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I vincitori del Premio Letterario Nazionale “EquiLibri” 2019: “La magnifica illusione” di Nando Mainardi

La Rubrica online “Piazza Navona” vi presenta i finalisti del Premio Letterario Nazionale “EquiLibri” Edizione 2019: Nando Mainardi e il saggio “La magnifica illusione. Giorgio Gaber e gli anni ‘70” (Vololibero Edizioni). E non perdete il consueto “Incontro con l’Autore”!

La trama

Nando Mainardi, “La magnifica illusione. Giorgio Gaber e gli anni ‘70” (Vololibero Edizioni, 2016)

Giorgio Gaber. Il Signor G. È il 1970 quando il cantautore milanese decide di allontanarsi dal mercato discografico e dal piccolo schermo per dedicarsi al teatro e dare inizio a una nuova fase della sua carriera. È proprio in questo momento che Gaber decide di creare un nuovo rapporto e un nuovo dialogo con il suo pubblico che sia più libero e scevro da qualsiasi filtro. Il teatro, in questo, è la forma artistica che più si adatta al suo intento. Non dimentichiamo che il pubblico cui Gaber si rivolge è soprattutto quello della gioventù del Sessantotto forte e sicura dei suoi ideali (politici, morali, sociali e ideologici). L’Autore, così, con passione, attenzione e dedizione ci racconta della carriera di Giorgio Gaber, del suo passaggio da cantante a cantautore, della sua imprescindibile figura all’interno del “teatro canzone” e del suo incontro/scontro con le ideologie (politiche) che, spesso, lo hanno attaccato e non compreso sino in fondo. La magnifica illusione, così, diviene il racconto di un’Italia attraverso le canzoni, le parole, i pensieri e le convinzioni di uno dei cantautori più importanti e incisivi del secondo Novecento.

Sul libro

Nel 2016 la Casa Editrice indipendente Vololibero pubblica nella Collana “Fuori Sacco” il testo dal titolo La magnifica illusione. Giorgio Gaber e gli anni ‘70 di Nando Mainardi impreziosito dalla prefazione di Paolo Dal Bon (Presidente della Fondazione Giorgio Gaber) e dagli interventi del paroliere  Sandro Luporini.

Vololibero Edizioni

L’Autore nel raccontare l’identità artistica, ideologica e musicale di Giorgio Gaber compie un dovizioso e particolareggiato lavoro di ricostruzione del tessuto in cui l’artista si muove e realizza la sua carriera. Ma non solo. Mainardi, infatti, pone alla base del suo lavoro il concetto di “cantautore” spiegandone le origini (tale termine è stato usato per la prima nel 1959 dalla casa discografica RCAEnnio Melis e Vincenzo Micocci – per lanciare Gianni Meccia), le caratteristiche, le evoluzioni ricordandone i massimi esponenti italiani (soprattutto degli anni Sessanta). Tra questi ultimi vi sono: Gino Paoli, Enzo Jannacci, Umberto Bindi, Bruno Lauzi, Sergio Endrigo, Fabrizio De André, Giorgio Gaber e Luigi Tenco. Ed è proprio la morte di quest’ultimo avvenuta il 27 gennaio 1967 che riscuote le menti e le coscienze di buona parte del mondo musicale. Tenco prima di morire, infatti, lascia un biglietto in cui è scritto che il suo gesto vuole essere un atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e ad una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno.

Giorgio Gaber

Non è questa la sede per chiarire le modalità della morte del cantautore piemontese ma per capire, proprio come fa Mainardi, l’impegno profondo di questi artisti che fanno della musica e delle loro parole la voce della propria ideologia e del proprio impegno civile, politico e morale.

Così, La magnifica illusione. Giorgio Gaber e gli anni ’70 ci conduce in un viaggio nell’Italia della seconda metà del Novecento dove la musica italiana (come l’Italia stessa) era divisa tra Orietta Berti e Luigi Tenco, tra Bobby Solo e Giorgio Gaber. Insomma, un Paese spaccato a metà che nel tempo sembra essere rimasto coerente a questa spaccatura (con fortune alterne). Ed è in questo contesto che va a inserirsi la figura intellettuale e musicale di Giorgio Gaber il quale, dagli anni Settanta sino alla sua morte avvenuta nel 2003, è stato più volte attaccato e accusato di essersi allontanato dagli ideali puri di sinistra avvicinandosi a quelli di destra, di essere un qualunquista e un populista. Niente di più vero. E Gaber anche da questo ha tratto dei meravigliosi testi ironici, dissacranti e veritieri (pensiamo a Destra – Sinistra tratta dall’album La mia generazione ha perso del 2001). Tutto questo perché Gaber ha cambiato un poco la prospettiva verso il mondo esterno ovvero: come posso battermi per un mondo, per un ideale se poi non rispetto la famiglia, la donna – o uomo – che è al mio fianco che, in definitiva, sono le basi della società? In tal senso il cantautore ha anteposto l’”io” al “noi”. Ma non tutti lo hanno compreso.

Giorgio Gaber

E oggi? Oggi Gaber resta – assieme a molti altri della sua generazione” – uno dei più significativi interpreti e autori che attraverso la canzone hanno raccontato se stessi, le idee, i sentimenti e una realtà vera del proprio Paese. Una realtà che Gaber ha scelto di raccontare soprattutto a teatro liberandosi nel corpo e nella mente senza filtri, senza censura. Perché così è… la libertà è partecipazione. E “solo” per aver diffuso e creduto in questa idea con tutto se stesso, per aver voluto essere libero come un uomo appena nato e per aver creduto che

L’appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme, non è il conforto di un normale voler bene, l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.

Giorgio Gaber resta una delle menti intellettuali più vive della seconda metà del secolo scorso.

Giorgio Gaber

Tutto questo (e molto di più) Nando Mainardi lo racconta ne La magnifica illusione dando a noi lettori la possibilità di dare uno sguardo generale all’Italia dal 1970 ai primi anni del Duemila attraverso le parole e la musica di Gaber. L’Autore mostra al proprio lettore una parte della nostra Storia dandogli allo sesso tempo la possibilità di porsi domande, interrogativi e anche di trovare delle risposte. Inoltre, La magnifica illusione diviene una splendida occasione, attraverso la cura e l’attenzione con cui l’Autore l’ha realizzato, di scoprire, conoscere e comprendere l’impegno e il senso più profondo di Giorgio Gaber. Un uomo e un artista che merita di essere ricordato e (ri)conosciuto soprattutto dalle nuove generazioni affinché tutto quanto detto, fatto e raccontato non resti soltanto una “magnifica illusione”.

Incontro con l’Autore

Lo scrittore Nando Mainardi

Come è nato il progetto editoriale de La magnifica illusione. Giorgio Gaber e gli anni ’70?

Il libro è tratto dalla tesi di laurea che ho scritto qualche anno fa su Gaber. Ho successivamente lavorato sul testo – anche grazie ai consigli dell’editore Claudio Fucci (Vololibero) – cercando di “laicizzarlo” rispetto all’impostazione “accademica” iniziale e puntando a renderlo il più fruibile possibile. L’impianto è comunque quello della tesi: si tratta perciò un lavoro legato alle analisi sociologiche di Pierre Bourdieu, Marco Santoro, autore del saggio fondamentale Effetto Tenco e Alberto Melucci.    

Come è stato ricostruire la personalità artistica e ideologica di Giorgio Gaber?

Ascolto e seguo con grande interesse Gaber da quando sono adolescente, da più di trent’anni. Per molti versi, perciò, mi sono fatto un’idea su di lui in un arco temporale ampio. Quando mi sono messo a lavorare sulla tesi prima e sul libro poi, ho sì letto diverse pubblicazioni uscite sul Signor G, ma la mia interpretazione del suo percorso artistico e ideologico era in un qualche modo già “strutturata”. In particolare la convinzione che, pure nel quadro di una carriera lunga e ricca di successi, Gaber sia stato Gaber soprattutto negli anni Settanta: un decennio in cui la sua creatività artistica (è in quegli anni che lui e Luporini “inventano” il teatro canzone) e il suo interesse per la dimensione politica (basato sull’adesione al Sessantotto e sulla grande attenzione per i movimenti e i sommovimenti che ne sono scaturiti) si sono intrecciate in modo formidabile e irripetibile. Irripetibile: anche perché nel giro di pochi anni è poi cambiato significativamente il clima sociale e culturale del Paese, e lo stesso Gaber ne ha tratto le conseguenze dei contenuti dei suoi spettacoli. 

Giorgio Gaber

Giorgio Gaber quanto ha contribuito a rivoluzionare il panorama musicale e cantautorale italiano?

Certamente è stato un contributo assolutamente significativo e legato a diversi passaggi della storia della canzone. Gaber, per esempio, ha fatto parte di quel manipolo di “pionieri” che – tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta – cantavano canzoni, di cui erano anche autori, considerate inascoltabili e poco vendibili. Erano appunto i primi cantautori. Ma i loro passi iniziali hanno anche dimostrato, sviluppato ed esplorato, sin da subito, le grande potenzialità espressive delle canzoni, evidenziando che era possibile cantare la vita con le parole più o meno del quotidiano. Penso, per fare un esempio, a un brano dello stesso Gaber del 1960: La ballata del Cerutti. Quale cantante prima di allora aveva fatto di un marginale – un ladruncolo metropolitano di lambrette – il protagonista di una canzone? Chi aveva mai parlato prima, in un brano musicale, dei bar? Penso poi appunto al Gaber di fine anni Sessanta, quando gli stilemi e gli schemi compositivi ed espressivi di quella generazione di cantautori non funzionavano più, rischiavano di smarrire la freschezza e la dirompenza di poco tempo prima, e lui ha fatto il grande salto, rompendo con la canzonetta e “inventando” il teatro canzone, attraverso cui ha provato a dire la sua su quanto stava avvenendo sul piano sociale e politico. Ecco: in questi due passaggi Gaber ha contribuito fortemente a cambiare il campo della canzone e la stessa idea di cantante. Non è stato ovviamente l’unico, ma certamente l’ha fatto con una grande originalità.  

L’impegno artistico ma anche ideologico di Giorgio Gaber, secondo lei, è stato – ed è – realmente capito dal pubblico e dagli “addetti ai lavori”?

Complessivamente direi di sì: non mi pare che si possa dire che è stato un incompreso. Certo: non sono mancati singoli episodi negativi o fasi difficili. Nel 1978-79, per esempio, quando Gaber ha portato in scena Polli di allevamento. Si trattava di  un atto di rottura definitivo e frontale con i movimenti all’epoca attivi nel Paese. Non a caso fu da subito oggetto di contestazioni brutali – in fondo il suo pubblico era in gran parte quello giovanile e politicizzato – che spesso lo obbligavano a sospendere lo spettacolo. Credo però che Gaber fosse pienamente consapevole della situazione e che, per molti versi, pur soffrendone, cercasse a sua volta lo “scontro”, e che fosse sua intenzione evidenziare drammaticamente la chiusura senza appello di una fase. Oppure penso alle polemiche legate all’impegno politico in Forza Italia di sua moglie Ombretta Colli. Per quanto mi riguarda incomprensibili: che senso ha giudicare il percorso artistico e intellettuale di un cantante in base alla collocazione politica della consorte?

Giorgio Gaber, Il Signor G

Rimango infine molto perplesso quando leggo ricostruzioni del suo percorso artistico in cui vengono valorizzati unicamente gli anni Sessanta e gli ultimi anni della sua carriera e della sua stessa esistenza, mentre viene rimossa la lunga stagione del teatro canzone, in particolare appunto la fase degli anni ’70. Una rimozione che credo sia un dato più generale e abbia a che fare soprattutto con la rimozione più complessiva del Sessantotto e delle speranze che ha generato. Ma – tornando a Gaber – tutto questo non significa che non sia stata riconosciuto il suo spessore artistico e anche intellettuale.

Qual è l’eredità di Giorgio Gaber?

La parabola di Gaber, a mio parere, ci dice numerose cose e, a distanza di tempo, ha tratti ancora molto stimolanti. Per esempio, ci dice che è possibile essere artisti impegnati, attenti a ciò che avviene attorno a noi, senza per questo diventare organici a questa o a quella bandiera, e senza rinunciare alla propria libertà intellettuale e artistica individuale. Non a caso nei suoi spettacoli ha sempre espresso una grande diffidenza nei confronti dei processi collettivi e massificanti, chiedendosi che fine facesse la singola individualità. Inoltre, ci ha anche “detto”, con la sua lunga carriera, che un artista, se vuole rimanere legato alla contemporaneità, deve essere disposto a cambiare, rinnovarsi, buttare tutto all’aria e ripartire da zero, e non ripetere eternamente se stesso. Mi sembrano due aspetti molto importanti.

Guido Mastroianni (Presentatore della Cerimonia di premiazione), Chiara Ricci (Presidente dell’Associazione Culturale “Piazza Navona”) e la Signora Loredana Marino che ha ritirato il Premio per l’Autore – Ph. Francesco Corrado

Con La magnifica illusione. Giorgio Gaber e gli anni ’70 ha ottenuto il terzo posto nella sezione “Saggistica” del Premio Letterario Nazionale “EquiLibri” 2019 con la seguente motivazione:

Con attenzione e puntualità Nando Mainardi analizza l’uomo e l’attore Giorgio Gaber che, negli anni ’60-’70 del Novecento, fu artista dalla spiccata tensione morale e ideale. Protagonista nel mondo dell’arte della commedia e della commedia dell’arte, il Signor G. fu attento osservatore della umanità a lui contemporanea e protagonista del sogno di migliorare la società. In questo lavoro l’Autore riesce con acutezza  a mettere a fuoco quegli anni e il grande contributo che il cantautore milanese ha dato alla cultura italiana soprattutto con quello che definì il “teatro canzone”. Ma fu soltanto una Magnifica Illusione.

Cosa ha significato per lei e per la sua scrittura?

Giorgio Gaber

Mi ha fatto certamente molto piacere. Anche perché ho notato una particolare attenzione non scontata nei confronti dei libri che si occupano di spettacolo, cinema, teatro, musica, e quindi per me e per questo libro, “EquiLibri” – al di là dell’esito positivo – è stato l’ambito giusto, in cui mi sono trovato a mio agio.

Lei ha scritto anche il volume Enzo Jannacci. Il genio del contropiede (Editrice Zona) e L’importante è esagerare. Storia di Enzo Jannacci (Vololibero Edizioni): da dove nasce il suo interesse per la musica d’autore e, in particolar modo, per questi cantautori milanesi?

Parte, come dicevo, dall’adolescenza. Sono uno dei tanti che sono cresciuti e hanno costruito un proprio alfabeto sentimentale, politico e morale anche (forse dovrei dire soprattutto) ascoltando i cantautori. È il potere formidabile delle canzonette: penso a un lavoro meraviglioso come Non al denaro non all’amore né al cielo, che mi ha fatto scoprire L’antologia di Spoon River. E non viceversa. Devo dire che Gaber e Jannacci li preferisco da sempre a tutti gli altri: il primo per la sua capacità di usare il teatro e la canzone per esprimere uno sguardo complesso, sul piano sociologico e politico, sul mondo e sulla possibilità (e impossibilità) di cambiarlo; il secondo per il suo stare genialmente e follemente dalla parte di coloro a cui tutti gli altri dicono “No, tu no!”.

Giorgio Gaber

Se un giovane volesse scoprire Giorgio Gaber: quale canzone o quale brano del suo teatro canzone suggerirebbe di ascoltare e, se possibile, di vedere?

Suggerirei non tanto una canzone o l’altra – ci sarebbe l’imbarazzo della scelta – ma di perdere un po’ più di tempo e ascoltare un intero spettacolo del teatro canzone, a piacere. Sarebbe utile per comprendere l’approccio di Gaber, non basato su singole e “classiche” canzoni di tre o quattro minuti, e anche per capire un po’ di più del periodo a cui quello spettacolo si riferisce.

E qual è il brano di Gaber che lei preferisce. E perché?

Il dilemma, una canzone composta da Gaber e Luporini nel 1980. Si tratta di un brano di grande impatto emotivo che si presta a diverse interpretazioni. Parla di un uomo e una donna, e del loro fallimento amoroso. Ma in realtà credo – non sono il solo a dare questa interpretazione – che parli sottotraccia anche di altro: del fallimento di una generazione che ha provato a fare la rivoluzione negli anni precedenti. E cioè di quella “magnifica illusione” di cui parlo nel libro. Non a caso, nel testo della canzone affiorano di continuo vocaboli utilizzati solitamente nel linguaggio politico ma che qui sono insolitamente associati al lessico amoroso della coppia. Una parola come “resistenza” indica per esempio l’indisponibilità dei due protagonisti ad accettare la fine della propria relazione. “Personale” e “politico” sono quindi intrecciati fino a essere indistinguibili l’uno dall’altro. Considero Il dilemma un piccolo gioiello, in cui cose molto dolorose vengono dette con grande dolcezza, anche se alla fine, tra le macerie, affiora un po’ di speranza.

Oggi, secondo lei, in che stato si trova la “canzone d’autore” italiana?

Non sono un giornalista musicale, e il mio è un punto di vista personale, non molto informato, e rischio di dire qualche banalità. Credo comunque che la canzone d’autore sia attraversata da tempo da una consistente crisi d’identità. Non mancano quelli bravi, ma mi pare che tutto sia più complicato di qualche tempo fa. Quando per esempio si affaccia sulla scena un nuovo cantautore, il rischio – poiché tante cose sono già state cantate e la canzone d’autore è appunto un limone abbondantemente spremuto – è che in un modo o nell’altro assomigli già a qualcun altro che c’è già stato. È cioè molto più difficile, oggi, essere originali.

Giorgio Gaber

Inoltre mi sembra che ci siano pochissimi spazi a disposizione per chi fa canzoni di un certo tipo, punta ai contenuti e all’originalità. Ma questi sono discorsi generali. Magari domani arriva un nuovo Luigi Tenco che trova un modo mai sentito prima per esprimere nuovamente quelle parole meravigliose e scandalose – “mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare” – e valutazioni come queste vanno a farsi benedire. Lo spero. Del resto le cose che accadono sono sempre più forti e veloci delle teorie che le accompagnano, delle analisi degli “esperti”.

Quali sono i suoi prossimi progetti editoriali?

Sto lavorando su un paio di progetti, uno su un programma televisivo e l’altro sulla vita di un’attrice italiana. Senza fretta però.

Qui di seguito troverete il video della Cerimonia di Premiazione del Premio Letterario Nazionale “EquiLibri” Edizione 2019 tenutasi lo scorso 25 gennaio nel Salone di Rappresentanza presso il Palazzo di Città di Cava de’ Tirreni (Sa) – Riprese e montaggio di Alberto Accarino.

 

 

 

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