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Letto per voi… “Catastrofi” di Francesca Guidotti

La Rubrica online “Piazza Navona” inizia questa nuova settimana parlandovi del libro “Catastrofi. Disastri nucleari e incidenti spaziali nell’immaginario britannico (1950-1968)” di Francesca Guidotti (Tab Edizioni). Un saggio dedicato alla fantascienza negli anni della Guerra Fredda. Non perdete l'”Incontro con l’Autrice”!

La trama

Francesca Guidotti, “Catastrofi. Disastri nucleari e incidenti spaziali nell’immaginario britannico (1950-1968)”, Tab Edizioni, 2020

Secondo Dopoguerra. Guerra Fredda. È in questo periodo, tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, che termini e tematiche legate alla minaccia del nucleare e la progressiva conquista dello Spazio (basti pensare al primo uomo sulla Luna il 21 luglio 1969) divengono i tratti distintivi della conquista e dell’identità di un mondo postmoderno. Tutto questo naturalmente si riflette anche in una certa tipologia di musica, letteratura e cinema dell’epoca (da 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick del 1968 alla canzone Space Oddity di David Bowie pubblicata l’11 luglio 1969). Questi nuovi mondi affascinano gli studiosi e il pubblico di ogni età. Ogni catastrofe figlia della propria Storia diviene quasi una nuova opportunità di crescita, di studio, di confronto, di ricerca. Un nuovo universo su cui fantasticare e di cui scardinare sempre più i confini.

Sul libro

Nel novembre 2020 la Tab Edizioni pubblica nella Collana “Università” il saggio di Francesca Guidotti, attualmente Ricercatrice di Letteratura inglese presso il Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Straniere dell’Università di Bergamo, dal titolo Catastrofi. Disastri nucleari e incidenti spaziali nell’immaginario britannico (1950-1968).

Tab Edizioni

Si tratta di un interessante saggio dedicato all’analisi da un punto di vista storico, letterario e anche cinematografico del significato di catastrofe inteso anche come punto di arrivo e, allo stesso tempo, di (ri)partenza utile a ristabilire un certo equilibrio. A tal proposito è utile ricordare che la parola catastrofe, come riportato nel Dizionario Treccani, deriva dal verbo καταστρέϕω tradotto in italiano con capovolgere e il cui sostantivo derivato significa rivolgimento e  rovesciamento. In tal senso, la catastrofe può essere intesa anche come “opportunità” e come situazione da cui apprendere per (ri)creare e avviare un nuovo inizio.

Non a caso è scritto nel volume:

La catastrofe è anche questo, un’alterità perturbante in cui dapprima rispecchiarsi, per poi distanziarsene, definendo la propria immagine di sé, inizialmente, per analogia e, successivamente, per contrapposizione.

“2001: Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick (1968)

Francesca Guidotti organizza il suo testo in due macro-capitoli: All’ombra della bomba. Gli anni Cinquanta e Voci dallo Spazio. Gli anni Sessanta affrontando rispettivamente le tematiche riguardante il nucleare e la conquista dello Spazio (in una parola: fantascienza) analizzandone aspettative e paure dal punto di vista letterario e cinematografico. Ma non solo. L’Autrice, infatti, riporta anche le aspettative avverate e disilluse dell’epoca traslandole ai giorni nostri con le catastrofi più o meno recenti rispetto alla seconda metà del Novecento. Una per tutte: l’odierna pandemia e il caos umano, sanitario, artistico, culturale, politico ed economico creato dal Covid-19 di cui quotidianamente tutti ne stiamo pagando le conseguenze.

Lo scrittore George Orwell (1903-1950)

La fantascienza così, verrà interpretata come un ambito nettamente delimitabile, come un aggregato instabile e, per molti versi, liberamente riconfigurabile di discorsi nematicamente omogenei, ma variamente declinati in senso multi prospettico e plurimediale; discorsi che rispecchiano sintomaticamente, le molte facce e contraddizioni del contemporaneo panorama storico culturale.

Francesca Guidotti, così, prestando particolare attenzione al mondo britannico, utilizza per il suo ambito di studio il periodo della Guerra Fredda, l’espressione usata per la prima volta dallo scrittore inglese George Orwell nel suo saggio You and the Atomic Bomb pubblicato per la prima dal quotidiano The Tribune il 19 ottobre 1945, Lo scrittore, così, è il primo a parlare per la prima volta della minaccia del nucleare e delle possibili conseguenze sull’intera umanità.

Nei citati capitoli la scrittrice prende in esame dei testi letterari e filmici appartenenti al genere fantascientifico che da sempre ha tanti estimatori e appassionati. Tra questi esempi vi sono: The Day of the Triffids di John Wyndham, On the Beach di Nevil Shute e l’omonima trasposizione cinematografica di Stanley Kramer, 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick e la “versione musicale” di David Bowie con il brano Space Oddity, The Dead Astronauts di J.G. Ballard e Dr. Bloodmoney di Philip K. Dirk.

David Bowie, “Space Oddity” (1969)

Così facendo il volume diviene una vera e propria mappa delle catastrofi immaginate e reali (almeno di alcune) che hanno segnato e caratterizzato profondamente il Secondo Novecento trovando un giusto dialogo tra passato, presente e futuro.

Come afferma l’Autrice nella sua Introduzione al volume: La storia ci ha insegnato a pensare che è partendo dalle catastrofi di ieri che si impara a relazionarsi con quelle di oggi. E le catastrofi immaginarie ci possono aiutare ad affrontare, con maggiore cognizione di causa, quelle vere. O viceversa: l’ordine, in fondo, non è poi così importante. Del resto, il postmodernismo ci invita a valicare le linee di demarcazione, inclusa quella tra realtà e finzione, un invito che accogliamo volentieri.

Certo è che il saggio Catastrofi. Disastri nucleari e incidenti spaziali nell’immaginario britannico (1950-1968) è un volume ben costruito, scritto con passione, attenzione offrendo al Lettore un’analisi minuziosa dei testi – filmici, letterari, musicali – di cui spesso riporta, per amore di verità e di ulteriore confronto, anche la versione originale debitamente tradotta in nota per permettere a chi non ha familiarità con la lingua di comprendere e di andare sino in fondo all’argomento trattato.

Francesca Guidotti, “Catastrofi. Disastri nucleari e incidenti spaziali nell’immaginario britannico (1950-1968)”, Tab Edizioni, 2020

Ciò agevola non poco la lettura del volume. È naturale che coloro i quali non hanno letto o visto i testi culturali di riferimento facciano “una fatica” in più a seguire i ragionamenti offerti dall’Autrice ma è altrettanto vero che quest’ultima fa tutto il possibile per non lasciare nessuno dei suoi Lettori indietro. Per questo nel testo si ritrovano trame dettagliate, estratti debitamente tradotti come appena accennato, riferimenti precisi… In tal modo, Catastrofi. Disastri nucleari e incidenti spaziali nell’immaginario britannico (1950-1968) diviene non solo “luogo” di analisi e di studio ma anche “occasione” di consigli e suggerimenti di letture, film, brani musicali… e di una nuova visione del mondo. Reale o fantascientifico che sia. In fondo, la realtà che stiamo vivendo in questo periodo non si può dire che non rasenti la fantascienza!

Incontro con l’Autrice

La scrittrice Francesca Guidotti (Per gentile concessione di Francesca Guidotti)

Come è nato il progetto editoriale del saggio Catastrofi. Disastri nucleari e incidenti spaziali nell’immaginario britannico (1950-1968)?

Come ho scritto nell’introduzione, il volume riprende e completa un percorso di ricerca protrattosi negli anni, e già in parte configurato. La pandemia mi ha poi spinto a riprendere quegli studi che, tutto a un tratto, mi sono apparsi straordinariamente attuali. Ragionare delle catastrofi prefigurate negli anni Cinquanta e Sessanta mi è sembrato un modo per dare senso al presente, forse anche per tentare di esorcizzarne le ansie.

In che modo è riuscita a strutturare il suo lavoro e a creare questo parallelismo e questa attenta analisi tra letteratura, cinema, musica e catastrofi nucleari e disastri spaziali?

Francesca Guidotti, “Catastrofi. Disastri nucleari e incidenti spaziali nell’immaginario britannico (1950-1968)”, Tab Edizioni, 2020

La matrice critica a cui si ascrive questo mio lavoro è quella degli Studi Culturali, praticati in ambito anglofono da alcuni decenni, i quali accostano la letteratura alla cultura di massa, intesa anche in senso intermediale. I temi scelti si prestavano bene a un approccio del genere, che ha poi il vantaggio di essere estensibile a molte altre opere della contemporaneità e del recente passato. È proprio dall’intreccio tra diversi ambiti culturali che scaturisce lo spaccato di un’epoca di cui, ancora oggi, siamo figli.

Come è riuscita a organizzare il suo lavoro di ricerca, di analisi e di stesura del testo?

Negli ultimi tempi non è più stato possibile viaggiare, ed è anche stato più difficile usufruire delle biblioteche pubbliche, specie durante il lockdown. Fortunatamente avevo già raccolto la gran parte del materiale che mi serviva e mi sono comunque potuta avvalere dei servizi di acquisto e consultazione online; ma è indubbio che la pandemia abbia reso più difficoltosa l’attività di ricerca.

Qual è stata la difficoltà maggiore che ha riscontrato nella realizzazione del suo volume?

Nevil Shute, “On the Beach” (1957)

Non è stato facile affrontare queste tematiche in un periodo tragico come quello del recente passato, avendo negli occhi le immagini luttuose della città di Bergamo, sede della mia università, e più in generale di un mondo indelebilmente segnato dalla pandemia. I paralleli tra il catastrofismo presente e quello passato, tra le tragedie esperite e quelle solo immaginate erano, e sono, davvero tanti. Per alcune settimane ho continuato a posticipare l’analisi del romanzo On the Beach di Nevil Shute, un’opera cupamente nichilista che racconta la fine del mondo umano; è stato infatti l’ultimo testo che ho affrontato vincendo le mie istintive resistenze iniziali. Capivo però che la paradossale attualità del tema rendeva questo mio libro necessario, specie per le giovani generazioni e per gli studenti universitari, che sembravano ancora più assetati di cultura e bisognosi di strumenti che li potessero aiutare ad affrontare, e a interpretare, il presente.

Come è nato il suo interesse per la contaminazione e, in un certo senso, per la “rivisitazione” di generi in ambito letterario come è accaduto anche per il suo precedente saggio dal titolo Cyborg e dintorni?

Francesca Guidotti, “Cyborg e dintorni. Le formule della fantascienza” (Sestante, 2003)

In epoca postmoderna i confini tra i diversi generi non sono più netti, come forse lo erano nel passato; anzi, si potrebbe dire che viviamo in un’epoca di continua e proficua ibridazione, contaminazione, fertilizzazione reciproca tra forme e modelli. Alcuni studiosi si sono chiesti persino se si possa ancora parlare dei generi come di categorie indipendenti e autosufficienti, ciascuna con le proprie regole e formule, con le proprie pertinenze e gerarchie, e magari con il proprio pubblico settoriale. La fantascienza, ad esempio, è stata a lungo ghettizzata e relegata ai margini della cultura mainstream, mentre oggi si può dire che sia stata ormai sdoganata; anzi, la narrativa e la saggistica contemporanea attingono continuamente ai suoi tropi, con grande disinvoltura.

L’attuale pandemia di coronavirus in che modo la si potrebbe trattare in termini di letteratura e di catastrofe?

La letteratura si è sempre occupata di temi catastrofici, incluso quello pandemico. Basta pensare a The Last Man di Mary Shelley, The Scarlet Plague di Jack London e The Year of the Flood di Margaret Atwood; ma anche al Decameron di Boccaccio, I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni e La Peste di Albert Camus. Questo ci ricorda che altri, prima di noi, hanno vissuto, immaginato e raccontato situazioni analoghe. Molti sono i paralleli con il presente: tra il 1603 e il 1613 i teatri londinesi vennero chiusi per 78 mesi, causando gravi difficoltà a chi operava in quel settore.

John Wyndham, “The Day of the Triffids” (1951)

D’altro canto, allora come oggi la letteratura e l’arte hanno saputo riempire il vuoto prodotto dalla catastrofe. Durante il lockdown, ad esempio, il New York Times ha lanciato il Decameron Project, a cui hanno preso parte 29 scrittori contemporanei con le loro opere brevi, ispirate alla pandemia ed espressamente concepite per passare e per far passare il tempo ai lettori, proprio come accadeva ai quarantenati nella omonima raccolta boccaccesca.

Lei è docente di Letteratura inglese presso l’Università degli Studi di Bergamo. La sua passione per la materia ora divenuta oggetto del suo insegnamento quanto ha influenzato il suo “essere scrittrice”? 

Il compito primario di un ricercatore universitario è appunto quello di fare ricerca. Tutti noi scriviamo e pubblichiamo opere saggistiche originali nelle quali raccogliamo il nostro lavoro, che naturalmente cerchiamo sempre di svolgere con passione e competenza. Il fatto che io sia anche una docente di letteratura inglese influisce sicuramente sul modo in cui concepisco e sviluppo le mie opere. Essendo abituata a dialogare con gli studenti, oltre che con i colleghi, cerco sempre di adottare un approccio chiaro e un linguaggio accessibile. I temi scelti rispecchiano i miei interessi di ricerca e il panorama critico contemporaneo, ma raccolgono anche le sollecitazioni del mio uditorio.

J. G. Ballard, “The Dead Astronaut” (1968)

La Letteratura quanto è stata lungimirante nel pensare e nell’immaginare quel futuro che oggi è il nostro presente? Quali altre “sorprese” potremmo aspettarci o ci attendono, secondo lei?

Alcuni scrittori hanno saputo presagire il futuro, come H.G. Wells, uno straordinario futurologo capace di prevedere, tra le altre cose, la comparsa degli aerei, dei carri armati, delle armi nucleari, della TV satellitare e, per certi versi, del World Wide Web. Ma non è questo, a mio avviso, l’aspetto più cruciale. Lo stesso Wells, parlando nel 1902 alla Royal Institution, ha voluto contrapporre due diversi tipi di mentalità: la prima, a suo dire, attribuirebbe importanza soprattutto al passato, la seconda al futuro. A me sembra che la letteratura possa spesso essere ricondotta a quest’ultima casistica: riflette sul presente a partire dal passato, ma proiettandosi poi nel futuro. È questo sguardo lungimirante che veramente mi interessa, più che le ipotesi più o meno fantasiose avanzate dai singoli autori. Wells, ad esempio, quando prefigurava una Società delle Nazioni esente da divisioni, di certo non pensava alla Brexit; e tuttavia, nelle sue opere, ci ha fornito molti spunti per comprenderla.

H.G. Wells (1866-1946)

Quali sono gli Autori e le opere che hanno formato e influenzato il suo essere autrice, lettrice e docente?

Ci sono incontri che ti cambiano la vita. Per me è stata fondamentale la scoperta di Shakespeare quando ancora ero una studentessa liceale e non avevo gli strumenti per comprendere le emozioni che suscitava in me. Non so se sia giusto sostenere, con le parole di Harold Bloom, che a Shakespeare si deve “l’invenzione dell’umano”, ma di certo il suo teatro ha fondato la nostra modernità. Forse per questo mi piace tanto la fantascienza che, nei casi migliori, è ricca di suggestioni shakespeariane, come ha giustamente sostenuto Carlo Pagetti. Oltre alla narrativa e al teatro amo molto anche la poesia, specie quella metafisica e quella romantica, con le loro asperità, densità e contraddizioni. Ma non avrei potuto fare questo lavoro se non mi fossi anche formata sulla critica letteraria, prendendo parte a un dottorato di ricerca e poi continuando ad aggiornarmi. Come docente insisto sempre sul fatto che l’atto interpretativo è necessariamente il prodotto di uno sguardo consapevolmente situato, e nutritosi di molte letture.

Il drammaturgo inglese William Shakespeare (1564-1616)

Lo so, sto per farle una domanda (temo) assai scomoda: da docente, studiosa e appassionata di Letteratura inglese quali sono le opere e gli scrittori che preferisce e di cui consiglierebbe la lettura?

Per quanto riguarda la letteratura inglese, Shakespeare, sicuramente. Con un’avvertenza: ognuno deve trovare il suo Shakespeare, quello che lo rispecchia in una data fase della sua vita: io, al momento, sceglierei Amleto. Poi il Frankenstein di Mary Shelley, e le opere di J.G. Ballard e Angela Carter; spaziando oltre oceano, William S. Burroughs, Philip K. Dick e Ursula K. Le Guin. Ma anche Dante, Cervantes, Gabriel García Márquez. Tra i contemporanei, Ian McEwan e Margaret Atwood. Questa è però una lista inevitabilmente provvisoria e necessariamente sintetica.

Quali sono i suoi prossimi impegni editoriali e professionali?

Francesca Guidotti, “Catastrofi. Disastri nucleari e incidenti spaziali nell’immaginario britannico (1950-1968)”, Tab Edizioni, 2020

Mi piacerebbe occuparmi di didattica della letteratura, un ambito a mio avviso cruciale ma poco praticato, in Italia e non solo. Il modo in cui si insegna la letteratura non è cambiato molto nel corso degli anni, e non è sempre rispondente alle esigenze e agli interessi delle nuove generazioni. Quando i giovani si lamentano del fatto che la letteratura è noiosa, e che esula dai loro interessi, mi chiedo sempre che cosa non abbia funzionato nel processo formativo. Fortunatamente molti dei nostri studenti, pur partendo da questi preconcetti, finiscono poi per laurearsi nelle discipline letterarie.

 

 

 

 

 

 

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