Il 26 settembre 1973 ci lasciava Anna Magnani. Oggi, cinquant’anni dopo, desidero ricordarla attraverso questo mio racconto. Un omaggio a una donna “diventata attrice” che mi ha insegnato ad amare il Cinema, la scrittura e, soprattutto, a mantenere sempre la testa alta.
Io non sono una mestierante. Se uno mi dice: “Sei una vera professionista”, io mi considero insultata. Fare l’attrice per mestiere è un’idea che non concepisco: che avvilimento, che squallore! Verso il lavoro non provo distacco né logoramento, nessuna noia derivante dall’abitudine. Niente routine, niente faciloneria, niente compromessi, niente “ma lascia perdere, che ti frega, tira via, vada come vada”. No. Su un personaggio giusto io mi eccito, mi appassiono. Lo scopro a poco a poco. Lo creo nel mio cervello prima ancora che davanti alla macchina da presa, me ne impadronisco. Sempre, e senza stanchezze: da più di venticinque anni. Ma un personaggio che non amo non posso interpretarlo. Non ce la faccio.
L’amore? Toglietemi pure tutto, l’Oscar, il denaro, la casa, ma l’amore no, non portatemelo via: l’amore è pioggia e vento, è sole e stella. L’amore è respiro e, lo so, lo so, è veleno. Certe sere mi dico: Anna apri l’occhio, questa è la cotta che ti manda al Creatore… Perché, vedi, lo ammetto, ho un carattere eccessivo e smodato. Non mi so frenare, ogni volta che amo mi impegolo fino ai capelli. Sapessi che strazio, poi, uscirne vivi, che tragedia scappare! E una mattina ti svegli nel letto e non hai più sangue. Ma poi ricomincia, ed è meraviglioso.
Anna Magnani
Sarebbero sufficienti queste poche e diversissime frasi a tracciare un ritratto completo ed esauriente di Anna Magnani nella sua veste di attrice e nella sua naturalezza di donna. Ma l’intento di questo scritto vuole spingersi un poco oltre e raccontare più nel profondo la recitazione e l’essere donna di Anna Magnani e per far questo ci serviremo di film, di interviste, di interventi, di racconti che possano rivelarsi utili al nostro intento. Si tratta di raccontare le due facce di una stessa medaglia che, nonostante siano considerate diverse per natura, in realtà non sono altro che una complementare all’altra. Questo perché la “donna” e l’“attrice” in Anna Magnani sono sempre state una materia inscindibile, indivisibile: queste due realtà sono sempre vissute l’una in funzione dell’altra e viceversa e, quindi, l’una non ha mai esclusa l’altra poiché questo avrebbe indirettamente significato la sua inesistenza, la sua irrealtà e, infine, la sua incompiutezza. Ed è solo partendo da qui, da questo solido punto fermo che si può scoprire e comprendere al meglio l’Arte di Anna Magnani.
Probabilmente molti di voi si staranno chiedendo: ma perché oggi ancora si parla di un’attrice come Anna Magnani? Beh, la risposta potrebbe essere molto complessa e molto articolata tale da toccare diversi aspetti e diversi ambiti: dalla storia al femminismo, dalla cinematografia alla letteratura… Qui ci limiteremo a dire “solo” questo (almeno per il momento): Anna Magnani ha contribuito a rendere grande e unico il nostro Cinema, è stata la prima attrice italiana ad essere insignita del Premio Oscar come Migliore Attrice (recitando in un film straniero e in lingua inglese) e, soprattutto, ha conquistato il suo posto nella Storia del Cinema rimanendo sempre fedele a se stessa senza mai dimenticare quei ruoli tanto importanti che solo la Natura assegna ovvero l’essere Donna e l’essere Madre.
Infatti, l’intenzione di questo articolo è quello di (ri)percorrere il percorso cinematografico dell’attrice senza mai perdere di vista ciò che realmente la circondava sia dal punto di vista storico-cinematografico sia dal punto di vista personale e umano osservando i successi e gli insuccessi, scoprendo e conoscendo le collaborazioni con registi, attori, attrici che l’hanno resa grande allo sguardo del mondo intero.
Ma procediamo con ordine.
Prima di ogni altra cosa è bene precisare e sottolineare un aspetto fondamentale nella vita e nella carriera di Anna Magnani: l’attrice è romana. È nata a Roma il 7 marzo 1908. È doveroso mettere subito in chiaro questo dato perché per molti anni l’attrice ha dovuto lottare per affermare quale fosse il suo luogo di nascita poiché in molti la volevano o la credevano di origine egiziana, di Alessandria d’Egitto per la precisione. Ed è la stessa Magnani ad affermare ad una giovanissima Oriana Fallaci che, abbastanza temerariamente, in un’intervista le rivolge una domanda a tal riguardo: Insomma: è la stessa storia di quando la gente si meraviglia perché la mia casa è piena di buon gusto e di libri. Ma quante volte ve lo devo spiega’ che non sono stata raccattata per strada, che ho fatto la seconda liceo, che ho studiato pianoforte otto anni, che ho frequentato l’Accademia di Santa Cecilia…? O come quando sostengono che sono nata da padre egiziano in Egitto. Ma io sono nata a Roma, da madre romagnola e padre calabrese, se non ci crede le do il certificato di nascita, in Egitto mia madre ci andò dopo che m’ebbe avuta. Aveva diciott’anni, non era sposata e a quell’epoca era uno scandalo, così andò in Egitto e io restai con la nonna: qui a Roma. Perché non c’è nessuna vergogna, sia chiaro, a ripetere che io non ho il nome di mio padre, ho quello di mia madre, che mio padre non l’ho conosciuto, di lui so soltanto che è calabrese. E allora perché mi vogliono a tutti i costi egiziana?[1]
Mentre ad una delle rarissime interviste Rai dichiara al giornalista Pietro Pintus: No, senta, non so chi ha messo in giro questa storia. (…) Non ci posso fare niente: uno sbaglio! Mia madre ha vissuto un po’ in Egitto e si è sposata in Egitto. E io l’ho raggiunta per un anno in Egitto e da questo è la faccenda della nascita in Egitto. Francamente, io voglio essere nata a Roma, perché sono nata a Roma[2].
Tutto questo è molto importante per comprendere ancora più a fondo la personalità, anche artistica, di Anna Magnani. Ad onor del vero va, però, detto che l’attrice, ormai donna matura, ha compiuto delle ricerche sul padre ma quando ha scoperto che si chiamava Pietro Del Duce pare abbia abbandonato ogni ricerca perché, non le piaceva l’idea di essere chiamata la “fija Del Duce”.
Così, la giovane Anna cresce assieme alla nonna, allo zio Romano e alle cinque zie Olga, Maria, Italia, Dora e Rina e cresce come una bambina priva dell’affetto dei propri genitori può crescere. Ma ben presto tutto sembra prendere una strada diversa e del tutto inaspettata. È l’autunno del 1926 ed Anna, sempre più curiosa di ciò che accade al quinto piano dello stabile dove si trova l’Accademia di Santa Cecilia, decide di andare a curiosare e di scoprire cosa fanno tutti quei ragazzi che ridono, piangono, si riuniscono tutti i giorni. Ad accoglierla c’è proprio uno di quei ragazzi, si chiama Paolo Stoppa, il quale spiega alla giovane che lì ha sede la Reale Scuola di Recitazione “Eleonora Duse” dove Silvio D’Amico e Ida Carloni Talli insegnano Storia del Teatro e Recitazione e la invita a iscriversi. Anna non ci pensa due volte e immediatamente abbandona lo studio della Musica e del pianoforte per dedicarsi al Teatro e alla recitazione. Altrettanto velocemente viene notata da Silvio d’Amico (cui oggi è dedicata l’Accademia d’Arte Drammatica) il quale racconta, Oggi a scuola ho visto una ragazza. È bravissima, un vero talento, ma non riesco a prenderla sul serio perché è uno sgorbietto, somiglia pari pari al patriarca di Gerusalemme[3].
Così, Anna Magnani inizia a frequentare i corsi per debuttare ufficialmente sul palcoscenico il 27 marzo 1927 nel saggio di primo corso recitando ne La donna curiosa di Carlo Goldoni e in Barberina di Alfred De Musset. L’attrice, però, non termina il triennio previsto dall’Accademia per ottenere l’ambito diploma ma lascerà la scuola l’anno successivo quando Dario Niccodemi, il più grande e importante impresario dell’epoca, la nota nel saggio finale del secondo corso e la vuole con nella sua compagnia per una lunga tournée in Sud America. Anna deve compiere una scelta: prendere o lasciare, poiché agli allievi non è permesso recitare come “professionisti” in spettacoli non organizzati dall’Accademia. Ma per Anna la voglia e il desiderio di recitare e di calcare le tavole di un “vero” palcoscenico sono troppo forti e decide di abbandonare gli studi, i suoi affetti e di partire per diventare una “vera” attrice.
Ed è vero. È proprio Anna a prendere questa decisione perché, afferma, Ho anche capito che non ero nata attrice. Avevo deciso di diventarlo nella culla, tra una lacrima di troppo e una carezza in meno. Per tutta la vita ho urlato con tutta me stessa per quella lacrima, ho implorato quella carezza[4].
Da questo momento la vita di Anna Magnani cambia radicalmente e si dedica completamente al teatro nonostante le soddisfazioni tardino ad arrivare e sia relegata solo a piccoli ruoli secondari. Infatti, è la stessa attrice a raccontare la sua esperienza nello spettacolo La partita a scacchi, tratto dall’omonimo testo di Giuseppe Giacosa, dove interpreta la parte di un paggio, Come mi avevano ridotta! I pantaloncini con lo sbuffo, le calze di due colori, in testa un berretto con le piume. Ero magrissima e timidissima. Mi guardavo le gambe così buffe, una gialla l’altra grigia, e mi sentivo terribilmente infelice. Dovevo entrare in scena e annunciare l’arrivo di un barone. Aveva un nome difficile o almeno così mi sembrava, lungo e strampalato, chi se lo ricorda, è passato così tanto tempo, so che cercai inutilmente di pronunciarlo: e più mi sforzavo, più consonanti si ingarbugliavano sulle mie labbra. Scappai tra le quinte piangendo, convinta che le mie ambizioni teatrali fossero per sempre stroncate. Ruggero Lupi, il caratterista della compagnia, mi rintracciò in un angolo, mi afferrò per la nuca e mi portò sulla scena di peso, come un gattino tremante[5].
Fortunatamente le convinzioni e lo spavento dell’attrice non sono che un errore e lo sfogo di un momento di scoramento. Dopo questo insolito e traumatico debutto, infatti, Anna usa l’esperienza teatrale (e quella dell’impresario Niccodemi) per mettersi continuamente alla prova e iniziare a delineare quel ritratto di attrice che è arrivato limpido, netto, onesto sino ai nostri giorni. Soprattutto Anna scopre di possedere un vero talento per la comicità che le ritornerà molto utile di lì a poco quando, nel periodo della seconda Guerra mondiale, la ritroviamo a calcare i più importanti palcoscenici italiani negli spettacoli di rivista, ovvero in quel teatro leggero fondato sulla parodia, sulla comicità, sull’ironia e sul non detto, per distrarre la povera gente dai disastri e dalle tragedie quotidiane.
Così, Anna inizia a lavorare con le compagnie più importanti della sua epoca divenendo, così, un’attrice riconosciuta e soddisfatta. Infatti, nel 1931-32 entra a far parte della compagnia di Antonio Gandusio e Luigi Almirante portando in scena un repertorio prettamente comico e vivace. Ma la vera consacrazione arriva con lo spettacolo dal titolo Tifo! il cui successo le fa persino guadagnare la sua prima copertina sulla rivista «Il dramma» del 1° luglio 1932 dove compare assieme ad Antonio Gandusio.
Il successo di Anna non si arresta: diviene una vera prima donna della scena teatrale dell’epoca sin quando si registra una battuta di arresto.
È il 1934 e il teatro sembra perdere le tracce della sua attrice tanto ammirata e amata. Ora è il cinema a reclamarla e Anna decide di mettersi in gioco, vuole tentare una nuova strada, vuole cercare di conquistare un pubblico diverso, più ampio, più popolare con i tempi e le modalità più rapide e più dirette che sono proprie del cinema che, di lì a poco, sarebbe stata considerato dal regime politico come “l’arma più forte”.
Diversamente da quanto si possa pensare, però, Anna non entra nel cinema dalla porta principale ma, ancora una volta, si trova ad accettare piccoli ruoli, brevi apparizioni e di interpretare ruoli secondari. Insomma, Anna deve ricominciare tutto daccapo da ’la signora è servita’; di esordire insomma dal gradino più basso. Questo tirocinio è utilissimo perché si compie davanti a un pubblico vero, a un pubblico che giudica senza riguardi. L’attore sente se gli spettatori lo seguono o non lo seguono, istintivamente si corregge, è costretto a studiarsi, impara. E impara anche osservando come si muovono e come parlano gli altri. Così si gettano le prime e vere basi di un attore. Confesso di parlare per esperienza personale, però sono certa che se molti di coloro che si dedicano al cinema compissero questo tirocinio se ne vedrebbero ben presto i risultati visibili e sensibili. La verità è che nessuno oggi ha il coraggio di guadagnare poco e di battere una strada faticosa e ingrata. Però è la sola che esista. Tutte le altre, scuole per attori comprese, non portano a nulla o danno scarsissimi risultati[6].
Ma c’è anche un altro motivo per il quale Anna decide di allontanarsi per un poco dal teatro: l’amore. L’attrice conosce il regista Goffredo Alessandrini nel 1931, periodo in cui sta girando il suo film dal titolo La segretaria privata in cui ricopre la carica di responsabile del doppiaggio dei film hollywoodiani targati Metro Goldwyn Mayer e dopo averla vista recitare le chiede di prestare la sua voce a Greta Garbo. Anna resta immediatamente affascinata da quest’uomo anche lui così legato all’Egitto (è nato a Il Cairo il 9 settembre 1904 e suo padre, Ermete, è stato tra gli ingegneri occupati nella costruzione delle dighe di Assuan) e se ne innamora perdutamente ed è proprio per poter stare più tempo vicina al suo compagno che decide di rallentare i suoi impegni. Nel 1934 Alessandrini lavora alla realizzazione del film Seconda B e Anna decide di non accettare alcuna scrittura teatrale pur di non trascurare il suo compagno e di tentare di realizzare la sua vita di donna. Ed è per questo che Anna accetta di fare cinema. In realtà, l’attrice già nel 1928 pare abbia preso parte alla versione cinematografica e muta del dramma scritto da Dario Niccodemi Scampolo diretta da Augusto Genina. Ma il 1934 segna il suo debutto ufficiale nella Settima Arte recitando negli ampi, vistosi e scollati abiti ottocenteschi de La cieca di Sorrento diretto da Nunzio Malasomma facendosi subito notare per la sua forte presenza scenica, la sua incisività e il suo temperamento.
L’amore tra Anna e Goffredo è ormai noto nell’ambiente cinematografico e tra il pubblico, le riviste dedicano loro articoli e copertine e contemporaneamente l’attrice, nonostante il suo compagno le sconsigli di continuare, cerca di ricavare un suo spazio nel panorama cinematografico italiano. Così, la vediamo recitare – ancora nel 1934 – in Tempo massimo di Mario Mattòli dove recita accanto a Vittorio De Sica (nel ruolo di una cameriera che cerca di sedurre il protagonista) e, l’anno successivo in Quei due di Gennaro Righelli con Eduardo e Peppino De Filippo. Purtroppo però i film non riscuotono successo e Anna resta profondamente delusa da questi risultati iniziando a credere che, forse, suo marito ha ragione: non è adatta al cinema, il suo volto potrebbe davvero non essere abbastanza regolare e adatto ai canoni richiesti dalla cinematografia di questo periodo.
Infatti, si deve anche ricordare in quale periodo cinematografico siamo. Siamo agli inizi degli anni Trenta. In Italia si girano i film dei cosiddetti “telefoni bianchi”. Si tratta di commedie prettamente sentimentali derivanti per lo più da autori dell’Est europeo (in cui erano banditi i temi come il divorzio e l’adulterio) che devono il loro nome semplicemente alla presenza di questi telefoni bianchi messi in bella vista nei salotti della borghesia in cui sono ambientati. E anche le attrici posseggono delle caratteristiche ben precise: hanno dei lineamenti nordici, unghie perfettamente laccate, fini sopracciglia disegnate ad arco, labbra a cuore, filiformi, longilinee… E Anna Magnani va decisamente scontrandosi con tutto questo: non è molto alta ma formosa, mora, con i lineamenti marcati, non bada alla moda e al trucco perfettamente disteso sul volto rompendo ogni schema di bellezza vigente in quegli anni.
Ed è proprio per quanto appena detto che Goffredo Alessandrini, divenuto ormai suo marito nel 1935, sconsiglia senza mezzi termini ad Anna di continuare a recitare nel cinema. Il regista, infatti, non la reputa abbastanza affascinante, bella, esteticamente idonea e affatto fotogenica per la macchina da presa. Non è un caso che Anna non reciti in alcun film del marito se non in una piccola scena di Cavalleria nel 1936 dove interpreta la parte di una canzonettista. Qui, infatti, vediamo l’attrice ripresa in figura intera e da lontano muoversi su di un palco fasciata in un lungo abito nero che, però, mette bene in risalto il suo ampio decolleté.
Anche Anna non è affatto soddisfatta delle sue esperienze cinematografiche e torna al suo teatro recitando nella compagnia dei fratelli Guido e Luigi De Rege passati alla storia per la loro intramontabile battuta del “Vieni avanti, cretino!”
Tra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta, Anna Magnani alterna così le sue gioie e i dolori dividendosi tra le tavole del palcoscenico e i set cinematografici cercando sempre di ottenere un consenso anche dal marito che, però, resta fermo nelle sue convinzioni. La situazione sembra sbloccarsi proprio nei primi anni Quaranta quando Anna vive una duplice svolta nella sua vita professionale e privata. Infatti, come attrice riesce a farsi notare (oltre nelle sue ammirevoli interpretazioni teatrali in spettacoli come Anna Christie di Eugene O’Neill e diretto da Anton Giulio Bragaglia) dando vita, ancora una volta, al ruolo di una canzonettista in Teresa Venerdì di Vittorio De Sica. L’attrice, a differenza dell’esperienza precedente con il marito, ha un vero personaggio da costruire e attraverso cui dar sfogo a tutta la sua verve comica e alle sue doti di attrici. Qui interpreta Loletta Prima una sciantosa che si crede una gran diva e si comporta proprio come tale assumendo degli atteggiamenti capricciosi e di donna viziata. Naturalmente non mancano gli spunti comici come quando Loletta durante le prove si disinteressa del tutto della sua “arte” e non si impegna come dovrebbe preoccupandosi solo di telefonare al suo amante e di tirarsi su il vestito tutto luccicante per non scoprire ancor di più la generosa scollatura. E Anna riesce perfettamente a creare questa miscela di “artista” – donna viziata, gelosa oltre misura che parla tutta impettita fingendo, anche fuori della scena, di essere ciò che proprio non è.
Come donna, invece, deve superare una prova ben più ardua: la separazione dal marito per i continui tradimenti di lui sin quando accade l’inevitabile e la sua amante di allora (poi rimasta sua compagna per più di vent’anni), l’attrice Regina Bianchi, resta incinta. Per Anna è un duro colpo. Lei che ha sempre desiderato una famiglia tutta sua, dei figli nonostante i medici credessero fosse sterile, una sua casa, di essere una brava moglie pronta ad accudire e a difendere il proprio marito si ritrova con il suo castello di carte sparpagliate a terra.
Tutto è finito e se il lavoro le regala le prime gioie, la vita privata la spinge nella tristezza più cupa anche perché Anna ama profondamente suo marito e manterrà per lui, durante gli anni a venire, sempre un affetto e un rispetto del tutto speciali e unici, Quando seppi che mio marito aveva delle avventure galanti e usciva con altre donne, per poco non impazzii. Goffredo mi aveva già tradita, se è per questo, ma era stato prima del matrimonio e io lo avevo perdonato. Ma adesso no, non poteva. Minacciai, urlai, piansi, mi disperai. Ero al fondo della disperazione. Non restò che separarmi[7]. E afferma in un’intervista del 1963, circa vent’anni dopo la separazione, Incredibile a dirsi, il solo uomo per cui non ho pianto lacrime da mezza lira resta mio marito: Goffredo Alessandrini. L’unico fra quanti ne ho conosciuti, che stimi senza riserve e al quale sia affezionata. Quando lo rivedo provo sempre una immensa tenerezza. (…) Certo non furono rose e fiori, anche con lui. Lo sposai che ero una ragazzina e finché fui sua moglie ebbi più corna di un cesto di lumache. Non facevo che piangere, lamentarmi, vorrei sapere qual è la donna che sopporta stoicamente le corna; malgrado questo, però, v’è sempre stata in lui una così profonda onestà, una così profonda umanità, una così profonda eleganza. (…) In Alessandrini c’è sempre stata una assenza totale di volgarità: quella che nasce dal calcolo, dalla mancanza di comprensione, dal non saper perdonare. E… Dio! Ciò non è più dell’amore?[8].
Subito dopo questa separazione, però, Anna allaccia una relazione con un bel giovane attore di allora: Massimo Serato (il cui vero cognome, però, è Segato). Tra i due sin da subito, nonostante la differenza di età (Anna ha circa trentatré anni mentre Massimo ventiquattro) inizia una storia d’amore burrascosa e, allo stesso tempo, ferocemente passionale fatta di liti, fughe, lotte, pianti, ripicche e anche gioia. Massimo, però, è molto chiaro con Anna: non vuole assumersi nessun impegno e viversi questa storia giorno per giorno finché ne avrà voglia. Anna in principio accetta molto probabilmente anche per recuperare a quella mancanza affettiva dovuta all’abbandono del marito ma ben presto tutto cambia e diviene estremamente gelosa, possessiva, guardinga. A ribaltare totalmente la situazione è l’arrivo di una notizia che, per Anna, è assolutamente inaspettata: aspetta un figlio. Naturalmente è felicissima di questa notizia, ormai aveva perso ogni speranza riguardo la sua maternità, aveva praticamente rinunciato all’idea di avere una famiglia sua, una parte di sé che continuasse a vivere e ad aspettare il futuro. Ma c’è anche la carriera e l’arrivo della “grande occasione” tanto attesa al cinema. È il 1942. In questo periodo, infatti, Luchino Visconti sta girando a Ferrara il suo film Ossessione e per il ruolo della protagonista femminile da affiancare a quello maschile interpretato da Massimo Girotti, ha scelto proprio Anna la quale non fa parola con il regista della sua gravidanza. Ma il tempo passa, Anna è ormai al quinto mese di gestazione e il suo corpo non può più nascondere la vita che gli sta crescendo dentro. È costretta a parlarne con Visconti il quale, purtroppo, non può aiutarla come vorrebbe. Il film ha delle scadenze, dei costi, Anna ha bisogno del suo tempo, deve partorire e i tempi sforerebbero troppo. Così, accade ciò che qualsiasi attrice al mondo teme e detesta: Anna viene sostituita. Al suo posto viene chiamata Clara Calamai (l’attrice divenuta famosa per il suo seno nudo mostrato nel film La cena delle beffe di Alessandro Blasetti che, proprio in questo periodo, l’ha resa celebre). A tal proposito conferma Anna, Ai tempi di Ossessione ero incinta. Non so i motivi per cui l’inizio ha tardato tanto. So che, sempre in attesa del via, sono rimasta a Ferrare per un mese, un mese e mezzo. Intanto però la mia pancia cresceva ed è finita che hanno dovuto prendere Clara Calamai[9]. Visconti, però, è così dispiaciuto di dover rinunciare ad Anna sulla cui immagine ha costruito il ruolo della protagonista Giovanna, ovvero la donna che innamoratasi del vagabondo Gino – di passaggio nella sua trattoria – decide di uccidere suo marito riscattandone l’assicurazione, che trasforma l’attrice facendole assumere, quanto più possibile, le sembianze di Anna: dal colore dei capelli, all’abbigliamento aiutandosi con le luci e le modalità di ripresa attraverso i movimenti di macchina. Il film è un successo mondiale e fa da apripista a un nuovo genere di cinema cui lo stesso Visconti sta già pensando da qualche tempo e cui darà la sua massima espressione nel 1948 con il film La terra trema facendo recitare attori non professionisti nel loro stretto dialetto di Aci Trezza: il Neorealismo.
Ma per Anna l’appuntamento con questo nuovo modo di “fare cinema” non è annullato. Solo rimandato.
Così, il 23 ottobre 1942 nasce Luca, l’unico figlio di Anna Magnani il quale non tarda a divenire il punto di riferimento dell’intera esistenza della donna. Ma i problemi non si fanno attendere. Anna dopo il parto riprende a lavorare e, nelle sale cinematografiche, esce Campo de’ fiori dove l’attrice, diretta da Mario Bonnard, recita accanto ad Aldo Fabrizi nei panni di una verace fruttivendola. Nello stesso momento la vita famigliare di Anna crolla ancora una volta: Massimo non ha la minima intenzione di essere padre, è giovane, vuole divertirsi, non vuole sentirsi legato né prendersi le proprie responsabilità nemmeno quando il bimbo si ammala di poliomielite lasciando Anna sola nella sua disperazione di madre impotente. Le liti tra i due fanno parlare tutta Roma e Anna non ce la fa a sostenere questa situazione. Nemmeno il lavoro che va avanti a gonfie vele la distrae. Siamo arrivati all’8 settembre e l’Italia entra ufficialmente in guerra schierandosi contro quelli che, sino a un giorno prima, sono stati i suoi alleati. E Anna assieme a Totò mette tutto il suo impegno a teatro portando in scena ogni sera – prima che scatti il coprifuoco – (dal 1940 al 1944) quel genere comicità e di parodia passato alla storia come “teatro di rivista” costruito raggirando la censura con assoluta maestria prendendosi così gioco – più o meno apertamente – dei gerarchi fascisti. Anna e Totò con i loro famosi spettacoli come Quando meno te l’aspetti, Volumineide, Che ti sei messo in testa e Con un palmo di naso diventano i beniamini del pubblico facendogli dimenticare per quelle ore di spettacolo – tra lazzi, scherzi, imitazioni, parodie, canzoni, prese in giro – i gravi lutti, la fame e la disperazione del momento. I due diventano una sorta di Pasquino che dice senza parlare prendendo di mira la politica del tempo e i suoi massimi esponenti. Per questo la censura è attentissima: vuole leggere tutti i testi che si decide di rappresentare e taglia pagine intere senza curarsi della libertà di espressione.
In uno di questi spettacoli ad Anna viene vietato di pronunciare la battuta, “Vogliamo la libertà!” ma si va in scena lo stesso e arrivata al punto incriminato tutta la compagnia si lascia prendere dall’ansia perché a nessuno Anna aveva comunicato cosa avrebbe detto o cosa aveva intenzione di fare per saltare alla battuta successiva. E l’attrice ben consapevole del suo rapporto diretto con il suo pubblico e ben sapendo cosa stesse accadendo nella realtà, arrivata al momento decisivo fa una pausa, prende il respiro, e dice, “Vogliamo aria! Aria pura!” e il teatro complice e ricettivo alla battuta quasi fa viene giù per gli applausi. Scrive Elsa de’ Giorgi (regista, attrice e scrittrice carissima amica di Anna Magnani), Con la Nanna l’orgia di libertà divenne frenesia. Riviste geniali furono composte per lei, che le animò di un pathos e di un’ironia conturbanti. Erompeva a Roma, dalla tortura di uno dei popoli più infelici e intelligenti, una esplosione di verità che avrebbe disperso per sempre, e non solo sul campo dell’espressione scenica, gli ultimi equivoci di un estetismo vuoto. (…) Alla sua entrata, dalla platea, attraverso le quinte, giungeva qualcosa che non era rumore, bensì come l’ansito di un tumultuare trattenuto da un silenzio irresistibile. Solo la voce, le mille voci della Nanna, burlesche, infantili, brune di improvvisa mestizia, si intridevano a quel silenzio caricandolo sempre più d’emozione. Il gesto largo delle braccia levate al disopra del capo triste e superbo, pareva concludere liberandola, tutta l’intensità che le sue parole e il suo canto avevano evocato fino a quel momento. Il pubblico esplodeva, allora con impeto trascinante. Chiedeva innumerevoli bis, specialmente degli stornelli romaneschi dove per la prima volta udiva criticare, irridendole, tutte quelle cose che l’avevano torturato fino allora. E la voce volutamente nasale della Nanna, da monellaccio romano, si insinuava, stimolando alla pasquinata, al motteggio, alla ribellione. Poi, in un attimo, il suo viso guizzante in un lazzo grottesco si distendeva nella vastità della malinconia; la sua voce risorgeva dalle profondità cupe del petto, e tutta quella gente passava dal riso al pianto con la stessa prodigiosa mutevolezza dell’artista[11].
In questo periodo Anna è letteralmente amata dal pubblico che ogni sera si reca nel suo camerino regalandole ogni genere alimentare per ripagarla di quella spensieratezza e, forse, ringraziandola anche del suo coraggio e del modo in cui rispetta le proprie convinzioni ideologiche e sociali. Anna e Totò, così, diventano una sorta di simbolo del teatro di rivista del periodo, la massima espressione della comicità e, soprattutto, la coppia comica più amata del periodo.
Anna continua a lavorare. Deve lavorare. Ne ha assoluto bisogno anche perché ora ha un figlio cui badare, cui fare da madre e da padre perché Serato è del tutto assente e niente affatto disposto ad assumere il suo ruolo di genitore. Inoltre, il piccolo Luca è malato, è uno dei pochi casi registrati a Roma in quel periodo di poliomielite e Anna deve fare quanto più le è possibile per guadagnare e affrontare le spese delle cure nelle più importanti strutture specializzate. Il suo desiderio più grande è quello di “restituire le gambe a suo figlio” e permettergli di vivere una vita sana, normale e felice.
L’attrice, così, non si risparmia e alterna il suo lavoro a teatro con il cinema. Si impegna in film minori come, nel 1945, Quartetto pazzo di Guido Salvini (tratto dall’omonima commedia di Ernst Eklund) dove la vediamo recitare – seppur insolitamente doppiata dalla celebre Tina Lattanzi – accanto a Gino Cervi, Rina Morelli e Paolo Stoppa. Ma la consacrazione di Anna agli occhi del mondo intero è vicina e ad offrirle questa occasione è il regista Roberto Rossellini il quale ha intenzione di raccontare per immagini il dramma di Roma, città aperta che, nel lessico militare, indica una città priva di obiettivi militari e che, quindi, non può essere messa sotto attacco.
Il regista si mette all’opera con il suo fedele sceneggiatore Sergio Amidei e insieme iniziano a scrivere la storia abbastanza fitta e complessa della ribellione e della partigianeria da parte del popolo e di una parte della Chiesa nei confronti della guerra e del Fascismo. Per far questo Rossellini e Amidei si ispirano a personaggi e a fatti realmente accaduti. Infatti, per il personaggio di Don Pietro (interpretato da un bravissimo Aldo Fabrizi) si pensa a don Pietro Pappagallo e a don Giuseppe Morosini i quali si occupavano di fornire ai prigionieri politici dei documenti falsi collaborando, così, con i partigiani; per la figura della sora Pina (Anna Magnani) ovvero la donna che vedendosi portar via da una camionetta dei tedeschi il suo uomo la rincorre venendo falciata da una scarica proiettili che uccidono lei e il bambino che porta in grembo, ci si ispira alla figura di Teresa Tallota in Gullace anch’essa uccisa dai tedeschi durante una protesta svoltasi nei pressi della Caserma di Viale Giulio Cesare in Roma.
Terminata la sceneggiatura Amidei si reca in casa di Anna per leggerle e presentarle il progetto. Anna ne è entusiasta: afferma che questo è il più bel film che abbia mai letto e visto ed è felicissima di interpretare la parte di quella popolana forte, fiera, combattiva e coraggiosa. Ma all’inizio sembrano esserci dei problemi. Infatti, nonostante Amidei avesse concepito il personaggio della sora Pina espressamente per Anna Magnani i produttori sembrano preferirle, ancora una volta, Clara Calamai. A capovolgere e a sbloccare la situazione è il produttore Peppino Amato anche lui fortemente convinto che la presenza di Anna in questo film sia fondamentale e la sua riuscita perfetta.
Di questi momenti ricorda Anna Magnani, I primi giorni ci ha lavorato la Calamai, ma questa è una delle storie più comiche della mia vita. Io da anni urlavo quasi: ‘Ma è possibile che non si possa fare un film su una donna qualunque, che non sia bella, non sia giovane?’ D’accordo, allora ero giovane, comunque. ‘Perché?’ ripetevo, ‘perché non un film su una donna della strada che non sia diva, che non sia falsa?’ Quando vennero a leggermi il copione di Roma città aperta, ‘ci siamo’, dissi, ‘questo è meraviglioso’. Senonché io a quell’epoca facevo la rivista: erano già entrati gli alleati e avevo un grosso successo. Proprio come Fabrizi, che recitava in altri teatri. Ora, siccome per il film non mi volevano dare la stessa paga che davano a Fabrizi, una miseria, centomila lire in più, per un puntiglio, insomma, per una questione di principio, risposi: ‘No.’ Io allora nemmeno lo conoscevo Rossellini, ma so che voleva me. In questo modo cominciarono con la Calamai. Chissà, forse perché aveva fatto Ossessione. Non so, è una scelta che io non posso giudicare. Si entra nella mentalità dei produttori, in certi schemi. Sono andati avanti dieci giorni e poi hanno cercato di nuovo me. Per fortuna, perché per una fregnaccia del genere avrei perso il film più importante della mia carriera[12].
Per scaramanzia del regista, le riprese iniziano la notte tra il 17 e il 18 gennaio in Via degli Avignonesi, in una traversa di Via Quattro Fontane, dove si trova una di quelle case chiuse dove Rossellini pare sia conosciuto che si offre di prestare l’energia elettrica alla troupe. Per portare a termine la propria opera Rossellini si indebita, chiede prestiti, seduce una contessa, recupera metri di pellicola in ogni modo possibile e consentito.
Eppure dell’intero film fissa resta in noi l’immagine di Anna/Pina che, nella prima parte della vicenda, corre urlando “Francesco! Francesco!”. Sì, perché Anna appare solo nel primo tempo e nonostante questo la sua interpretazione marchia a fuoco questo film e non solo: diviene l’immagine e il simbolo stesso del Neorealismo ispirando i poeti e i letterati più importanti del Novecento. Ad esempio, il Poeta Giuseppe Ungaretti le scrive, Ti ho sentito gridare “Francesco” dietro un camion e non ti ho più dimenticato”. E, ancora, Pier Paolo Pasolini le dedica questi versi: “(…) Quasi emblema, ormai, l’urlo della Magnani,/sotto le ciocche disordinatamente assolute,/ risuona nelle disperate panoramiche,/ e nelle sue occhiate vive e mute/ si addensa il senso della tragedia./ È lì che si dissolve e si mutila/ il presente, e assorda il canto degli aedi[13].
Rossellini teneva particolarmente alla riuscita di questo film, quasi sentisse che sarebbe divenuto il simbolo di una città, di una popolazione e di un modo tutto nuovo di fare cinema e, assieme allo sceneggiatore Amidei, cercano qualsiasi espediente per arrivare a un buon risultato. I due, infatti, pensano persino di far tirare un filo utile all’interruzione della corsa di Pina così da renderla più veritiera senza pensare, però, all’incolumità dell’attrice che, di giorno è sul set e la sera a teatro. Fortunatamente (soprattutto per l’attrice) quest’idea non viene messa in atto ed è la stessa Anna a raccontare che Della scena della morte non ho fatto prove. Con Rossellini, che è stato quel grande regista che è stato, non si provava. Lui sapeva che, preparandomi l’ambiente, io poi funzionavo. Durante l’azione del rastrellamento, quando sono uscita dal portone, all’improvviso sono ripiombata al tempo in cui per Roma portavano via i giovani. I ragazzi. Perché era popolo – popolo quello che stava addossato contro i muri. I tedeschi erano tedeschi – tedeschi presi da un campo di concentramento. Di colpo non sono stata più io. Ero il personaggio, insomma. Eh sì, Rossellini aveva preparato la strada in maniera veramente allucinante. Le donne erano pallide nel risentire i nazisti mentre parlavano tra loro. Questo m’ha comunicato l’angoscia che ho reso sullo schermo. Terribile. Un’emozione del genere chi se l’aspettava? Così lavorava Rossellini. E almeno con me, ripeto, il sistema funzionava[14].
Durante la lavorazione la sua amicizia con Anna diviene sempre più forte perché vede davanti a sé una donna che soffre per amore (tanto che pare la scena della corsa della sora Pina dietro la camionetta dei tedeschi sia stata ispirata dalla Magnani che, al culmine di una lite, rincorre maledicendo Serato che se ne va infuriato dal set con la sua auto). Ma non solo: a unire i due c’è il dramma. Anna, infatti, è disperata per il figlio Luca mentre Roberto perde il piccolo Romano, avuto dall’ex moglie Marcella De Marchis, a causa di una peritonite. Ed è proprio tutto questo dolore ad alimentare e a far nascere la loro relazione quando, terminate le riprese, il film viene presentato al mondo intero al Festival di Cannes.
Sin da subito il loro amore è travolgente, passionale caratterizzato da liti furibonde di cui “nell’ambiente” si (s)parlava abbondantemente e da gesti eclatanti. Eppure nessuno di loro conoscenza li ha più visti di felici e innamorati di così. Anna, a causa delle esperienze precedenti e del suo carattere sempre più forte, diventa ancor più gelosa, possessiva incline al controllo: non vuole essere ferita nuovamente e con i suoi atteggiamenti non fa altro che mettere continuamente alla prova il bene e il sentimento del suo compagno che racconta, In due ore di Anna c’è tutto: l’estate, l’inverno, la tenerezza, la sfuriata, la gelosia, il litigio, la rottura, l’addio, le lacrime, il pentimento, il perdono, l’estasi, e poi di nuovo il sospetto, la rabbia, gli schiaffi…[15].
Ma anche Rossellini, a suo modo, desidera avere Anna tutta per sé tanto da volerla quasi in esclusiva nel lavoro soprattutto dopo la grande soddisfazione e i premi ricevuti con Roma, città aperta. Nonostante questo, però, dopo l’uscita del film l’attrice prende parte (finalmente) come protagonista assoluta in pellicole che non le rendono abbastanza giustizia malgrado il buon successo di pubblico e, spesso, di critica. Ad esempio, la vediamo recitare in Abbasso la miseria!, nel 1946, e in Abbasso la ricchezza, nel 1947, entrambi di Gennaro Righelli in cui Anna interpreta una donna del popolo prima alle prese, seppur in modo diverso, con la “borsa nera” ovvero con il commercio clandestino in tempi di guerra di generi alimentari e non solo. Inoltre, la vediamo in una insolita veste di femme fatale ne Il bandito di Alberto Lattuada (1946) dove, affiancata da Amedeo Nazzari, interpreta il ruolo di Lidia la capobanda di una gang di malviventi, ladri e assassini. Si tratta di un film che non poco strizza l’occhio al noir americano e alla gangster story sebbene il risultato, seppur più che sufficiente, non ha molto a che vedere con il cinema hollywoodiano dell’epoca (basti pensare ai film con Humphrey Bogart, Edward G. Robinson o James Cagney solo per ricordarne alcuni massimi esponenti).
Ma non è tutto: Anna porta sul grande schermo anche la storia della Tosca pucciniana e del suo amore geloso, esclusivo e passionale con Mario Cavaradossi con il film Avanti a lui tremava tutta Roma di Carmine Gallone in cui la vicenda è spostata dalla Roma papalina alla Roma invasa dai tedeschi offrendo una lettura (e un uso) dell’opera lirica assolutamente moderna e attuale per quegli anni. Naturalmente non mancano le parti cantate ma in quelle l’attrice viene doppiata dalla famosa cantante lirica Renata Tebaldi.
Si può dire che Anna Magnani in questo periodo si dedica molto alla sperimentazione di sé come attrice e accetta anche quei ruoli che, almeno a prima vista, sembrano essere da lei lontani seppur tutti dotati di un forte temperamento e di un carattere volitivo ed estremamente coraggioso, vitale, decisamente controcorrente. Ma solo nel 1947 con L’Onorevole Angelina, diretto da Luigi Zampa, Anna raggiunge un successo di pubblico e di critica pari a quello ricevuto con Roma città aperta. Ancora una volta, però, la vediamo interpretare la parte di una popolana, di una donna di borgata (Pietralata) che con le sue battaglie e “baccagliate” contro il sistema diventa la paladina della gente arrivando sino all’elezione di “Onorevole” cui rinuncia per badare alla sua “politica interna”: la sua famiglia. Per Anna è un’altra consacrazione. Per la sua interpretazione, infatti, riceve il Nastro d’Argento e il Premio internazionale al Festival del Cinema di Venezia come Migliore attrice protagonista.
Dopo questa fortunata esperienza Anna accetta di buon grado di lavorare con Eduardo De Filippo che stima e apprezza moltissimo come interprete e drammaturgo. A tal proposito è bene ricordare che Eduardo scriverà proprio per lei la sua opera dal titolo Il monumento ma, purtroppo, Anna non riesce a portarla in scena. I due, così, portano sul grande schermo (diretti da Mario Mattoli) il dramma del napoletano Salvatore Di Giacomo dal titolo Assunta Spina in cui si narra l’amore passionale sino alla violenza di un uomo che, per gelosia, sfregia la sua amante e finisce in carcere. Nel frattempo, però, la donna lo tradisce e quando questi viene messo in libertà nuovamente accecato dalla terribile gelosia uccide il suo rivale.
Anna è felice di tanto lavoro e di tante soddisfazioni ma smania dal desiderio di tornare a lavorare con il suo Roberto chiedendogli un’idea, un progetto da realizzare insieme. Anche il regista ha questo stesso desiderio e decide di creare per Anna un film costruito appositamente per lei e di riprendere un lavoro girato insieme un paio d’anni prima. Infatti, nel 1946, durante un loro viaggio a Parigi hanno entrambi un’idea alquanto azzardata: portare sul grande schermo il monologo scritto da Jean Cocteau nel 1930, La voce umana. Anna, tra l’altro, conosce bene il testo e il suo senso per averne fatta una parodia nello spettacolo di rivista Volumineide. In questo atto unico la protagonista (che non ha nome e potrebbe essere la Donna nella sua accezione universale) fa la sua ultima telefonata al suo – ormai ex – amante che, dopo cinque anni, la sta lasciando per un’altra donna. Il testo, così, sembra quasi essere premonitore di una realtà che di lì a poco si sarebbe verificata anche nella vita di Anna e Roberto. Ma i due in questo momento si amano e vogliono lavorare a questo progetto.
La coppia mette tutto il suo impegno nella realizzazione di questo film facendone un “piccolo” gioiello di inestimabile valore. Anna è stupefacente: è completamente sola sulla scena (ad eccezione del suo cane Micia) e nulla appare in lei di quei personaggi da popolana interpretati sino a questo momento, parla un ottimo italiano senza alcuna inflessione dialettale, con una dizione impeccabile. Ma anche Roberto lavora come un vero artigiano del Cinema facendo attenzione al minimo particolare e registrando ogni impercettibile azione ed emozione della sua attrice che la macchina da presa segue in ogni movimento sottolineandone ogni suo gesto od espressione. Rossellini scruta l’oggetto del suo sguardo in ogni azione studiandone le reazioni e le cause che lo fanno agire. Ancor più importante della sceneggiatura e del monologo è il personaggio, ampiamente studiato e analizzato senza trascurarne i pensieri mettendone in risalto anche quelli più reconditi. È un modo del tutto innovativo di usare la macchina da presa che diventa come ‘un microscopio, tanto più che il fenomeno da scrutare si chiama Anna Magnani[16].
Il film è pronto ma non può essere distribuito poiché la sua lunghezza (poco più di quaranta minuti) non lo consente. Si deve aspettare il 1948 per ammirarlo sul grande schermo dopo che Anna ha così tanto insistito che Roberto ha dovuto trovare una soluzione e farne un film vero e proprio. Si deve trovare un secondo episodio e Anna e Roberto si rivolgono a Federico il quale, in un primo momento, propone all’attrice la storia di una prostituta che viene abbordata da un divo del cinema che ha appena litigato con l’amante. Questi la porta in casa sua per poi chiuderla in bagno all’arrivo dell’innamorata pentita e, dal buco della serratura, vede i due che si riappacificano. Anna stronca questa idea senza mezzi termini, A Federi’, ma te pare che una come me se fa chiudere nel cesso da uno stronzo d’attore?[17] Il film, circa dieci anni dopo, diventerà Le notti di Cabiria con Amedeo Nazzari, Giulietta Masina e Dorian Gray facendo guadagnare al regista di Rimini il Premio Oscar come Miglior film straniero nel 1957. Si deve pensare a qualcos’altro e sempre Fellini suggerisce ad Anna la storia di una pazza contadinella che si lascia sedurre da un vagabondo credendolo San Giuseppe. La donna rimane incinta e non ricordando dell’accaduto crede che la creatura che porta in grembo sia figlia di un “miracolo”. Da qui il titolo del secondo episodio di cui Anna è entusiasta: Il miracolo. Anna, Roberto e Federico, così, si trasferiscono in Costiera amalfitana per le riprese ma l’atmosfera sta velocemente cambiando. Anna non è tranquilla, ha uno strano sentore, sente puzzo di bugie e falsità e le liti con il suo compagno diventano sempre più frequenti e violente. Racconta Federico Fellini (che dell’episodio è anche attore interpretando – tinto di un biondo esagerato – la parte del vagabondo), Era sempre stanca, accalamarata o di cattivo umore, ostentando un sentimento di offesa, un’aria un po’ truce e risentita, che invece nascondeva la sua natura un po’ timida e infelice. Litigava con Roberto, c’era già per aria la storia con la Bergman, ed era diffidente, diffidentissima. Temeva che gliela facessimo, che la ingannassimo e cercava di volta in volta delle alleanze con l’uno o l’altro, temendo di restare sola in balia delle nostre supposte marpionate[18].
Il film così completato viene titolato Amore e attraverso di esso Anna si inserisce perfettamente nell’estetica cinematografica di Rossellini il quale, come recita la didascalia posta all’inizio del film, dedica questa sua opera “all’Arte di Anna Magnani”. Ma questo non basta a salvare una situazione che sta precipitando e su Anna si abbatte quello che le cronache mondane dell’epoca hanno definito “l’uragano Bergman”. Tutto ha inizio dopo l’incendio della Minerva Film da cui si salva un telegramma destinato a Rossellini da parte di Ingrid Bergman in cui è scritto: Caro Signor Rossellini, ho visto i suoi film, Roma città aperta e Paisà, e mi sono piaciuti molto. Se ha bisogno di un’attrice svedese che parla inglese molto bene, che non ha dimenticato il suo tedesco, che non si fa quasi capire in francese e che in italiano sa dire solo ‘ti amo’, sono pronta a venire in Italia per lavorare con lei. E questo è stato il principio della fine. Roberto non si fa scrupolo e davanti allo sguardo del mondo intero lascia Anna senza una parola, senza una spiegazione per raggiungere l’attrice svedese. Anna è stordita. Amareggiata. Delusa. Infuriata. Offesa e umiliata. Come attrice e come donna. In una sola volta ha perso l’uomo che amava e che aveva interamente compreso la sua Arte e la sua recitazione. L’unico, forse, ad averla compresa sino in fondo come donna così fragile da colpire chiunque le si parasse davanti per prevenire ogni attacco ed essere già pronta al contrattacco.
L’attrice sprofonda in una terribile depressione. Gli amici più cari le sono vicini ma questo sembra non bastare a lenire un dolore così profondo e così ingiusto. Ma lo spettacolo deve andare avanti e Anna, riacquistate un poco le forze, decide di rimettersi in gioco e di dare battaglia “alla straniera”. Con Roberto sino a poco prima della fine della loro storia si parlava di un progetto insieme da ambientare nelle Isole Eolie. Anna è decisa a riprenderlo in mano, realizzarlo e dimostrare a tutti quanto vale e, soprattutto, di non essere stata sconfitta. C’è un solo problema, però. Roberto sta portando avanti lo stesso progetto con la Bergman. Da questo momento inizia “la guerra dei vulcani”. Infatti, nello stesso periodo nelle isole di Vulcano e Stromboli si realizzano i due film omonimi i quali, vedendoli, hanno praticamente le stesse scene (come quella della tonnara) e gli stessi sfondi. Da una parte c’è la troupe di Anna Magnani capitanata dal regista William Dieterle, dall’altra quella di Rossellini con la Bergman. Tante sono le avventure e le storie incredibili che circolano riguardo la lavorazione di questi film e molte le coincidenze che li uniscono ma pare sia una certezza che Anna quasi ogni sera si recasse alla punta della “sua” isola inviando maledizioni e improperi nella direzione di Stromboli e dei suoi illustri abitanti. Nel suo film Anna interpreta il ruolo di una prostituta che viene rispedita con il foglio di via nella sua terra natia e non serve dire le difficoltà di questa donna nell’inserirsi in una comunità siciliana chiusa e ignorante. Qui ritrova sua sorella e fa di tutto per allontanarla da un uomo (Rossano Brazzi) che vorrebbe sedurla e poi metterla sulla strada.
Non è certamente uno dei migliori film di Anna che, molto probabilmente, accetta solo per contrastare il lavoro di Rossellini e, in qualche modo, dire la sua affermando la propria presenza. Vulcano batte Stromboli sul tempo e Anna ne è felicissima ma la sera della prima è un disastro: l’attrice non si presenta ma durante la proiezione, che viene interrotta più volte, saltano bobine, lampadine tanto che viene fatta denuncia contro ignoti per sabotaggio. Ma non è tutto. Il film non è ancora finito che la sala si svuota perché è giunta la notizia della nascita delle gemelle Rossellini e tutti i cronisti presenti corrono alla clinica per immortalare il momento. Anna viene sconfitta pesantemente ancora una volta.
Per ritrovare l’attrice in piena forma e di nuovo all’apice del suo talento artistico si deve aspettare il 1951 quando, con la regia di Luchino Visconti, recita il ruolo di Maddalena Cecconi in Bellissima. Visconti è stato geniale nella costruzione di questo film che, ancor oggi a distanza di oltre sessant’anni, è assolutamente attuale. Si narra di una madre che è disposta a tutto pur di far entrare la sua bambina nel mondo dello spettacolo per poi rendersi conto che non è affatto oro tutto ciò che luccica e che è molto meglio avere altre certezze e sicurezze nella vita. Anna, così, torna a dar vita a una semplice donna del popolo, semplice e lavoratrice che sogna e spera per sua figlia un avvenire diverso dal suo proiettando su di lei frustrazioni, insicurezze e, pur involontariamente, malsane ambizioni.
Anna è felicissima e molto soddisfatta di questo film: con Visconti ha lavorato benissimo perché è un regista che apprezza e ama molto e perché è uno dei pochi ad aver perfettamente compreso il suo modo di recitare: deve lasciarla libera. A tal proposito Visconti dichiara in un’intervista: Da molto tempo desideravo girare un film con la Magnani: e siccome era appunto la Magnani l’interprete prevista per Bellissima accettai. Mi interessava fare un’esperienza con un «personaggio» autentico, col quale si potessero dire certe cose più interiori e significative. E mi interessava anche conoscere quale rapporto sarebbe nato tra me regista e la «diva» Magnani. Il risultato è stato felicissimo (…) In questo mi è stata molto utile la Magnani, perché con lei si può lavorare per improvvisazione. La Magnani ha una recitazione piena d’istinto popolare, che non ha niente a che fare con il teatro di mestiere. Sa mettersi al livello degli altri, e in certo modo sa portare gli altri sul suo. Io ho puntato essenzialmente su questo particolare e straordinario aspetto della sua personalità[19].
E aggiunge: Anna è come un cavallo di razza. Bisogna tenerlo chiuso nel suo box fino all’ultimo momento, che non sappia nulla e non veda nulla, e intanto gli si deve preparare una pista perfetta. Al momento della corsa si può lasciarlo andare a briglia sciolta[20]. Ed è esattamente questo che Visconti fa. Ad esempio, c’è una scena nel film, quella in cui Maddalena si ritrova seduta su una panchina non lontano da un circo disperata per aver capito di aver sbagliato tutto piange, si dispera tra un singhiozzo e l’altro guardandosi intorno chiama: “Aiuto! Aiuto!”. Né questa interpretazione né queste due semplici battute erano previste nella sceneggiatura. Anna si è lasciata andare al suo istinto e, così facendo, è riuscita nello spazio di brevissimi secondi a far totalmente suo il personaggio e a rendere ancora più vera, autentica la storia di questa madre che vive di illusioni.
Grazie a questo film Anna recupera quella sicurezza di attrice che, dopo il duplice tradimento di Roberto Rossellini, aveva vacillato un poco. Anna si sente più forte e si getta nel lavoro recitando la parte di Anita Garibaldi in Camicie rosse (di cui, seppur non accreditata, è anche sceneggiatrice) e interpretando se stessa nell’episodio a lei dedicato nel film Siamo donne dove racconta la sua vera sventura accadutale negli anni del teatro di rivista a causa di un tassista che voleva la lira di supplemento per il cane da grembo. A questo film segue La carrozza d’oro diretto da Jean Renoir (il figlio del celeberrimo pittore impressionista) tratto dalla commedia di Prosper Merimée “La carrozza del Santissimo Sacramento” scritta nel 1825. La protagonista di questo film è la Commedia dell’Arte e Anna interpreta il doppio ruolo di Camilla/Colombina la donna-attrice che deve gestire l’amore di tre uomini (il Vicerè Ferdinando, il torero Ramon e Felipe) e la sua passione per il Teatro che la reclama e non ammette “rivali”. Per la realizzazione del suo film Renoir ha idee molto chiare: vuole Anna Magnani. A tal proposito dichiara: Mi ero fissato un compito molto preciso: fare un film con Anna Magnani. Volevo che questo film potesse valorizzarla senza per questo basarsi sugli elementi che, prima di questa collaborazione avevano contribuito al suo successo (…). La Magnani è la quintessenza assoluta del Teatro, quello vero, con li scenari di cartapesta, le lampade fumanti, gli orpelli degli ori scoloriti. Dovevo logicamente rifugiarmi nella Commedia dell’Arte e trascinare Anna con me in questa impresa[21].
In un certo senso questo duplice ruolo è molto vicino alla personalità umana e artistica di Anna Magnani. Infatti, Camilla in una scena afferma Posso io amare come una vera donna? Ho bisogno di capire. Io sono assolutamente sincera sia nella vita che sulla scena. Allora perché ho solo successo come attrice e come donna distruggo tutto quello che amo? Ma chi può dirmi dove finisce il teatro e dove… la vita comincia….
E Anna nonostante tutto il suo impegno con il cinema non riesce a dimenticare la platea dopo lo spettacolo, il sapore del panino mangiato a metà e poggiato sul banco del bar, il tanfo di sudore che impregna i palchi dei teatri di provincia, il lavandino che gocciola tutta la notte e ti fa impazzire, la coppia del piano di sopra che fa all’amore, le lampadine incandescenti sopra gli specchi, il sistema nervoso che va a pezzi, lo squallore delle stanze di pensione, le centinaia di chilometri in treno, le prove di mattina, il sonno che stenta a venire, il bottone da ricucire all’ultimo minuto, il terrore di entrare in scena, i lavandini sporchi e rugginosi[22]. Così, il 21 dicembre 1953 Anna debutta al Teatro del Casinò di Sanremo in una rivista che inizialmente avrebbe dovuto titolarsi Chi è di scena? Anna Magnani per poi rimanere semplicemente Chi è di scena? Lo spettacolo ha successo ma non quanto Anna sperava. I tempi stanno cambiando e il pubblico cerca nuovi svaghi non si “accontenta” più di quel genere di teatro ma chiede qualcosa di più. E Anna di questo ne paga un poco le conseguenze. Ma non si abbatte. Il cinema è lì a tenderle una mano e ad aspettarla.
È il 1954 e ad attendere Anna c’è “l’avventura americana”. Tutto ha inizio quando, alla fine degli anni Quaranta, Tennessee Williams scrive, dopo aver visto gli unici due film giunti in America interpretati dall’attrice (Roma, città aperta e Amore), un testo teatrale appositamente per lei. Si tratta de La rosa tatuata e quando Anna legge questo testo commuovendosi afferma che lo scrittore pur non conoscendola personalmente la capisce meglio di chiunque altro. In questo testo lo scrittore racconta della siciliana Serafina moglie del contrabbandiere Rosario che ama sino alla follia. Rimasta vedova Serafina si chiude in casa, on vice più, si chiude al mondo e fa fare la stessa vita anche alla figlia adolescente Rosa che, invece, scoppia di vita. Serafina quasi impazzisce dal dolore soprattutto quando scopre dei tradimenti del marito ma a riportarle un poco di gioia e la voglia di vivere è l’incontro con Alvaro un uomo, per certi aspetti, molto simile a suo marito e che, per amor suo, si fa tatuare una rosa sul petto. Proprio come l’aveva Rosario.
Williams, però, vorrebbe portare il suo testo a Broadway ma Anna rifiuta, non se la sente di lasciare suo figlio solo a Roma per tanto tempo e poi… non conosce una parola d’inglese. Anna, così, trova un compromesso anche per prendere tempo e non far rimanere troppo male quello che di lì a poco sarebbe diventato uno dei suoi migliori amici sino alla sua scomparsa. Fa una promessa cui non crede troppo: non porterà la pièce a teatro ma qualora si decidesse di farne una versione cinematografica sarà ben felice di accettare. E così è. L’America la chiama ancora una volta. Si riesce a organizzare la produzione e Anna questa volta non può rifiutarsi di andare, deve mantenere la sua promessa. Così, si mette in viaggio verso Napoli per poi imbarcarsi alla volta di New York. In questi dieci giorni di viaggio ad accompagnarla e a sostenerla c’è il suo caro amico Tenn il quale la aiuta nello studio della sceneggiatura fornendogliela nella doppia traduzione, italiana e inglese.
Al suo arrivo in America Anna è abbastanza preoccupata: sa benissimo che i tempi e le modalità di lavoro sono ben diversi di quelli cui è stata abituata a Roma; sa che Hollywood è strutturata su uno star system rigido fatto di regole ben precise. Ma nonostante lo spavento è ben decisa a mettercela tutta e a fare del suo meglio. Molto importante è il rapporto che l’attrice instaura con il regista Daniel Mann e con il produttore Hal Wallis che sentono il disagio e lo spaesamento dell’attrice: Con Daniel Mann, invece, il regista di La rosa tatuata, abbiamo parlato la stessa lingua ed è venuta fuori una cosa non tanto Hollywood. (…) In La rosa tatuata, poi ho avuto la fortuna di trovare un produttore… duro, eh, durissimo, ma molto intelligente. I primi giorni mi sentivo tutta squilibrata, fuori ambiente, no? Quando mi ha vista così, è venuto da me con il regista e mi hanno fatto questo discorso, che per me è magnifico: ‘Noi ti sentiamo infelice, dentro. Noi vogliamo che tu sia la Magnani-Magnani e non una Magnani-Hollywood. Perciò butta fuori quello che hai e sentiti te stessa’. Forse il mio Oscar è nato anche da lì, da quella comprensione[23]. E, infatti, Anna il 21 marzo 1956 è la prima attrice italiana a vincere il Premio Oscar come Migliore attrice protagonista e in un film straniero recitato in inglese…
Il successo è mondiale. Tutte le più importanti star di Hollywood e del mondo del Cinema inviano telegrammi e lettere di congratulazioni alla vincitrice. Anna, dal canto suo, decide di non andare alla cerimonia per non affrontare di nuovo un viaggio così lungo e perché è assolutamente convinta di non vincere tanto da scommettere con i suoi amici contro di lei. Una scommessa che poi sarà ben felice di perdere e di pagare.
Dopo la vittoria del prestigioso premio, però, le cose non sembrano andare come si potrebbe pensare. Ad Anna, infatti, almeno in Italia non le vengono proposti dei ruoli molto interessanti e all’altezza di quelli già interpretati. Così, il primo film subito dopo quello americano è Suor Letizia di Mario Camerini (1956) dove Anna interpreta il ruolo di una suora in conflitto con il suo istinto materno. A questo segue, nel 1957, il ritorno negli Stati Uniti con Selvaggio è il vento di George Cukor. Qui Anna interpreta Gioia (ancora una volta), un’italiana trapiantata negli Usa che sposa il cognato (interpretato da Anthony Quinn) con il quale ha un rapporto molto conflittuale dovuto ai continui confronti che questi fa tra la nuova moglie e la sorella defunta. Il disagio della donna è tale che cade tra le braccia del giovane Pietro, considerato come un figlio dal marito, stravolgendo gli animi e ristabilendo i giusti equilibri in famiglia. Per questa sua interpretazione Anna riceve la sua seconda e ultima nomination agli Oscar ma senza vincere[24].
In questo periodo l’Italia e gli Stati Uniti si alternano nella carriera di Anna Magnani che, nel 1958, torna “a casa” per interpretare la detenuta Egle in Nella città l’inferno di Renato Castellani. Anna è eccezionale nel dar vita a questo personaggio così forte, sopra le righe, autoritario di una donna che ormai sa di non più nulla da perdere e che si muove all’interno del carcere come una capobanda cui tutte le altre detenute rinchiuse nel carcere femminile di Via delle Mantellate (dal titolo del romanzo di Isa Mari) devono assoluto rispetto. La donna, però, va un poco in crisi con l’arrivo dell’ingenua Lina che Egle in qualche modo “sottomette”. Ma la donna è innocente e rimessa in libertà mette in atto tutti gli insegnamenti ricevuti da Egle che l’hanno rovinata per sempre. Allo stesso modo Egle si avvicina alla giovane Marietta che, invece, arriva a difendere perché è giovane ed è sicura che fuori da lì si rifarà una vita e quindi non deve essere guastata, rovinata mostrando, così, tutta la sua vera forza e la sua profonda fragilità.
Anna con questo film un poco si riscatta dopo gli ultimi film girati che non hanno avuto successo e, grazie a questa interpretazione, ottiene il David di Donatello come Miglior Attrice protagonista.
E dopo, l’Italia si torna in America. Ad Anna viene proposto di interpretare per il cinema un nuovo personaggio creato proprio per lei da Tennessee Williams. Si tratta della Lady Torrance di Pelle di serpente. Così, Anna si rimette in viaggio e inizia il suo lavoro affiancata dal tenebroso Marlon Brando. I rapporti tra i due sin da subito non sono tra i più idilliaci.
Tra i due artisti, nonostante il rispetto, non corre buon sangue e anche la lavorazione del film procede non senza problemi: entrambi i protagonisti sono, ognuno a proprio modo, dei divi e nessuno rinuncia a far letteralmente sentire la propria presenza sul set. Ma tra loro c’è anche una profonda incomprensione professionalmente parlando: Anna proviene dal Cinema neorealista è l’immagine della verità e dell’essenza, Brando, invece, è il simbolo dell’Actors Studio, ovvero del laboratorio teatrale creato da Lee Strasberg e fondato sul Metodo Stanislavskij il quale prevede un approfondimento psicologico del personaggio e dell’interprete che lo fa suo attraverso le affinità emotive. E la lingua di appartenenza non aiuta: sul set i due non si comprendono, non si seguono e questo comporta dei fastidi, degli attriti e dei rallentamenti. Tutto questo inevitabilmente si riflette negativamente nella riuscita del film che, anche nel pubblico, non riceve molti consensi favorevoli.
Dopo questo film per Anna la situazione non sembra cambiare e anche le scelte successive non sembrano essere molto fortunate: la vediamo lavorare, nel 1960, accanto al suo compagno di rivista Totò in Risate di gioia di Mario Monicelli ma il film non ottiene il successo sperato.
Anna, però, crede molto in questo progetto ed è felicissima di lavorare con il suo amico e collega che più di una volta l’ha definita “donna coraggiosa, di cappa e di spada”. Molto probabilmente da questo lavoro Anna spera di ritrovare e di vivere, almeno in parte quell’atmosfera vissuta circa vent’anni prima ma ormai tutto è cambiato: il pubblico stesso non è più quello di una volta, è cresciuto, si è evoluto, è diventato pretenzioso anche sulla scia dei tempi che sono altrettanto cambiati. Siamo nel 1960, è l’anno del boom economico e la massa inizia a scoprire la bellezza del consumo: si acquistano i primi elettrodomestici, i primi televisori, le prime auto, si pensa – per la prima volta – alle vacanze estive. Si guarda al futuro e al proprio benessere non solo psicofisico ma, soprattutto, materiale. E un film come Risate di gioia per quanto sia una testimonianza unica di cosa potessero essere questi due attori insieme a teatro, stride con tutto questo. Ma anche Anna e Totò sono cambiati, sono invecchiati, sono maturati: Totò in questo periodo è già cieco e sempre più solitario e anche Anna non è più la donna scatenata di un tempo pur avendo i suoi momenti di “ruzza”, ovvero di entusiasmo e di allegria sfrenati che divengono meno potenti.
In più si sta facendo avanti la nuova generazione: Stefania Sandrelli, Sofia Loren, Gina Lollobrigida, Virna Lisi, Claudia Cardinale… anche i volti cambiano assieme al Cinema e Anna sente che per lei c’è sempre meno spazio. Un’importante opportunità le viene offerta da Pier Paolo Pasolini che la vuole, nel 1962, per la sua Mamma Roma. Qui Anna torna ad essere un poco la Sora Pina per il livello di veracità, voracità e verità. Anna è eccezionale nel dar vita a questa matura prostituta che, un poco come la Maddalena Cecconi di Bellissima, si toglie dalla strada, mette su un banchetto di frutta e verdura in piazza, acquista casa e cerca di recuperare il figlio adolescente togliendolo dalla strada. Ma è un totale fallimento perché, come recita una battuta del film, “Sul niente non si costruisce niente” e Mamma Roma viene sconfitta, in tutte le sue aspettative e, soprattutto come Madre che, proprio come fosse la Madonna si vede crocifiggere il figlio ormai finito in carcere. Il film di Pasolini è sicuramente tra i più belli da lui realizzati e da Anna interpretati ma né il pubblico né la critica sembra comprenderlo tanto che la censura lo denuncia e lo vieta. Ma anche con Pasolini Anna ha delle incomprensioni. Il regista non fa che darle continue indicazione anche durante le riprese suggerendole ogni movimento da fare, ogni azione e direzione ed Anna questo non riesce proprio a tollerarlo. Alcuni scontri, nonostante il profondo rispetto reciproco, sono inevitabili tanto che Anna in seguito dichiarerà di essersi sentita usata da Pasolini che non è riuscita a comprendere lei e la sua recitazione sino in fondo.
In questo periodo, inoltre, molte sono le proposte che riceve Anna ma nessuna sembra essere interessante. Tranne una. Alberto Moravia ha scritto pensando a lei il romanzo La ciociara e ora si sta pensando a farne un film. Il regista è Vittorio De Sica, il produttore Carlo Ponti, il marito di Sofia Loren. Ciò significa che nel film deve esserci un ruolo anche per la moglie. Ad Anna, così, viene proposto il ruolo di Cesira, la madre e a Sofia quello della figlia adolescente. Anna non ce la fa e sbotta dicendo che in quel caso sarebbe stata la Loren a violentare i marocchini rifiutandosi di interpretare il ruolo di una madre che non avrebbe alcun sintomo di verità, sarebbero state inverosimili insieme. Così, propone a regista e produttore di far fare alla Loren il ruolo della madre. Anna credeva di aver fatto solo una battuta e, invece, viene presa sul serio e lasciata fuori dal progetto. E la Loren vince il suo primo Oscar.
Questo fatto lascia non poco amaro in bocca ad Anna la quale cerca di continuare il suo lavoro come meglio può e le viene concesso di fare. Fa una breve apparizione nel film a episodi Made in Italy di Nanni Loy e torna al suo primo amore: il Teatro. Così, nel 1965 la vediamo recitare ne La Lupa diretta da Franco Zeffirelli ottenendo un successo grandioso in Italia e all’estero. Anna ritrova il suo pubblico e intatta la sua profonda passione per il palcoscenico nonostante le febbri e i malesseri avuti per il timore e la paura di non farcela. Allo stesso modo, nell’anno seguente, recita in Medea dove a dirigerla c’è Giancarlo Menotti (il fondatore, nel 1958, del Festival dei Due Mondi di Spoleto) con accanto il suo ultimo compagno, l’attore Osvaldo Ruggieri. Anche questa volta è un trionfo e Anna si sente nuovamente felice a appagata nel suo essere attrice.
Ma il cinema la tradisce. Non le dà modo di esprimersi come vorrebbe. L’America la reclama ancora e, nel 1969, più per ricambiare una cortesia a un amico che per altro, accetta di interpretare, per la seconda volta, il ruolo della moglie italiana di Anthony Quinn ne Il segreto di Santa Vittoria di Stanley Kramer. Si racconta di un piccolo paese del Nord che, invaso dai tedeschi, nasconde le sue migliaia bottiglie di vino così prezioso per esso coinvolgendo tutta la comunità. Anche questo film passa quasi inosservato.
Alla fine degli anni Sessanta avviene anche una svolta per Anna: accetta di lavorare per la televisione. Per anni il piccolo schermo l’ha corteggiata, l’ha richiesta come ospite ma Anna ha sempre rifiutato perché non le andava di farsi vedere nelle case degli italiani mentre questi erano a tavola alle prese con il loro piatto di spaghetti. Ma questa volta l’offerta sembra essere interessante. Infatti, le viene proposto di realizzare per la Rai una miniserie composta di sei puntate ognuna delle quali dedicate a una figura di donna appartenente a un certo periodo storico. Ad Anna l’idea non dispiace affatto soprattutto quando viene a sapere che ad occuparsi della sceneggiatura e della regia sarà Alfredo Giannetti, il vincitore del Premio Oscar per la Migliore sceneggiatura originale di Divorzio all’italiana di Pietro Germi nel 1963. Anna accetta anche se il progetto subisce una variazione: le donne non saranno più sei ma quattro. Anzi, tre. Perché uno dei film prima di essere trasmesso in tv passa per il circuito cinematografico.
Così, Anna recita nel 1971 appare sul piccolo schermo recitando ne La sciantosa (andato in onda il 26 settembre 1971) dove interpreta una diva ormai decaduta del cafè-chantant che viene mandata al fronte per tirar su il morale dei soldati. L’attrice, forse non rendendoci ben conto della reale situazione e portando all’esasperazione il giovane Tonino (Massimo Ranieri), continua ad atteggiarsi a grande attrice dai grandi capricci per poi perdere ogni velleità una volta aperto il sipario vedendo tutti quei giovani malati, feriti e mutilati. Ed è qui che intona per loro le note struggenti de ‘O surdato nnamorato. Il secondo film va in onda il 2 e 3 ottobre 1971 e dalla prima passiamo alla seconda guerra mondiale con 1943: un incontro. Anna qui interpreta il ruolo della non più giovane Linda che si innamora dell’ex ufficiale di complemento Stelvio (Enrico Maria Salerno) che, ricordando non poco Roma città aperta, le viene portato via su un treno diretto ai campi di concentramento.
La Storia continua e si arriva ai giorni nostri con L’automobile trasmesso dalla Rai il 10 ottobre 1971 dove Anna interpreta una prostituta che vuole rendersi indipendente e con l’aiuto del fedele amico e traffichino Giggetto (Vittorio Caprioli) prende la patente e acquista un’auto per poi perdere tutto il suo sogno e la sua “acquisita libertà” in un incidente sulla Via del Mare.
L’ultimo film mandato in onda è …Correva l’anno di grazia 1870 dove Anna recita accanto a Marcello Mastroianni raccontando della Roma papalina, dei movimenti insurrezionali nella Capitale dando vita, ancora una volta, a un ruolo di moglie-madre-donna lavoratrice, combattiva e volitiva. Come accennato il film prima di arrivare nelle case degli italiani passa per il grande schermo ma senza ottenere i risultati sperati. Anzi, tutt’altro. Eppure la lavorazione va a gonfie vele: Anna non si risparmia tanto da ferirsi durante una scena di massa gridando al regista di non fermarsi e di continuare a girare. Anche il rapporto con Mastroianni è ottimo sia sul set che fuori. Marcello ammira moltissimo Anna e la sua onestà tanto da dichiarare in un’intervista: Era la prima volta che recitavo con la Magnani e l’emozione fu grandissima. Mi dispiace per le mie colleghe, ma l’emozione che ho provato con Anna è unica, è inutile parlarne, non si può commentare la grandezza e l’intelligenza di Anna Magnani come attrice. Mi ricordo che c’era una lunga battuta che doveva dire commentando i fatti politici accaduti nel film, ma lei si impuntò e disse: ‘Che cos’è questa sparata lunghissima mentre Mastroianni mi sta a sentire, via via, un pezzo lo dico io, un pezzo lo dice lui’. Cioè la leggenda della Magnani donna terribile, con la quale avere a che fare sul lavoro erano dolori, non era vera. Poi penso che quando uno è così bravo può permettersi tutto. Fanno capricci tante sciocche attrici, e lei invece che misura d’intelligenza e anche di generosità ha dimostrato. Forse nel suo atteggiamento c’era anche un po’di stima per me, non so[26].
Con questo film programmato – ironia della sorte – proprio il 26 settembre 1973, giorno della morte della Magnani l’attrice dà il suo ultimo saluto al suo pubblico cui ha lasciato in eredità il suo più autentico testamento attraverso il cameo in Roma di Federico Fellini (1972). In questo film Anna interpreta se stessa in una brevissima apparizione in cui si deve Anna che si appresta a rientrare nel portone della sua casa in Palazzo Altieri, vicino Piazza Venezia a Roma. In questi brevi attimi si svolge un dialogo tra l’attrice e il regista che si palesa attraverso la sua voce fuori campo:
- (Fellini): “Questa signora che rientra a casa, costeggiando il muro di un antico palazzo patrizio, è un’attrice romana: Anna Magnani, che potrebbe essere anche un po’ il simbolo della città…
- (Magnani): Chi so’ io?!
- (Fellini): Una Roma vista come lupa e vestale…
- (Magnani): De che?
- (Fellini): …aristocratica e straccionesca, tetra, buffonesca. Potrei continuare fino a domattina…
- (Magnani): A Federi’, ma va a dormi’, va!
- (Fellini): Posso farti una domanda?
- (Magnani): No… nun me fido. Ciao! Buonanotte…”.
Ed è con queste poche battute che Anna incastona tutto il suo essere “donna” e “attrice” sempre in preda a quella diffidenza che non sempre l’ha aiutata come avrebbe dovuto. Ed è con queste parole che cala il sipario sulla carriera di un’attrice che ha reso grande il Cinema del suo Paese agli occhi del mondo intero. Ed è ancora al chiudersi di questo sipario che noi, più o meno, giovani spettatori di oggi dobbiamo alzarci in piedi e applaudire finché l’eco di questo applausi non superi i limiti della Storia, dello Spazio e del Tempo.
Il video omaggio
[1] Oriana Fallaci, Mamma tragica ne «L’Europeo», anno XIX, n. 15, 14 aprile 1963, pp. 86-89.
[2] Intervista Rai di Pietro Pintus ad Anna Magnani, 1965.
[3] Anna Magnani, Si è detto tutto sulla Magnani ma la verità ve la racconto io in «Gente», anno XVII, n. 41, 12 ottobre 1973, pp. 10-12.
[4] Patrizia Pistagnesi (a cura di), Anna Magnani, Fabbri Editori, Milano, 1989, pp. 46-47.
[5] Giancarlo Governi, Nannarella – Il romanzo di Anna Magnani, Minimum Fax, Roma, 2008, p. 38.
[6] Anna Magnani, La signora è servita in «Cinema Nuovo», n. 14, 1° luglio 1953, p. 11.
[7] Anna Magnani, Si è detto tutto sulla Magnani ma la verità ve la racconto io in «Gente», anno XVII, n. 41, 12 ottobre 1973, pp. 10-12
[8] Oriana Fallaci, Mamma tragica ne «L’Europeo», anno XIX, n. 15, 14 aprile 1963, pp. 86-89.
[9] Matilde Hohkofler, Anna Magnani. La biografia, Bompiani Overlook, Milano, 2013, p. 50.
[10] Ivi, pp. 50-51.
[11] Elsa De’ Giorgi, I coetanei, Einaudi, Torino, 1955, pp. 217-218.
[12] Pistagnesi P. (a cura di), Anna Magnani, cit, pp. 51-52.
[13] Pier Paolo Pasolini nel poemetto “La ricchezza”, La religione del mio tempo, Garzanti, Milano, 1962, pp. 937-938.
[14] Pistagnesi P. (a cura di), Anna Magnani, cit., p. 53.
[15] Patrizia Carrano, Anna Magnani. Il romanzo di una vita, Lindau, Torino, 2004, p.131.
[16] Chiara Ricci, Anna Magnani. Racconto d’attrice, Graphe.it Edizioni, Perugia, 2023 p.67.
[17] Carrano P., Anna Magnani. Il romanzo di una vita, cit., p. 142.
[18] Ivi, p. 143.
[19] Pistagnesi P. (a cura di), Anna Magnani, cit., p.98.
[20] Hochkofler M. Anna Magnani. La biografia, cit., p. 147.
[21] Ricci C., Anna Magnani. Racconto d’attrice, cit., p.82.
[22] Carrano P., Anna Magnani. Il romanzo di una vita, cit., p. 50.
[23] Ricci C., Anna Magnani. Racconto d’attrice cit., pp. 103-104.
[24] La vincitrice sarà Joanne Woodward per la sua interpretazione ne La donna dai tre volti di Nunnally Johnson.
[25] Ivi, pp. 118-119.
[26] Hochkofler M., Anna Magnani. La biografia, cit., p. 355.