La Rubrica online “Piazza Navona” ha letto per voi la silloge Reliquario carnale (Fallone Editore) di Giancarmine Fiume che torna a trovarci e a raccontarci della sua poesia. Perciò… non perdete il consueto Incontro con l’Autore!
La trama
Oltre settanta componimenti definiscono la silloge Reliquario carnale di Giancarmine Fiume. Il quale – nomen omen – proprio come un fiume in piena lascia liberi di esprimersi i suoi versi e, quindi, i suoi sentimenti e le sue emozioni più profonde. Versi che ruotano attorno a un viaggio dal nord al sud andata e ritorno e, a loro volta, si aggrovigliano alla figura della Sibilla Pavese, ovvero l’amata e simbolo d’amore. Così, i componimenti di Fiume in un moto di rivoluzione e rotazione compiono non solo un viaggio geografico ma anche nell’animo dello stesso Autore e del lettore che, a sua volta, si lascia benevolmente guidare.
Sul libro
La Rubrica online “Piazza Navona” è felice di ospitare ancora una volta il poeta Giancarmine Fiume che i nostri lettori hanno già avuto modo di conoscere e incontrare in occasione della pubblicazione della precedente silloge ¡u!
Quest’oggi, infatti, vi presentiamo e raccontiamo della sua nuova silloge Reliquario Carnale pubblicata nel giugno 2022 da Fallone Editore e inserita nella Collana “Il fiore del deserto”, la cui prefazione è stata curata da Maurizio Cucchi, poeta e critico letterario milanese.
Reliquario Carnale è una raccolta di oltre settanta poesie suddivise in due sezioni: Ciumareddu e Mambruch. Si tratta rispettivamente di un quartiere di Nizza di Sicilia (provincia di Messina) dov’è nato il papà di Giancarmine Fiume e il quartiere della Rovellasca (in provincia di Como) dove vive il nostro Autore. Sud e nord. E ritorno. Un viaggio dal nord verso sud. Dalla Lombardia alla Sicilia. Dalla propria casa alle proprie radici, alla famiglia. Questo è ciò che rappresenta Reliquario carnale. Ovvero un viaggio ideale, mentale e fisico che il poeta affronta e compie tenendo sempre davanti a sé, quasi fosse la sua bussola e la sua guida, la Sibilla Pavese. L’amore e l’amata cui è rivolta questa sorta di monologo che Fiume intesse verso dopo verso. Un monologo che, però, sa essere anche dialogo per il suo aprirsi verso l’esterno, per il suo interrogare e rivolgersi alla Sibilla Pavese (mi abbevero alla tua bocca smagliata), simbolo e incarnazione dell’amore e dell’essere amato. Ed è così che il poeta racconta se stesso mettendo in atto una vera e propria narrazione ben scandita da una punteggiatura puntuale e da un sapiente uso del verso e della parola che non permettono fraintendimenti o imprecisioni.
Malpensa Terminal 1, lunedì dodici agosto.
Il bagaglio attende in stiva già da un’ora, nel ventre
d’acciaio dell’aeromobile gravido.
Ho già avvisato i parenti.
Le voci sintonizzate su frequenze incompatibili
come vecchi cinegiornali stranieri e sciami
vorticanti di comparse in mondovisione.
È il nostro primo decollo, Sibilla Pavese,
e uno sconforto
epidurale comincia a salire. (…)
Io non sono nulla eppure tutto mi appartiene è con queste parole che Fiume ci lascia entrare nel suo mondo e prendere parte al suo viaggio. Fisico e mentale. Reale e ideale. Certamente poetico. Ed è vero che tutto gli appartiene poiché egli è in tutto: in tutto ciò che vede e tocca, nello sguardo e nel riflesso della sua Sibilla Pavese, musa, compagna, amica, amante… ogni ruolo è suo vivendo così mille volte, essendo così mille volti. Infinite anime. Un essere tangibile è la Sibilla Pavese di cui Fiume ci descrive e rende partecipi del suo avvicinarsi a lei, del suo tocco che diviene tangibile, visibile, percepibile, d’impatto quasi a ricordare, come sensazione, la stretta di Plutone sul corpo di Proserpina nel celebre gruppo scultoreo realizzato da Gian Lorenzo Bernini tra il 1621 e il 1622 e conservato presso la Galleria Borghese di Roma.
Allo stesso tempo, i versi di Fiume rivelano anche la sua fragilità di uomo che crede di non essere nulla
Che basti un solo colpo di tosse,
l’esitare di un secondo,
per farci precipitare
dai margini del mondo.
Eppure è proprio nella seconda sezione delle poesie che i versi, forse ispirati dalla bella e vulcanica terra di Sicilia, diventano ancora più vivi e vivaci e l’amore, la rappresentazione della Sibilla Pavese ancor più viva e palpabile:
Tu, Sibilla Pavese,
sposa del fiume
abbeveri la mia anima
arida, ruvida ed avida.
Quando il tuo sorriso sorge
sul lato oscuro del mio viso
e si sciolgono i ghiacciai
nella vita che risorge,
nella semina del riso,
io mi specchio nell’incavo
della tua mano.
Ed è con questa bellezza e questo ristoro nel cuore e nell’anima che Fiume torna al nord, alla sua casa lì dove la poesia continua a vivere, a viaggiare nel suo duplice muoversi in rotazione e rivoluzione. Di se stesso. Della sua anima. Della sua scrittura che continua in un continuo evolversi…
Incontro con l’Autore
Come nasce la sua silloge Reliquiario carnale?
Reliquiario carnale è la continuazione/conclusione del precedente lavoro. Esso nasce dal ricordo e successiva poetizzazione di una vicenda reale assurta a metafora della mia stessa esistenza.
Perché ha scelto questo titolo per la sua raccolta di poesie?
Il titolo originariamente pensato e tenuto fino quasi all’ultimo era un altro ma poi si è optato per Reliquiario carnale in quanto ben esemplificativo dell’esperienza vissuta in prima persona. L’unione dei due termini tratti, l’uno dal sacro e l’altro dalla sfera erotica, è intenzionalmente volta ad esprimere la duplice natura delle emozioni narrate. È un titolo, a mio modo di vedere, forte e persino crudo nella sua completa aderenza al contenuto.
So che sto per farle una domanda forse scomoda ma… come nasce una poesia?
Per me scrivere una poesia significa letteralmente morire nelle cose per rinascerne arricchiti di nuovo senso. È un processo doloroso, la crisalide di nuovi mondi.
Come già accaduto nella sua precedente silloge ¡u! anche in Reliquiario carnale si (ri)trova una forte componente autobiografica. La sua vita, il suo mondo interiore quanto le sono di aiuto nella creazione dei suoi versi?
I miei versi parlano sempre della mia vita non contemplando elementi immaginativi poiché sono fortemente convinto della necessità del reale nell’arte. In tal senso credo che un poeta non possa mentire per il semplice fatto di non esserne capace. Il forte elemento autobiografico che caratterizza le mie poesie, lungi dal costituire un ostacolo, è per me risorsa imprescindibile con cui interloquire per comprendere meglio chi sono.
In Reliquiario carnale si compie un duplice viaggio: non solo da nord a sud ma anche nelle sue origini e nella sua interiorità. Qual è stato il passaggio, il sentimento, l’emozione o il momento più difficile da tradurre in parole?
Il momento più difficile è stato senz’altro quello dell’abbandono che può essere visto come una sorta di “tradimento” dell’esserci ma è anche il punto di partenza necessario alla rinascita sia personale che poetica.
Al centro dei versi che compongono Reliquiario carnale vi è la figura della Sibilla Pavese, una sorta di Beatrice che guida i suoi sentimenti e le sue emozioni. Può dirci qualcosa di più riguardo questa figura così etera eppure così presente e incisiva nella sua poesia?
La Sibilla Pavese è una donna bellissima quanto inesorabile, il centro gravitazionale dell’opera che si regge su delicati equilibri precari. Sempre presente anche quando non viene menzionata, è una donna che non salva né redime ma il cui passaggio è sufficiente per “piegare la luce”. La mia opera, in un certo senso, vuole anche essere una testimonianza del lato oscuro dell’amore, quello cioè dell’implacabilità di un sentimento cui non ci si riesce a sottrarre né tuttavia ad abbandonare completamente. In questi versi l’amore viene subito come “doloso” e non vi è un vero movimento verticale di caduta/ascesa quanto piuttosto un reiterato tentativo di sopravvivere. L’autore, insomma, è “condannato” ad amare la Sibilla Pavese.
Secondo lei qual è la difficoltà maggiore che si riscontra nell’ideazione e nella scrittura di versi poetici?
Chi scrive versi poetici corre costantemente il rischio di accartocciarsi su se stesso nella autoreferenzialità. La Poesia nasce sempre nel seno dell’individualità ma poi deve necessariamente valicare i limiti dell’io poiché per propria natura la Poesia parla e per parlare ci deve sempre essere un tu in grado di ascoltare. Lo sforzo più dispendioso il poeta lo compie in questa sorta di salto nel buio, diciamo pure che egli sia il primo vero traduttore nell’accezione originaria del termine di chi “conduce oltre”.
Quella che sto per farle credo sia una domanda che nessun autore, poeta, scrittore e artista vorrebbe mai sentirsi chiedere. Io ci provo: qual è il suo verso o il suo componimento cui sente di aderire completamente e profondamente?
“L’amore è l’unica malattia che ci guarisce”.
Quali sono i suoi prossimi progetti di scrittura?
Sto già lavorando alla prossima opera poiché la Poesia, come i sogni, non dorme mai.