La Rubrica online “Piazza Navona” ha il piacere di presentarvi la mostra “INSIEME” curata da Gianni Politi che, attraverso le Opere di 19 Artisti contemporanei esposti su una porzione delle Mura Aureliane, promuove un confronto con la Storia raccontando il presente.
La mostra INSIEME è un progetto espositivo ideato da Gianni Politi e realizzato con il sostegno di Ghella SpA, promossa da Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.
Dopo il duro periodo pandemico è diventato per Politi necessario esprimere la forza della città di Roma e del suo fermento culturale. Ha così immaginato di appropriarsi delle Mura Aureliane per esporre le Opere di 19 artisti, da lui selezionati nel ruolo di curatore, per costruire un dialogo tra monumento e contemporaneo. Appropriarsi di un luogo ha sempre avuto il sapore romantico della scorribanda, secondo Gianni Politi.
Quando gli artisti lo hanno fatto negli anni Sessanta e Settanta erano spinti da una necessità che oggi sentiamo presente. Sono naturali cicli della storia. Lavorando oramai da dieci anni nel quartiere di San Lorenzo, all’ombra delle Mura Aureliane, ho smesso di viverle come un monumento cercando di dialogarci come un mezzo per parlare di arte contemporanea: le Mura diventano mura. Sono una perfetta metafora dell’atteggiamento necessario da assumere in tempi incerti e complessi come questi, dove gli artisti sono moralmente chiamati a parlare. Voglio attaccare su queste Mura le nostre Opere per raccontare il presente. Comporre un’unica grande Opera, come un mosaico per Roma, Insieme. Durante il periodo di lockdown ho costantemente dialogato con Matteo d’Aloja, coordinatore delle immagini. Sentivamo il bisogno di raccontare un cambiamento attraverso l’arte.
L’allestimento è stato ideato per essere una macchina teatrale invisibile spiega d’Aloja. Ci siamo imposti dei limiti, tra cui la mancanza di copertura che espone le Opere alle intemperie. La libertà di esporre all’aperto permette di apprezzare i lavori secondo le diverse luci del giorno e della notte. Alla fine della loro esposizione saranno mutate, danneggiate o semplicemente alterate. Sarà interessante vederne il costante cambiamento.
La mostra INSIEME sarà fruibile liberamente dal 22 ottobre al 30 novembre sulla porzione di Mura Aureliane su via di Porta Labicana.
Opere di: Maurizio Altieri, José Angelino, Micol Assaël, Elisabetta Benassi, Joanne Burke, Alessandro Cicoria, Stanislao Di Giugno, Rä di Martino, Giuseppe Gallo, Vostok Lake, Emiliano Maggi, Marta Mancini, Andrea Mauti, Nunzio, Lulù Nuti, Alessandro Piangiamore, Gianni Politi, Pietro Ruffo, Delfina Scarpa.
Gianni Politi (Curatore)
In che dimensione possono ormai esistere le Opere, in un tempo in cui gli spazi chiusi sono diventati ostili e pericolosi? L’arte diventa fruibile solo attraverso uno strumento digitale, col rischio di essere esteticamente più dannoso che utile. Questa necessità di appropriazione nasce da un sentimento sporco. Guardare un muro e desiderare di appenderci un’opera è qualcosa che nella mia vita succederà molte altre volte, ed è più o meno successo ogni qualvolta mi sono ritrovato in uno spazio predisposto per la cultura. In questo caso il muro è esso stesso monumento senza vincoli spaziali. Un monumento che però ha la sua ironia, essendo soltanto un muro. Le mura Aureliane sono state costruite per difendere i con fini della città di Roma dalle invasioni dei barbari; dentro e fuori quelle mura si è espansa la città ed il mondo che ha contenuto dividendolo e inglobandolo allo stesso modo.
Per noi contemporanei, che abitiamo e viviamo la città di Roma, quelle mura non devono difendere più nulla da nessuno e sono addirittura diventate qualcosa che ci abbraccia anche se le guardiamo da fuori. Personalmente mi hanno accolto ai loro piedi, avendo lo studio in via dei Rutoli, e si sono lasciate guardare per tre lunghi anni. Ho desiderato possederle, usarle, allestirci una mostra. Una mostra di artisti, insieme, con cui convivo dentro e fuori quelle stesse mura. Artisti che sono anche amici e volte nemici, insieme sulle stesse mura che han diviso per secoli i romani dai barbari.
Questa mostra l’ho immaginata come un grande mosaico di esperienze artistiche diverse, che guardate con un unico sguardo possano diventare qualcosa di ancora più grande. Qualcosa che possa superare le nostre singole ricerche ed individualità per poter comporre un cosmo di intimità e di desideri condivisi. Tutti gli artisti ambiscono a conquistare gli spazi con il proprio lavoro e tutti soffriamo della nostra nuova ed inaccettabile condizione di confinati. Pensando a Roma, l’isolamento, inteso come solitudine culturale, era condizione già presente, prima del Covid-19. Tanti artisti isolati e lontani.
Vicini per vocazione o riconoscibilità ma mai uniti da un’idea sul proprio tempo. Quando iniziai a parlare di questa idea agli artisti, nessuno esitò. Condividevamo un sentire avvertito anche dalla Sovrintendente e dagli archeologi che si occupano di salvaguardare il monumento. Roma, che sembra respingere le incursioni dei contemporanei, non vedeva l’ora di contaminarsi con chi vive la sua grande pancia. Le mura, come cinta, hanno dovuto cedere il passo alla forza di un perpetuo presente. Man mano sfaldandosi nella loro stratificazione millenaria, oggi perdono il ruolo di protezione e assumono quello di porta accogliente la cui maniglia si fa trovare a fatica da noi contemporanei. Ho voluto riunire alcuni compagni di viaggio con cui condivido la strada. Non ho potuto unirli tutti. Sogno che questa mostra potrà essere ricordata come un’unica grande immagine che nasce dal lavoro del singolo e trova forza nella collettività. Questo muro leggendario non è poi altro che un percorso che compio quotidianamente. Una strada del mio quotidiano che si riflette come specchio nel mio mondo interiore, nella sfera del pensiero. Come evento circolare si ripresenta metabolizzato dal pensiero alla nuova realtà.
È una mostra che ho concepito come naturale espressione del mio vivere quotidiano, dove le Opere sembreranno apparire spontanee sul quel muro come avviene nel mio spazio creativo. L’allestimento coordinato da Matteo d’Aloja è proprio quel sogno sospeso che mi auguro porti lo spettatore a guardare e riflettere sul luogo scontato e goffo che è colonna vertebrale e contenitore della città. Un allestimento invisibile che porta a contemplare una manifestazione in un luogo incapace di sorprendere se non attraverso riflessioni sulla storia della città. Ieri il lavoro di questi artisti era fruibile sui muri degli studi, delle gallerie, dei musei e delle case di chi colleziona. Oggi sono finalmente tutti insieme, su un unico muro, che è anche il più mitico di Roma, città aperta. Oggi siamo assieme, per tutti, a cielo aperto. È un gesto liberatorio: come un segreto che arde fino a ferire. Perché Roma è il luogo dove il tempo di ognuno convive con lo spazio infinitamente dilatato della sua eternità, eternamente presente nell’umanità forever. La qualità di questa città mi inquieta e fa venir voglia di tatuarle addosso il nostro breve passaggio sulla pelle del tempo. Andremo a schiantare le nostre ambizioni sul muro, come in una guerra. Forse perderemo; certamente perderemo insieme, ma sarà esaltante.
Matteo d’Aloja (Coordinatore delle immagini)
Il periodo di isolamento dovuto alla pandemia è stato un momento di grande confronto con Gianni Politi. Parlavamo spesso al telefono cercando di immaginare il dopo e il ruolo che l’arte avrebbe dovuto avere, coscienti dell’utopia. Terminati gli obblighi di distanziamento sociale mi chiese di vederci per parlare. Senza troppi giri di parole disse che aveva l’idea per una mostra e che avremmo potuto realizzarla solo Insieme. Capivo la forza del progetto, per questo gli consigliai nomi di persone che avrebbero saputo portare avanti, meglio di me, una visione tanto lucida. Le motivazioni che mi diede furono convincenti al punto che il giorno dopo presentai la proposta all’Amministratore Delegato di Ghella, per cui lavoro e di cui ho la fortuna di seguire anche i progetti d’arte. La risposta fu entusiastica. Ghella negli ultimi anni ha creduto in progetti d’arte che potessero innescare nuovi spazi per la mente. Un punto di vista esterno che sapesse vedere l’inesplorato, generando bellezza. In linea con la visione aziendale, questo è un tributo alla nostra comunità e una grande opportunità per lasciare un mondo migliore alle nuove generazioni. Uscendo dallo studio di Gianni in via dei Rutoli a San Lorenzo, a sinistra, un confine meraviglioso. Un percorso stretto, senza piazza.
La fruizione doveva essere libera, ma sfuggente. Questa è un’epoca in cui si cammina con lo sguardo sul cellulare, senza percepire la bellezza naturale e casuale, ma subendo dai Social perfette immagini incorniciate. Questo lavoro serve a guardare il cielo. A riflettere sul patrimonio che ormai attraversiamo meccanicamente, stanchi. L’allestimento è stato ideato per essere invisibile. C’è l’imponente architettura delle Mura e la vulnerabilità delle Opere: non serve altro. Ci siamo imposti dei limiti, tra cui la mancanza di copertura che espone le Opere alle intemperie. La libertà di esporre all’aperto permette di apprezzare i lavori secondo le diverse luci del giorno e della notte. Illuminate artificialmente, come dalla Luna, saranno in costante cambiamento. Alla fine della loro esposizione saranno mutate, danneggiate o semplicemente alterate. Andrò molte volte a vederne il cambiamento. L’intenzione era quella di ricreare una sorta di Salon Carré – o forse des Refusés essendo sul lato esterno delle Mura – ma secondo le nostre regole. Le Mura andavano prima di tutto preservate. Da questo banale quanto imperativo vincolo abbiamo progettato una macchina teatrale che permette di sospendere le Opere senza intaccare il paramento murale. Un contrappeso posto sul lato interno alle Mura, calcolato dall’ingegnere Graziano Pipolo, ha conferito grande libertà agli artisti nella scelta delle Opere e al curatore nella composizione dell’unicum.
Un mosaico che supera il valore storico delle Mura e la singolarità degli artisti, per cercare di generare una nuova dimensione attraverso l’Insieme. Insieme è un titolo rassicurante. Esprime un bisogno che sottintende una mancanza. Per gli artisti è un modo per dialogare. Personalmente ritengo sia la formula per superare la profonda crisi che stiamo attraversando. Quando questa crisi pandemica passerà, perché passerà presto, si porterà dietro dei ricordi sbiaditi e un cambiamento ancora incomprensibile. Questa mostra sarà il monito di come abbiamo reagito.