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Letto per voi… “La teoria della carruba” di Antonietta Di Vito

La Rubrica online “Piazza Navona” è felice di proporvi la lettura di “La teoria della carruba. Con brevi accenni a come non ho imparato a cucinare” di Antonietta Di Vito (La Bussola Edizioni). E non perdete l'”Incontro con l’Autrice”!

La trama

Antonietta Di Vito, “La teoria della carruba” (La Bussola Edizioni, 2021)

Rammentare, rammendare, restaurare, riparare. Queste sono le parole d’ordine di La teoria della carruba dell’etno-antropologa Antonietta Di Vito. Il viaggio di una vita che, come in Proust, (ri)parte da un sapore: quella della carruba, un frutto che al palato risulta simile al cioccolato. Da qui l’Autrice ripercorre la storia della sua famiglia, della sua crescita, delle sue esperienze e di alcuni suoi incontri inserendosi nel più ampio contesto della Storia: dall’emigrazione all’epidemia di “Spagnola”, dal rapimento e assassinio di Aldo Moro al “massacro del Circeo” passando per la tragica morte del piccolo Alfredino Rampi. Non ci si inganni, però. La teoria della carruba, come afferma l’Autrice stessa, non è affatto una biografia ma un appassionato racconto. Di vita. Di (ri)nascita. Di (ri)scoperta e di (ri)appropriazione di sé. E la storia continua…

Sul libro

Nel settembre 2021 La Bussola Edizioni pubblica l’ultima opera dell’etno-antropologa dal titolo La teoria della carruba. Con brevi accenni a come non ho imparato a cucinare.

La Bussola Edizioni

Prendendo in prestito e parafrasando la celebre frase Ceci n’est pas une pipe che compare nella celebre opera del pittore surrealista René Magritte La trahison des images (1928-29), l’Autrice si affretta a precisare che il suo libro ceci n’est pas une autobiographie. Eppure la contaminazione dell’Arte all’interno del testo di Antonietta Di Vito non sono ancora terminate. Questa volta dobbiamo volgere lo sguardo verso Marcel Proust e la sua petite madeleine il cui sapore ne Alla ricerca del tempo perduto diviene evocazione di un ricordo e, quindi, di una parte radicata della (nostra) esistenza. Antonietta Di Vito sostituisce questo dolce di proustiana memoria (perdonate il gioco di parole) con la carruba: frutto del carrubo, consistente in un legume di forma piatta con esocarpo coriaceo, di color violetto e groppo mesocarpo di polpa biancastra e dolce. Per l’Autrice è così importante questo frutto e ciò che esso evoca tanto da dedicargli un intero paragrafo con tutte le spiegazioni e le informazioni utili al Lettore per capire di cosa si tratta.

Solo queste premesse sono sufficienti a rendere l’ultima fatica letteraria di Antonietta Di Vito meritevole di una curiosa e attenta lettura. E si può stare certi che le aspettative non verranno deluse. La teoria della carruba, infatti, seppur con la ferma dichiarazione che non si tratta di un’autobiografia diviene l’affresco di una vita in cui l’Autrice pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo, aggiunge sapienti pennellate di colore.

Antonietta Di Vito, “La teoria della carruba” (La Bussola Edizioni, 2021)

A volte con tinte più decise altre con tinte più tenui e delicate, quasi invisibili. La pagina diviene per l’Autrice terreno d’incontro con se stessa e la sua storia. Quel dolciastro sapore di carruba evoca in lei teneri e amari ricordi e vicissitudini di una vita portando a un interessante parallelo tra la microstoria e la macrostoria senza tralasciare cosa accade quando l’una si catapulta nell’altra e viceversa. Ed è così, con estrema naturalezza e semplicità che la vita di Antonietta Di Vito e di chi fa parte della cerchia dei suoi affetti si ritrova ad essere faccia a faccia con gli eventi politici, di cronaca e sociali che hanno sconvolto il nostro Paese negli ultimi cinquant’anni. Dall’assassinio di via Fani e il corpo esanime di Aldo Moro ritrovato nella Renault Rossa in via Caetani il 16 maggio 1978, alla terribile morte di Alfredino Rampi nel pozzo artesiano di Selvotta, nei pressi di Vermicino dov’era in vacanza con la famiglia, all’inenarrabile “massacro del Circeo” dove, tra il 29 e il 30 settembre 1975, perse la vita Rosaria Lopez mentre la sua amica Donatella Colasanti – dopo una notte di stupri e sevizie – riesce a “salvarsi” fingendosi morta.

Antonietta Di Vito, “La teoria della carruba” (La Bussola Edizioni, 2021)

Antonietta Di Vito ha vissuto questi fatti di cronaca quando era solo una ragazzina e li ritrova oggi, da adulta e donna formata e autodeterminata. È cresciuta l’Autrice eppure dalle sue parole, dalle sue “pennellate di colore” si scorge ancora il suo fanciullino interiore. Tutto diviene occasione di (ri)scoperta e di conoscenza di sé. Potremmo affermare che la scrittura e il testo di Antonietta Di Vito – in questa esperienza ben lontana dalla saggistica cui ci ha abituati – siano quasi terapeutici e propedeutici a una nuova, profonda, conoscenza e riconoscenza di noi stessi che spesso ci perdiamo nei mari indistinti dei social. Non è un caso che l’Autrice si ritrovi ad essere, proprio come Ulisse, Nessuno inteso come identità che va a unirsi a una società sempre più anonima ma anche come quell’identità silenziosa e che nessuno al di fuori di noi stessi conosce che scende in campo per salvarsi. Per salvarci.

Antonietta Di Vito, “La teoria della carruba” (La Bussola Edizioni, 2021)

Così, nella sua opera Antonietta Di Vito diventa uno, nessuno e centomila cercando di restare in piedi nonostante le grandi tempeste personali e della Storia, mimetizzata nell’ambiente che la circonda ma non per questo priva di identità, di forza e di nome. Tutto il contrario. Antonietta Di Vito trae vigore proprio dalle sue parole, dalle pennellate dei suoi ricordi, del suo essere in punta di piedi eppure protagonista della sua vita e testimone della Storia. Grazie al suo linguaggio semplice, diretto, appassionato, liquido per quanto scivola diritto al cuore del Lettore, Antonietta Di Vito regala un testo, un racconto vivo, colorato, intenso che diviene il ritratto non “solo” di una donna e del suo essere ma della sua epoca.

Incontro con l’Autrice

La scrittrice Antonietta Di Vito

Innanzitutto grazie per queste domande: belle, puntuali, sono un’occasione anche per me per riflettere sul mio percorso…

Come è avvenuto il suo primo incontro con la scrittura?

In un certo senso ogni volta è la prima volta, perché ogni volta non è “mestiere”, tecnica, anche se l’esperienza e la pratica hanno la loro importanza; ho scritto tanto e in generi diversi, ma ogni volta “la pagina bianca” è al tempo stesso promessa e minaccia, occasione e rischio…

Come nasce il progetto editoriale de La teoria della carruba

Questo è un fatto per me abbastanza curioso. Le racconto precisamente come è andata. In passato avevo già scritto una certa quantità di testi di altro genere ma non avevo mai pensato di poter usare il genere narrativo e letterario. Da adolescente avevo scritto poesie, ma chi non scrive poesie da adolescente? comunque, dopo aver incontrato la scrittura scientifica pensavo che mai più avrei potuto scrivere qualcosa che non fosse un saggio, per quel senso di precisione chirurgica che ne emanava. Nel corso degli anni però un paio di persone, esperte di scrittura e che conoscevano in maniera approfondita il mio lavoro di ricerca mi avevano suggerito di raccontare in forma diversa quelle storie. Non ero in grado allora di comprendere cosa intendessero dirmi. Poi, in anni recenti, la cosa si è ripetuta. Non ne ero convinta, ma ha insistito: tu hai una storia da raccontare.

Antonietta Di Vito, “La teoria della carruba” (La Bussola Edizioni, 2021)

E a quel punto ho compreso cosa dovevo fare, anche se queste storie non hanno nulla a che fare con la ricerca precedente. Avevo pensato di scrivere qualcosa che ruotasse intorno a ricette del territorio, quella straordinaria sorta di etnografia che scrisse Artusi nel testimoniare pratiche e culture del cibo. Avevo in mente delle immagini di tentativi di cucinare fallimentari, per me questa mia incapacità a cucinare è il segno di una tradizione e trasmissione di saperi e pratiche che si è bruscamente interrotta. Poi ho capito che dovevo usare la prima persona, mettermi in gioco più intimamente. Accettare inoltre la scommessa di scrivere di quella regione che “non esiste”, insieme alla constatazione che mio figlio non avrebbe saputo niente della terra in cui ero vissuta, di come era la mia infanzia in quel tempo che ora appare così distante e diverso, perché non ne esiste un racconto corale, ecco tutte queste ragioni mi hanno convinta che forse poteva valerne la pena.

All’inizio del suo libro è ben specificato, riprendendo un’opera di Magritte, che non si tratta di un’autobiografia. Come descriverebbe questa sua opera?

Mi piacerebbe dire che è una fiaba, è così che pensavo a quel che scrivevo mentre lo facevo. Una fiaba interrotta forse, dove non tutte le funzioni di Propp sono realizzate. Del resto se l’interruzione non fosse stata brusca l’effetto di straniamento sarebbe stato meno efficace. Chi si occupa professionalmente di letteratura e di scrittura parla però con più appropriatezza di childhood memoir: probabilmente i cambi repentini degli ultimi decenni inducono tanti a documentare, raccontare, fissare quel che è stato solo pochi anni fa.

Antonietta Di Vito, “La teoria della carruba” (La Bussola Edizioni, 2021)

Quanto è importante il ricordo e il concetto di “radice” inteso come tessuto familiare e luoghi di appartenenza?

La nostra cultura è impregnata, a torto o a ragione, dell’idea che ci sia da qualche parte un’origine, o uno strato di qualcosa più vero o più antico dia senso al presente, pensiamo all’importanza dell’archeologia e della sua tradizione di studi, o alla psicanalisi, alla linguistica… ecco, io sono dentro questo mondo che è diventato parte del mio stare al mondo, della mia ricerca di senso, non potrei farne a meno, anche se a volte sarebbe bello alleggerirsi da questa tradizione.

Ne La teoria della carruba vengono citati Pavese, Verga, Salgari… Quali sono le opere e gli Autori che hanno influenzato e formato il suo essere lettrice e scrittrice?

Tutti quelli che ha citato e certamente altri, non necessariamente di genere letterario o narrativo. Nella consapevolezza che esistono opere bellissime e straordinarie alle quali potrei forse aggiungere ben poco ho comunque provato a cercare e sperimentare la mia strada. Per questo libro però avevo in mente Joâo Guimaraes Rosa e i suoi racconti del Sertâo, letti circa trent’anni fa. Sapevo che mi sarebbe piaciuto se fossi riuscita a comunicare quella stessa sensazione di incanto, di sogno, nella descrizione di luoghi e sensazioni perché pur descrivendo luoghi e situazioni che sono stati reali la distanza nel tempo e nello spazio li rende non meno di fantasia dei quelli descritti da Guimaraes Rosa: esistono ormai soltanto nella mia immaginazione e in quel “teatro della memoria” che ogni tanto vive dentro di me…

Antonietta Di Vito, “La teoria della carruba” (La Bussola Edizioni, 2021)

Nel suo libro racconta “non solo” la sua storia ma quella di un Paese: dall’emigrazione dei nostri nonni al massacro del Circeo passando per l’assassinio di Aldo Moro. Quanto è importante riuscire a mettere in relazione e far incontrare la nostra microstoria con la macrostoria?

Mi capita molte volte di spiegare, raccontare, la Grande Guerra: le perdite subite dagli italiani, le trincee… ed ogni volta la mia mente viene letteralmente posseduta, mentre parlo, dall’immagine di quel fratello di mio nonno, poco più grande di lui, e il cui nome oggi è su una lapide in piazza, e mi pare ogni volta di vederlo partire da quella stessa piazza probabilmente, subito dopo l’entrata in guerra dell’Italia, insieme agli altri commilitoni, salutare i suoi cari, e da lì viaggiare fino al fronte, guardando lungo la strada i campi con i loro raccolti quasi pronti, e forse alla destra vedendo il mare, lui che certamente un viaggio così lungo non lo aveva mai fatto e che dopo meno di un mese era già morto, e del suo giovane corpo non si è saputo più nulla… Di lui non ho foto ma ogni volta e mille volte lo vedo partire e quella scena si ripete… i campi biondi di spighe e lui che attraversa mezza Italia per andare a morire al fronte… Ecco, ho capito che se non avessi parlato di lui, del suo sacrificio, qualunque altra cosa avessi scritto nella mia vita non aveva senso perché il dolore del singolo individuo, tutto questo Male della Storia, non trova giustizia nelle pur giuste celebrazioni postume. Ed il dolore di ogni Uomo è assoluto.

Antonietta Di Vito, “La teoria della carruba” (La Bussola Edizioni, 2021)

Lo scorso anno, in estate, durante un evento in una piazza di una località molisana, al cospetto di autorità politiche ed accademiche – io ero tra il pubblico – ho sentito l’intervento di alcuni giovani professionisti – belli, con un grande curriculum, certamente “realizzati” nelle loro brillanti professioni, emigrati in altre regioni italiane – che quasi imploravano di poter tornare a lavorare in Molise, imploravano che ci fossero le condizioni per poter lavorare senza doversi separare dalle loro famiglie ed affetti e luoghi: il loro dolore per la separazione dalla loro terra era a mio avviso superiore  a quello che vissi io ormai più di trent’anni fa, quando pensavamo che il sacrifico del partire avrebbe portato al miglioramento anche per  chi restava e che un giorno non ci sarebbe più stato bisogno di partire… A distanza di tanti anni, il fallimento delle politiche economiche e culturali ferisce ancora.

Ecco, prendere la parola è necessario anche perché la nostra storia non venga raccontata  solo da chi la Parola potente la detiene e la può dire.

In un certo senso nel suo libro si ritrova l’animo e lo spirito del suo essere antropologa. In questo senso la sua formazione, i suoi studi, le sue esperienze sul campo di ricerca quanto e come le sono stati di aiuto e di ispirazione?

Molto, forse radicalmente. Anche se non esplicitati, come in una sorta di caccia al tesoro, i riferimenti sono tanti. Come lei ha opportunamente rilevato, un lettore che sa di antropologia non fatica a individuarli. L’attenzione alla parola dell’Altro, la lingua, gli oggetti e la loro vita sociale, il cambiamento culturale e sociale che passa attraverso molteplici dispositivi formali ed informali. La dimensione del potere. Alla fine degli anni ’80, quando iniziai gli studi di antropologia, era molto forte l’attenzione al potere, sia come tensione conoscitiva che militante.  Potere che trova declinazione anche nei fatti di cultura ed anzi li plasma.

Antonietta Di Vito, “La teoria della carruba” (La Bussola Edizioni, 2021)

Ne La teoria della carruba lei parla spesso di mimetizzazione, della sua timidezza, di essere quel Nessuno che, come accade a Ulisse, in realtà è qualcuno con una sua forza interiore senza pari. Questo sentirsi spesso “un passo indietro” o timorosa di esporsi anche per esprimere i bisogni più naturali, più spontanei e semplici quanto hanno formato il suo essere donna sia intellettualmente sia psicologicamente?

Ripercorrere tutto questo percorso richiederebbe troppo spazio e risulterebbe forse dispersivo, preferisco rispondere in maniera sintetica ma non meno completa. Non è stato sempre facile, al contrario mi ha creato qualche fatica non necessaria, soprattutto fino a quando (ma mi capita tuttora) non ho trovato la mia misura. Credo però che questa condizione di essere talvolta non visti, in disparte, permette invece di vedere le cose come dal buco della serratura, cogliendo quell’intimità e verità della natura umana che ci si concede solo quando si pensa di non essere visti. Non solo. Ho maturato la consapevolezza che la verità delle cose non è solo quella che si mostra, che si ostenta. E che ciò che appare può essere diverso da quel che è, nel bene, ma moltissimo anche nel male. Per carattere o per strategia il dono del cavallo di Troia può rivelarsi sempre gravido di guerrieri vilmente nascosti.

Oggi a quella bambina e a quella ragazzina de La teoria della carruba cosa sente di voler dire ancora?

Antonietta Di Vito, “La teoria della carruba” (La Bussola Edizioni, 2021)

Che è il momento di rileggere Il giro del mondo in 80 giorni, al fresco di un albero, e poi ripartire, per provare a ripercorrere oggi le tappe di Phileas Fogg e del suo maggiordomo…

Dal progetto alla fase di stesura: qual è stato il passaggio più complesso o quello più semplice che si è trovata ad affrontare? E perché?

La cosa più semplice, diciamo così, è stato partire dalla citazione di Isaac Singer posta in epigrafe, perché descriveva molto bene anche il mio stato d’animo: l’incertezza sull’interesse che quelle mie storie del passato, in un mondo e in una lingua diversa, potessero interessare anche altri, una certa procrastinazione nel prendere la decisione di scrivere, la sensazione di sentirmi anche io una che ha dovuto lasciare la sua terra natale… Questo è stato semplice. È stato difficile, forse l’ultima cosa che ho fatto, decidere di troncare l’ultima parte di quella citazione che terminava così: “I giornali preconizzavano che da un giorno all’altro Hitler avrebbe invaso la Polonia”. La sensazione di una nube oscura che incombeva era per me netta, anche se il libro è stato consegnato ben prima degli ultimi eventi bellici, a luglio del ’21, e che ci fosse una enorme esplosiva tensione nell’aria era evidente appena si leggessero con più attenzione i fatti. Decisi di togliere questa parte della citazione, che rischiava di apparire enfatica. E nell’auspicio che quel che è accaduto nel secondo conflitto mondiale non debba nemmeno lontanamente essere evocato da altri fatti.

Antonietta Di Vito, “La teoria della carruba” (La Bussola Edizioni, 2021)

Quali sono i suoi prossimi progetti editoriali e professionali?

Vorrei spostare i fari su un altro pezzo della nostra storia da dedicare ai ragazzi nati nel 2004 che quest’anno per la prima volta voteranno in Italia. Non volevo che sembrasse un progetto legato agli eventi di questi ultimi mesi – anche se so che sarà impossibile prescinderne – quindi ho rivisto e ritrasformato il testo più volte e purtroppo per questa ragione non è ancora giunto a termine. In secondo luogo, secondo solo come ordine temporale, ho in mente anche un altro progetto di scrittura diciamo didattica –  che sto coltivando lentamente perché deve trovare la sua maturità – come atto d’amore per questa straordinaria città che è Roma, città eterna e madre che accoglie ed è sempre generosa di sé.

 

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