La Rubrica online “Piazza Navona” è felice di ospitare Rosaria Di Donato e di presentare la sua silloge “Preghiera in gennaio” (Macabor Editore). Non perdete l'”Incontro con l’Autrice”. Buona lettura!
La trama

Preghiera in gennaio è una raccolta di trentasei componimenti della poetessa romana Rosaria Di Donato animati da una solida fede religiosa che dà certezza, per chi crede, divenendo anche fonte e spunto di riflessione e ragionamento. Parole, versi e poesie che attraverso la religione mostrano e narrano le brutture, le difficoltà e le incertezze del mondo e del nostro momento (storico). Pandemia, lockdown, indifferenza, guerra, morte… questi sono solo alcuni “argomenti” affrontati e vissuti nella poetica di Rosaria Di Donato il cui percorso di Fede supera la parola per avvicinarsi quanto più possibile all’Assoluto.
Sul libro
Nel 2021 Macabor Editore pubblica nella “Collana di poesia” la silloge di Rosaria Di Donato dal titolo Preghiera in gennaio. Trentasei componimenti di matrice religiosa come suggeriscono alcuni titoli: lazzaro e gesù, bernadette e gesù è asciugato dalla veronica, solo per citarne alcuni. La poetessa, però, si spinge ancora oltre facendo suo il Padre Nostro che diviene una poesia-preghiera attualizzata, contemporanea, umana ovvero ponendo al medesimo piano chi legge-prega e Colui al quale tale lettura-preghiera è rivolta:

padre nostro
dio di tutti
pace imploriamo
suscitala nell’intimo
del nostro essere
ché invada le nazioni
figlia della giustizia
e del confronto
del rispetto e del dialogo
del bene comune
Tale parità di intenti e di dialogo lo si riscontra anche dalla scelta dell’Autrice nell’abolire qualsiasi maiuscola, qualsiasi atto di referenzialità facendo del Divino l’umano, del Padre l’uomo. Si può dire a gran voce che le poesie di Rosaria Di Donato, per quanto non possa sembrare soffermandoci in superficie, sono di stampo quasi laico, dedicate e aperte anche ai non credenti, ai non praticanti, agli atei, agli agnostici… sono versi che si aprono a uno scambio, a un incontro, a un dialogo – come si è appena accennato – tra esseri umani, tra persone che (con)vivono e affrontano (ognuno attraverso la propria storia e la propria realtà) destini e fatti comuni. E, forse, proprio per questo motivo è doveroso sottolineare che la silloge ha lo stesso titolo della meravigliosa canzone che Fabrizio De André dedica nel 1967 alla tragica morte di Luigi Tenco i cui versi cantano (è proprio il caso di dirlo!):

… Dio di misericordia
Il tuo bel Paradiso
Lo hai fatto soprattutto
Per chi non ha sorriso
Per quelli che han vissuto
Con la coscienza pura
L’inferno esiste solo
Per chi ne ha paura
Meglio di lui nessuno
Mai ti potrà indicare
Gli errori di noi tutti
Che puoi e vuoi salvare
Ascolta la sua voce
Che ormai canta nel vento
Dio di misericordia
vedrai, sarai contento…

Questa scelta è particolarmente interessante perché i versi di De André cantano di un suicida e sappiamo bene qual è e qual è stato il rapporto della Chiesa con chi ha deciso per libero arbitrio di porre fine alla propria esistenza. Ecco, anche attraverso la scelta del titolo della sua silloge, Rosaria Di Donato poggia la “prima pietra”, una solida base di quel ponte di comunicazione che deve esserci tra Chiesa e comunità, tra fedeli e non fedeli.
Quelle della nostra poetessa sono poesie-preghiere proiettate al futuro visto e atteso con realismo eppure con fiducia, quella propria di chi ha non solo fede nel domani ma Fede nell’Assoluto. Sono versi che si schierano contro ogni indifferenza e aborrono ogni forma di violenza. La morte diviene occasione di rinascita, di ritorno, di possibilità, di nuova vita e tutto attraverso gli occhi dell’Autrice, illuminati dalla Fede, hanno la loro verità, la certezza di un appoggio e di una consolazione. Coloro che nutrono la stessa Fede non possono che ritrovarsi in questi versi nati e disposti su carta in modo così naturale e spontaneo. Coloro che, invece, hanno le loro riserve, i propri dubbi non possono non apprezzare questo sguardo così puro, reale, pulito e il suo onesto e leale bisogno e ricerca di dialogo, di confronto, di scambi di parole. E questo è possibile quando c’è umanità e un comune desiderio – di chi legge e di chi scrive – di ancorarsi a qualcosa o Qualcuno di solido, a valori e virtù reali che ognuno “santifica” come sente facendone la propria religione. Morale, civile e spirituale.
Incontro con l’Autrice

Come e quando è avvenuto il suo incontro con la scrittura?
Ho iniziato a scrivere sin dall’adolescenza, ero anche un’attenta lettrice di poesia e di prosa e lo sono tuttora. Però non ho mai pensato di pubblicare i miei testi né di farli leggere a qualcuno: li tenevo per me come in un mondo segreto; poi, in età adulta, per caso ho incontrato il mio primo editore e ho pubblicato il mio libro: Immagini.
Come nasce il progetto editoriale di Preghiera in gennaio?
Nel 2017 ho pubblicato un ebook sul blog “Neobar” su consiglio di Abele Longo che mi ha invitato a dare un’impronta interamente religiosa a Preghiera in Gennaio poiché era una vena ricorrente nella mia poesia. Poi, lentamente, ho maturato l’idea di scrivere un’intera raccolta di carattere spirituale poiché la mia ricerca in tale direzione, da un lato, e i tempi che viviamo, dall’altro, impongono di creare uno spazio interiore al quale attingere continuamente per dare risposte feconde e positive all’esperienza esistenziale personale e collettiva. Del resto anche la scrittura poetica è già in se stessa un percorso di edificazione nella e con la parola.

Perché ha scelto per la sua silloge lo stesso titolo di una celebre e bellissima canzone di Fabrizio De André?
Perché volevo che fossero preghiere laiche, per tutti, anche per i non credenti; e perché volevo che l’aspetto musicale e umano non fossero in secondo piano: insomma non volevo una preghiera biascicata e dolente ma ritmica e scandita dalle immagini. Una preghiera ricca di sentimenti umani in cui ognuno si potesse ri-trovare a partire dalle esperienze della vita reale. Insomma, ho preso Dio e i Santi e li ho portati giù dal cielo, in mezzo a noi perché ognuno ci si possa ri-conoscere e perché ognuno possa pregare sentendosi meno solo. La canzone di De André poi è bellissima e anch’io, come lui, ho voluto dare agli sconfitti e ai persi, quali tutti noi siamo, soprattutto in questo momento storico, la speranza e la certezza dell’amore di Dio. Ho voluto accendere una luce nel buio delle nostre vite nei momenti tristi, in Gennaio quando la luce dei giorni è veramente poca, ma anche quando inizia il nuovo anno, un nuovo corso, o, una nuova lettura degli eventi grazie alla fede!
Perché ha deciso, se di decisione si può parlare, di dedicarsi in particolar modo alla poesia legata a una dimensione religiosa?

La mia poesia non trae ispirazione solo dalla dimensione religiosa ma da vari aspetti: lirici, sociali, affettivi, artistici, fatti di cronaca; civili… come si può vedere dalle mie raccolte precedenti. Questa volta però ho sentito dentro di me che i tempi erano maturi per una silloge dedicata alla dimensione spirituale e religiosa: ho avvertito l’esigenza di testimoniare la ricchezza della fede cristiana, di un Bene che è per tutti, di una Parola che può aiutarci a sperare, a risorgere, a costruire, a fortificarci dentro superando lo smarrimento esistenziale.
Nei suoi compimenti non compaiono le lettere maiuscole né la punteggiatura. A cosa si devono queste scelte particolari?
È una sorta di ribellione poetica alle regole canoniche della scrittura, ma è anche il desiderio di lasciar fluire liberamente il verso e i vocaboli così come li genera il respiro del poeta, il ritmo che lui vuole dare alle parole e ai significati trasposti nella pagina così come lui li vive e li forgia nella sua officina creativa. È una sperimentazione che mette a dura prova il lettore ma che, al tempo stesso, lo coinvolge nel gorgo della scrittura poetica scandita più dal suono e dalla posizione delle parole che non dalle regole della lingua scritta. Le minuscole trasmettono l’immediatezza, la confidenza con i lemmi che, nelle mani del poeta, sono tutti uguali: è lui che determina il loro significato e il loro valore secondo il contesto in cui li usa e nient’altro.

La sua silloge si apre con la poesia lockdown. Secondo lei, cosa ha significato e comportato questo periodo di chiusure e isolamenti forzati nel singolo individuo e nella collettività? Come si diceva qualche tempo fa: ne siamo veramente “usciti migliori” umanamente parlando?
Il lockdown e la pandemia globale che stiamo vivendo rappresentano un’esperienza molto dura che l’umanità sta attraversando. Il forzato isolamento, la virulenza e la persistenza del Covid-19 nelle sue molteplici varianti ci hanno imposto una battuta d’arresto e una doverosa riflessione sulla condizione umana che, almeno nelle civiltà del benessere, credevamo invincibile, quasi onnipotente. Ci siamo resi conto di vivere nell’apparenza e nella frivolezza; abbiamo dovuto rivedere il nostro concetto di libertà e trasformarlo in quello più appropriato di responsabilità; siamo stati costretti all’isolamento, al distanziamento, alla mancanza di contatto umano e, tuttora dobbiamo relazionarci agli altri con accortezza. Molti non hanno potuto congedarsi dai loro cari e li hanno persi all’improvviso, da un giorno all’altro. La spensieratezza di un tempo non esiste più, neanche la possibilità di progettare a pieno il proprio futuro, la propria vita: un senso di forte precarietà ci condiziona fortemente! Non so se siamo usciti migliori dalla pandemia, che è ancora in atto, ma siamo stati costretti a fare i conti con noi stessi, con le cose che contano veramente; abbiamo imparato a essere solidali, ci siamo sentiti fragili. Ora la guerra in Europa è sicuramente un’altra esperienza forte che ci scuote, che ci fa avvertire la precarietà della storia, l’insicurezza dei confini. Però anche questa esperienza ci interpella coinvolgendoci in un percorso nuovo sia umano sia politico: umano perché la condivisione, l’accoglienza dei profughi e l’aiuto che possiamo dare alle vittime sono un compito cui nessuno può sottrarsi; politico perché la democrazia è un bene che va difeso e sostenuto anche nei popoli che ancora sono istituzionalmente lontani dall’averla realizzata; l’impegno per la Pace, poi, è indiscutibile.

I suoi versi divengono una sorta di ponte tra la religione e l’umanità. In tal senso qual è stata la difficoltà maggiore che ha riscontrato nel concepimento e nella stesura dei suoi componimenti?
La difficoltà maggiore che ho riscontrato nello scrivere i componimenti è stata nell’attualizzarli; infatti, non avrebbe avuto alcun senso scrivere di cose già dette senza un aggancio con il reale, con le difficoltà che ognuno di noi vive quotidianamente. Inoltre ho dato importanza ai sentimenti e alla fantasia in modo che le persone possano ri-trovarsi nei vari personaggi o comunque immedesimarsi in loro, nelle loro storie. A volte, ho cercato di dare voce alle nostre paure, alle nostre speranze, alle nostre difficoltà. La mia poesia la definirei lirica e di ri-flessione, ma anche di lode, di ricerca esistenziale. Un cammino spirituale fatto di cadute e di slanci ma anche d’illuminazione: un percorso nella luce. Un canto ininterrotto nella fatica dei giorni ma sostenuto dalla fede e dall’esempio dei santi. Una preghiera, perché questo è il tempo di pregare per non smarrirsi tra le problematiche del mondo; forse è sempre il tempo di pregare, ma l’avevamo dimenticato!
Alcune poesie fanno riferimento a precisi episodi biblici: come ha operato e maturato queste scelte? Quali sono gli Autori e le opere che hanno formato il suo essere scrittrice e lettrice?

Le scelte ovviamente non seguono un filo logico, ma piuttosto, un percorso del cuore! Ho voluto dare vita a quei personaggi, a quelle persone che ho sentito più vicine: mi sono immedesimata nella vicenda di Lazzaro che si perde quando l’amico Gesù lo lascia per andare in Galilea; di Maddalena che non riusciva a essere felice; della Vedova di Nain che perde all’improvviso il suo unico figlio; di Francesco e Bernardo che si perdono nell’estasi; del Dalai Lama costretto all’esilio; della vicenda umana di Bernadette che è stata allontanata dalla sua grotta, dalla sua famiglia, dal luogo in cui era nata: ho visitato il convento di Nevers e ne ho riscontrato la grande freddezza e austerità, mentre per la giovane santa Lourdes era un mondo, il suo mondo pieno di vita, di affetti, il luogo in cui ha vissuto l’esperienza mistica dell’incontro con Maria… Mi sono immedesimata in Ruth, nella sua solitudine di giovane vedova e di straniera. Tuttavia, questo libro parla anche di me, di come sono, di come vorrei essere, delle cose in cui credo e che amo, della speranza che nutro per me e per tutti. Gli autori che hanno formato il mio percorso spirituale e di scrittrice sono molti: ho fatto riferimento a O. Wilde, a M. Luzi, alla Lenisa come già detto, ma anche a Francesco d’Assisi, Teresa D’Avila, Giovanni della Croce, Agostino, Kierkegaard… e molti altri. A volte ho fatto riferimento ai Vangeli apocrifi come nei testi: maria bambina giocava con l’agnello e oltre la veste; spesso alle Sacre Scritture.

Quanto c’è di Rosaria Di Donato nei versi che compongono Preghiera in gennaio?
Nel mio libro c’è molto di me! Innanzitutto la tenacia, la forza e la tensione con cui ho voluto scriverlo. Poi c’è la speranza che va oltre la disperazione delle cose sconnesse e deludenti, pericolose, del mondo e delle vicende che possono capitare a ciascuno di noi. Il libro ha anche un valore civile, quello di non cedere di fronte a un destino cupo, di morte ma di accogliere la fede e di attingere alla linfa vitale del cammino spirituale e testimoniare l’Amore di Dio per noi, per il creato. Sicuramente la mia esperienza nel Rinnovamento Carismatico Cattolico ha giocato un ruolo fondamentale nell’input alla stesura di questo libro. La mia formazione letteraria e personale poi attinge a varie fonti, come ho detto, ed è tuttora in cammino.

Quali sono i suoi prossimi impegni e progetti editoriali?
I miei prossimi progetti editoriali si concentrano intorno a una nuova silloge che non so se sarà interamente di afflato religioso, non credo… penso che inserirò delle poesie in spagnolo e in dialetto romanesco perché, ogni tanto, sento l’esigenza di esprimermi in altre idiomi, di seguire altri schemi linguistici…