce una scenografia dall’idea alla sua realizzazione?

Solitamente nell’opera lirica (di cui mi sono prevalentemente occupata), regista e scenografo sono i  fautori della “ideazione e costruzione” di una produzione. Sono i primi che iniziano a ragionare e a confrontarsi sulla drammaturgia, sull’estetica, sull’ atmosfera, sullo spazio in cui si devono muovere i personaggi. Io divido in 4 fasi il lavoro in scenografia: la prima appunto, il confronto con il regista, poi vi è  la ricerca iconografica, la realizzazione dei bozzetti e del progetto tecnico in solitaria, poi la terza parte è quella realizzativa, che consiste nel seguire in laboratorio le varie fasi per la costruzione e decorazione delle scene, fino all’ultima fase, quella in palco, dove ci riunisce e si “entra in prova-produzione”, e si vede se tutto funziona o no.

Io amo molto il fatto che ci siano alcune fasi in totale solitudine e che poi tutto sfoci sul palco, dove si mettono insieme i risultati e lavori dei vari dipartimenti, da quello musicale a quello delle scene e costumi ecc… Quello è il momento cruciale in cui il tuo lavoro vede la luce e tu capisci se funziona. Solitamente si parte un anno prima per una produzione nuova di una opera lirica.

“Butterflies in Berlin – Diario di un’anima divisa in due”, regia di Monica Manganelli (2019) – Per gentile concessione di ©Monica Manganelli

Occupandosi di teatro e cinema: in cosa si differenzia l’approccio e la pratica del lavoro tra le due forme d’Arte? E tra queste due forme artistiche in quale sente di esprimere totalmente e più liberamente la sua arte e il suo talento?

Il teatro mi ha insegnato molto dal punto di vista della disciplina, dello studio della drammaturgia, della ricerca storica e iconografica. Tutto questo l’ho portato nel mio modo di lavorare nel cinema, dove spesso noto che non sono state approfondite come dovrebbero. Ritengo però, che siano questi aspetti di un qualsiasi progetto a fare la differenza denotandone la qualità culturale. Quindi, dal punto di vista ideativo l’approccio è identico quando mi avvicino ad un progetto che sia di cinema o teatro. Poi, ovviamente, in relazione alla tecnica e linguaggio utilizzato devi valutare le soluzioni migliori da adottare proprio in relazione alla differenza che i due linguaggi comportano. Infatti, io non amo molto i registi di teatro che dicono, “porto il cinema nella lirica”, anche perché il teatro ha le sue forme e stilemi di rappresentazione che funzionano, e credo sia più giusto pensare a come certe tecniche e linguaggi espressivi differenti possano integrare il teatro, rafforzandolo e valorizzandolo nelle sue caratteristiche, non sostituendolo.

“Il Turco in Italia”, regia di Alfonso Antoniozzi (2016) – Per gentile concessione di ©Monica Manganelli

Se conosci le differenze tra cinema e teatro, perché lavori in entrambi gli ambiti allora puoi comprenderne meglio le differenze tecniche, e allora puoi permetterti di “mescolarli”. Faccio un esempio. Quando ho realizzato Il Turco in Italia e Aida completamente con videoscenografie, realizzate con varie tecniche cinematografiche di animazione e vfx, l’ho fatto perché queste, innanzitutto, a livello di drammaturgia, funzionavano con l’azione scenica, e la integravano. Ne Il Turco in Italia le video scenografie, ad esempio rappresentavano ciò che il protagonista – il poeta – pensava e trascriveva nel suo taccuino. Erano delle tavole ad acquerello animate attraverso uno stile molto poetico che rappresentavano la sua mente. Inoltre, queste tecniche di computer grafica mi hanno permesso di sostituire i cambi scena creando effetti spettacolari in numero maggiore rispetto alle possibilità offerte dalla scena tradizionale. Lo stesso è stato per Aida, un’opera mastodontica che, se non si hanno i fondi per farne una produzione zeffirelliana, è difficile da sostenere.

“Turco in Italia”, regia di Alfonso Antoniozzi (2016) – Ph. Alessia Santambrogio. Per gentile concessione di ©Monica Manganelli

Innanzitutto, Aida si presta a ricreare mondi egiziani futuristici/sci-fi, e a creare immaginari quindi prettamente cinematografici. Quindi qui proprio come nel cinema, abbiamo ricreato dei mondi immaginari virtuali futuristi con citazioni ad alcuni film memorabili (da Star Wars a Blade Rinner 2049 ai videogame), e grazie all’animazione e computer grafica abbiamo messo in evidenza i cambi scena con effetti wow.

In tutti i casi, quindi, prima c’è stato uno studio attento a livello drammaturgico per capire se un certo tipo d’opera da rappresentare funzionasse coi video, le animazioni e con la mescolanza di linguaggi. Questo modo di approcciarmi nella lirica per me è fondamentale, perché mi ha portato a capire e a creare la mia cifra stilistica, ovvero che la drammaturgia visiva va di pari passo con l’azione scenica, ovvero le scene/i video non sono solo elementi decorativi ma diventano anch’essi protagonisti dello spettacolo. I video a teatro li hanno usati in tanti, ma sempre con un intento decorativo, mentre io vorrei andare oltre a questo, e come detto prima, in modo tale che l’immagine diventi parte integrante della narrazione.

“The colors of war” videoinstallazione di Monica Manganelli (Per gentile concessione di ©Monica Manganelli)

E lo stesso vale nei miei progetti di regia e di animazione. Non sento quindi un ambito preciso in cui sentirmi più libera rispetto all’altro. La cosa principale da studiare è il contenuto e messaggio che si vuole trasmettere, indipendentemente che sia teatro o cinema, poi in relazione all’ambito si valuta come approcciarsi alla tecnica e al relativo linguaggio. Tutti i progetti sono per me delle sfide nuove.

Cinema, Teatro, video installazioni, scenografie virtuali, regia, animazione… quale contributo hanno apportato le moderne tecnologie al suo lavoro così tanto articolato e diversificato?

Solitamente chi lavora in teatro non lavora nel cinema, e men che meno nei vfx cinematografici. Sono due settori completamente differenti, anche a livello organizzativo e tecnico del lavoro. Inoltre, hanno costi insostenibili per il teatro. Però quanto appreso, lavorando negli studios di vfx per il cinema, nella computer grafica e animazione mi ha dato veramente tanto. È stata la svolta per me, ho scoperto un mondo espressivo con un potenziale incredibile. Le nuove tecnologie stanno evolvendo molto velocemente e sempre in avanti, e credo fermamente che saranno la chiave del futuro nella produzione di progetti culturali, teatrali e museali. Soprattutto per avvicinare anche un pubblico giovane, che solitamente va poco a teatro, ed è nato col digitale. La fruizione del teatro e del cinema è cambiata e il coronavirus ha solo accelerato un cambiamento che era in atto, e che molto stentavano ad accettarlo soprattutto in teatro. Ora sarà interessante sperimentare, provare a progettare e a ideare a livello teatrale e culturale “per” il digitale. Ciò non significa avere uno spettacolo e metterlo on line ma esiste un discorso di approccio drammaturgico completamente nuovo e differente, anche a livello di competenze tecniche ed artistiche.

“The colors of war” videoinstallazione di Monica Manganelli (Per gentile concessione di ©Monica Manganelli)

Come riesce a orientarsi in questo suo percorso così multi sfaccettato e multidisciplinare?

Come detto sopra è molto “naturale” per me, avendo lavorato in differenti ambiti, approcciarmi ai vari progetti in vari settori. Le varie competenze acquisite fanno oramai parte del mio bagaglio personale e professionale, e nell’approccio ad un progetto “le tiro fuori” secondo le esigenze. È come quando si conoscono differenti lingue in maniera fluente, si passa da una all’altra con scioltezza secondo l’interlocutore!

Tra i suoi lavori molto apprezzato dal pubblico e dalla critica di tutto il mondo è il suo mediometraggio d’animazione Butterflies in Berlin in cui si racconta di un uomo, di un’anima divisa in due durante il Nazismo. Come è nato questo progetto? Cosa ti ha lasciato o insegnato la storia di Alex e del coraggio di voler affermare e vivere la propria identità?

“Butterflies in Berlin – Diario di un’anima divisa in due”, regia di Monica Manganelli (2019) – Per gentile concessione di ©Monica Manganelli

Butterflies in Berlin nasce da un mio momento di crisi personale, in cui dovevo capire che nuova strada intraprendere e come. Continuare nel mondo dell’arte e creativo o no? E soprattutto, se sì, in che maniera? Arrivavo dopo 18 anni di un percorso solido, costruito con fatica e molta consapevolezza, senza essere mai scesa a compromessi con la mia etica. Quindi la mia domanda era: “ E adesso che si fa?”. Dovevo fare un ulteriore gradino nel mio percorso personale/professionale, ma non capivo bene la strada da intraprendere, così questo progetto mi ha definitivamente aiutato a definire la mia identità come “artista”. Internamente ed esternamente.

Alex, il protagonista sono io, un essere umano alla ricerca di se stesso, un personaggio che ha una metamorfosi, e non a caso il film è suddiviso in 4 fasi quante quelle della farfalla. L’ho capito dopo averlo scritto. La sceneggiatura riflette le sensazioni che provavo in quel periodo.

Gli anni Trenta berlinesi dal punto di vista artistico e storico li ho sempre profondamente amati. Così, partendo da ispirazioni di alcuni pittori dell’epoca dei cabaret ho iniziato a studiare il punto di vista storico riguardo alcune vicende. Ho così scoperto la storia di Magnus Hirschfeld e della prima transessuale operata e sopravvissuta, nella sua clinica a Berlino. Continuando ad indagare ho scoperto ulteriormente la storia di Frank Foley e le vicende dell’ospedale ebraico di Iranische Strasse, e le ho intrecciate insieme alla storia della protagonista.

“Butterflies in Berlin – Diario di un’anima divisa in due”, regia di Monica Manganelli (2019) – Per gentile concessione di ©Monica Manganelli

Tutte storie praticamente sconosciute, di cui sono stata molto felice di avere portato a conoscenza del grande pubblico. Infatti, il film ha girato quasi 90 festival oramai in tutto il mondo, dalla Film Society di New York, viaggiando poi per tutta l’America e nell’Estremo Oriente. Nonostante si trattasse di storie molto drammatiche le ho tradotte con uno stile molto poetico, delicato ed onirico, che è la mia cifra stilistica, e così ho raggiunto anche un target più ampio rispetto a quello o solo della animazione o lgbt.

Quali sono gli Artisti, gli Autori, i Maestri che hanno formato il suo talento che sono o sono stati sue fonti d’ispirazione?

Questa è una domanda troppo difficile, perché nascendo anche come storica dell’arte, dire chi mi ha ispirato e formato, tra gli autori ed artisti, è arduo dirlo! Li amo un po’ tutti: ognuno è fonte di ispirazione in maniera differente. Tra i pittori amo i surrealisti, gli artisti degli anni Trenta e l’architettura fascista (non a caso la mia tesi si occupò di quella tematica) e il mio film preferito in assoluto a livello di estetica è Il conformista di Bertolucci, regista che amo molto per tutto quello che ha realizzato, insieme ad Ermanno Olmi. A teatro amo Robert Carsen, e a livello estetico amo l’arte orientale, la storia dell’arte cinese, che studio da anni,  per le sue linee essenziali, rigorose ed eleganti. In generale, amo gli artisti che “astraggono e traslano” la realtà, la traducono in immagini permettendo di evadere dalla realtà, in quanto è lo spirito visivo che mi rappresenta. Infatti, creare e ideare mondi immaginari onirici e visionari è forse la mia caratteristica principale.

“Butterflies in Berlin – Diario di un’anima divisa in due”, regia di Monica Manganelli (2019) – Per gentile concessione di ©Monica Manganelli

Turandot – Princess of China è il progetto cui sta lavorando in questo periodo. Può raccontarci di più in merito?

Turandot – Princess of China è un progetto a cui tengo particolarmente per tanti motivi. L’ho iniziato a pensare e scrivere in contemporanea a Butterflies in Berlin, cui ho dato poi la precedenza, e lo sto riprendendo in mano ora. Attraverso l’antica fiaba persiana e l’opera e la musica di Puccini vorrei trattare il tema della donna nella società, e realizzare un lungometraggio di animazione. Si parla di donne che vogliono emanciparsi, di incontri tra culture diverse, c’è una storia d’amore, la musica di Puccini e l’intrattenimento che fanno da sfondo. Da anni, essendo studiosa della storia dell’arte, sto facendo ricerca riguardo l’arte cinese fondamentale per l’ideazione degli scenari e dei mondi immaginari del film. L’animazione è un linguaggio e una tecnica che consente di andare oltre barriere che il live action non permette, dà molto spazio alla immaginazione, e può raggiungere un pubblico molto ampio, e di giovani. Per questo vorrei raggiungere, attraverso questo film e storia, un pubblico anche di giovani donne, per trasmettere importanti valori riguardo il valore della donna nella società odierna, e di come l’istruzione sia importante per l’emancipazione femminile. Infatti ,il Libro, come in Butterflies in Berlin, sarà il simbolo rappresentativo del film.

Bozzetto per “Turandot – Princess of China” di Monica Manganelli (Per gentile concessione di ©Monica Manganelli)

Qual è la storia o il racconto che vorrebbe o avrebbe voluto tradurre in immagini filmiche?

Bella domanda! Sono tantissime le storie che vorrei raccontare e tradurre in immagini. Ad esempio, sempre a proposito di donne, sto scrivendo e documentandomi recentemente riguardo sia la storia di Elvira Notari, napoletana, la prima regista donna italiana di cinema, per cui ne uscirebbe un film splendido, sia a proposito delle donne in guerra russe durante la seconda guerra mondiale. Ispirata dal libro del Premio Nobel Svjatlana AleksievičLa guerra non ha un volto di donna, ho scritto Dancing in the war, un soggetto riguardo una ballerina del teatro Bolshoi costretta ad arruolarsi, anche se non crede nella guerra.

Mi piacerebbe molto anche tradurre in film Creatura di sabbia di Tahar Ben Jelloun, sia per la storia molto forte e potente sull’identità di genere e l’essere donna sia perché amo molto la cultura e la storia artistica arabe. Inoltre, Momo e La favola dei saltimbanchi sono romanzi di genere fantastico del tedesco Michael Ende (famoso per La Storia Infinita) che trattano argomenti e temi attuali, profondi ed esteticamente vi si potrebbero creare e costruire immaginari molto visionari ed onirici. Queste storie si presterebbero a trasformarsi in musical/film fantasy, come me li immagino, o in serie TV.

“Turandot – Princess of China” di Monica Manganelli (Per gentile concessione di ©Monica Manganelli)

Guardando al presente e alla situazione attuale, il mondo dello spettacolo sta vivendo una profonda crisi. Quali crede possano essere delle iniziative e delle idee utili a una buona ripresa dell’intero comparto?

Come detto precedentemente, il coronavirus ha solo accelerato un cambiamento che era già avviato, sia nel cinema che nel teatro. Molte cose cambieranno e non sarà più possibile tornare come prima. Nel teatro dovrà cambiare l’approccio ai progetti e bisognerà lavorare a come integrare le nuove tecnologie e digitale con produzioni di lirica, bisognerebbe iniziare ad avvicinare, realmente, un pubblico più giovane, che è quello che nei decenni futuri dovrebbe riempire i teatri e musei. Sarà difficile tornare a teatro come prima, e inoltre le piattaforme come Netflix, Amazon producono eccellenti prodotti, per cui sarà difficile competere con loro.

“Turandot – Princess of China” di Monica Manganelli (Per gentile concessione di ©Monica Manganelli)

In teatro credo, inoltre, che a livello dirigenziale, artistico e manageriale dovranno entrare in scena più donne e soprattutto generazioni più giovani. C’è bisogno di una ventata fresca e di rinnovamento, mentre ad oggi la politica culturale sta adottando un’azione prettamente attendista. Nella storia della umanità le crisi mondiali a livello culturale hanno solitamente portato a correnti artistiche nuove che hanno sperimentato, alle avanguardie ecc.., invece da noi in Italia si è rimasti completamente fermi. Mentre è questo il momento di rischiare e sperimentare, perché solo chi saprà reinventarsi e osare, sopravvivrà e andrà avanti. I modelli di prima non funzioneranno più, è un dato di fatto.

Quali consigli sente di poter dare a un giovane che desidera avvicinarsi alla sua professione?

Innanzitutto, bisogna studiare, impegnarsi e sacrificarsi molto. Il talento da solo non basta, la formula giusta per ottenere qualcosa è un mix di tanti elementi. I miei inizi sono stati durissimi, mi hanno dato una base solida, ma è costato molti sacrifici e ingiustizie subite. Quindi, o si ha davvero la passione e tenacia, per superare i momenti di difficoltà, o è meglio cambiare. Io ho iniziato in un periodo in cui vi erano ancora maestri con atteggiamenti dispotici soprattutto in teatro. Non è stato facile. Ho tollerato situazioni che oggi rientrerebbero tranquillamente nel mobbing e non sarebbero probabilmente accettate. Però ero mossa da una tale passione che sono riuscita a superare quei momenti duri e che oggi, invece, non tollererei più. Certamente da ogni esperienza si impara qualcosa e se ho avuto maestri che mi hanno insegnato un mestiere, da loro ho imparato anche come non comportarmi coi miei collaboratori cui, invece, porto rispetto, mettendoli anche nelle condizioni ottimali per esprimere il loro talento.

“Turandot – Princess of China” di Monica Manganelli (Per gentile concessione di ©Monica Manganelli)

Bisogna poi credere in sé stessi, perché se non credi tu nel tuo potenziale, perché dovrebbe farlo un’altra persona? In vari situazioni ho incontrato persone che mortificavano il mio lavoro. Dicevano che non ero all’altezza di svolgerlo, ma io ero molto consapevole del mio valore e ho tenuto duro per dimostrare che si sbagliavano! E avevo ragione! Quando qualcuno ci umilia, bisogna allontanarsi immediatamente da questi atteggiamenti malsani, e l’ho imparato con la maturità.

Oggi le cose sono leggermente cambiate. Un tempo di donne ce n’erano poche nella scenografia in teatro, e nei vfx ma si fa fatica anche oggi a trovare qualcuno che ti ascolti anche solo per  presentargli un progetto. Da noi c’è un muro quasi impossibile da sfondare per le donne intraprendenti ed ambiziose, nel senso positivo del termine, che vogliono emergere. Anche perché il mondo del teatro lirico è molto più chiuso del cinema e non c’è, come in quest’ultimo, la possibilità di sperimentare come indipendente. Detto questo, se le cose dette sopra non ti hanno spaventato, e ancora ci credi, allora puoi provarci!

“The colors of war” videoinstallazione di Monica Manganelli (Per gentile concessione di ©Monica Manganelli)

Quali sono i suoi prossimi progetti e impegni professionali?

Sono diversi i progetti cui sto lavorando, alcuni in sviluppo, altri già in produzione. Sto riprendendo in mano appunto Turandot come produzione cinematografica, come anticipato. Ho un progetto ambizioso sperimentale che ho presentato ad un teatro italiano riguardo Bach, la sua musica e biografia, che unisce appunto il linguaggio della animazione-cinema con quello musicale-teatrale, ideato, scritto e disegnato da me, pensato proprio per il digitale e VR. Abbiamo fatto un primo test, continueremo a lavorarci per tutto il 2021, con l’idea che sia pronto per l’autunno dell’anno prossimo. Nell’immediato, adesso ad inizio anno, sono stata chiamata, inoltre, da uno studios per fare la supervisione creativa ai vfx di un film internazionale e mi occuperò di alcune mostre/videoinstallazioni, di cui non posso dire nulla.

“The colors of war” videoinstallazione di Monica Manganelli (Per gentile concessione di ©Monica Manganelli)

Inoltre, a proposito di multidisciplinarietà delle arti, sto preparando una trilogia di produzioni/progetti di opere liriche, sperimentali, e innovative nella loro fruizione e in relazione allo spazio, dedicate al tema della donna, di cui mi occuperò sia di regia/drammaturgia che aspetto visivo, sperando vedano la luce nel 2022. È ora che, nel 2021, siano le donne a raccontare sé stesse, col loro punto di vista. Voglio quindi dedicarmi a sperimentare come regista/autrice differenti linguaggi espressivi mescolandoli, in cui la drammaturgia visiva va di pari passo come la azione scenica e il contenuto.

“The colors of war” videoinstallazione di Monica Manganelli (Per gentile concessione di ©Monica Manganelli)

Poi ho sempre nel cassetto quei due o tre film, citati sopra, oltre a Turandot a cui vorrei lavorare prima o poi. Ho avuto altri contatti per progetti interessanti in vari ambiti. In pratica, una sola cosa per volta non riesco mai a farla e porto avanti in contemporanea differenti progetti! Tutto dipenderà come si riuscirà a programmare il prossimo futuro, perché siamo consapevoli nel comparto che ripartire non sarà facile perché bisognerà rischiare nel teatro, nel cinema e nella cultura. Chissà chi davvero avrà il coraggio di farlo?

Ed è con questa ultima interessante e stimolante riflessione che ringraziamo e salutiamo Monica Manganelli di essere stata con noi. Prima di lasciarci, però, desidero segnalarvi il sito internet della nostra ospite dove troverete tante bellissime immagini e tutte le informazioni riguardo il suo lavoro e la sua carriera:

https://www.monicamanganelli.net

 

 

 

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