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Il Maestro Sergio Nardoni, pittore fiorentino, si racconta in un autoritratto dai tratti decisi e dai colori intensi

Sergio Nardoni
Sergio Nardoni

Oggi ci attende un vero “Incontro d’Arte” con il pittore fiorentino Sergio Nardoni: tra i più apprezzati artisti dell’Arte contemporanea. Teatro, Cinema, ritrattistica, sirene, ricordi… tutto questo (e molto altro) è il tratto del Maestro Nardoni.

La mia prima domanda è, forse, quella che in tanti ti avranno già rivolta..ma quale è stato il tuo primo incontro con la Pittura, con l’Arte? 

Quando ero bambino, alla mia maestra elementare, una delicata pittrice dilettante, piaceva molto come disegnavo, tanto che mi concedeva dei piccoli privilegi, come ad esempio mentre spiegava l’aritmetica mi permetteva, unico nella classe, di disegnare. Poi mi aveva nominato illustratore del giornalino di classe, ma la cosa più bella, ricordo, è che mi invitava a casa sua nel pomeriggio della domenica, anzi una domenica sì e una no, quando il marito andava allo stadio a vedere la Fiorentina. E lì, nella sua casa, con i suoi pennelli e i suoi colori, all’età di sette anni, affascinato dai suoi quadri e sotto la sua guida, dipinsi il mio primo quadro ad olio. Era, ricordo, una veduta con un viale con i cipressi, che la impressionò per il senso di profondità, quasi di prospettiva, senza ovviamente sapere neanche che cosa fosse. Così incontrai la pittura e dipinsi il mio primo quadro ad olio.

Sergio Nardoni, "Albero genealogico della famiglia Nardoni", olio su tela
Sergio Nardoni, “Albero genealogico della famiglia Nardoni”, olio su tela

 Quando e come ti sei reso conto che la tua vita sarebbe stata la tua Arte?   

Adolescente, dipingevo già i miei primi quadretti, ricordo che visitai per la prima volta la Certosa di Firenze, ricca di capolavori dell’Arte, non distante da casa mia la raggiunsi , ricordo, in bicicletta, insieme a qualche amico. Tra la grande architettura del Trecento e qualche gioiello del Brunelleschi, gli affreschi di Pontormo e le vetrate di Raffaello incontrai, tra i tanti dipinti di grandi Maestri, quelli di Rutilio Manetti, non famosissimo, un pittore del tardo ‘500 evidentemente suggestionato da Caravaggio, che raccontava su grandi tele i momenti della giornata dei monaci certosini che lì vivevano. Ecco, quell’accostamento tra la quotidianità di quei monaci raccontata ora per ora dal pittore e la vita del pittore stesso che la raccontava, mi fece capire che l’arte in generale e la pittura in particolare erano non un mestiere, ma una condizione esistenziale. Convinzione che mi fu confermata più tardi, in età liceale, nella lettura di Pirandello, che con sferzante lucidità mi suggerì che “la vita, o la si vive, o la si scrive”.

Sergio Nardoni, "Ritratto di famiglia", olio su tela
Sergio Nardoni, “Ritratto di famiglia”, olio su tela

Come è nata la tua prima opera? E da cosa nasce la tua ispirazione? Cosa suggerisce la danza dei tuoi colori e dei tuoi pennelli?      

È difficile per me capire quale è stata la mia prima opera. Devo decidere quale definire tale. Forse quella da bambino, o quella da liceale, quella da studente d’Accademia, o quella della prima mostra, oppure la prima da professionista? Farò così, classificherò come mia prima opera quella legata all’avvenimento che ha determinato la mia scelta di vita. Avevo un grande amico, studiava in Accademia con me e tra le altre cose, aveva una caratteristica che ai miei occhi lo rendeva mitico: era il nipote di uno dei più grandi artisti del Novecento, Felice Carena. Così cominciai a frequentare la sua casa, sua madre, la figlia del grande pittore e soprattutto sua nonna, la moglie di Carena, che mi raccontava storie meravigliose della vita del marito e degli altri grandi che aveva incontrato, come de Chirico, Carrà, Morandi e tanti altri, incantandomi… Un giorno, conosceva ormai tutto di me, conosceva i miei primi quadri e i tanti, tanti disegni, andai a trovarla nella sua casa come facevo spesso e nella grande sala dove si trovavano dipinti degni dei grandi musei, aprì un cassetto e mi porse un meraviglioso costume da arlecchino, dicendomi: “Sergio, prenda questo costume, lo usava mio marito per i suoi quadri, lo faccia indossare dalla sua modella e lo dipinga…” Ecco, lo feci e dipinsi così la mia “prima opera” con l’ispirazione nata dall’emozione dell’avvenimento, dalla suggestione di fare qualcosa che in qualche modo era legata alla grande pittura e soprattutto feci “danzare”, come hai detto tu, pennelli e colori tra le trame variegate di quel meraviglioso costume…

Sergio Nardoni, "Amici in posa", olio su tela
Sergio Nardoni, “Amici in posa”, olio su tela

Nella tua vita ti sei dedicato sia alla Pittura sia alla Scultura: quale forma d’Arte prediligi tra le due?   

Quando, dopo la maturità artistica, al momento dell’iscrizione in Accademia, mi trovai a dover scegliere tra pittura e scultura, furono dolori… Sì perché tutti mi dicevano che ero principalmente un disegnatore, qualità indispensabile per uno scultore e meno, almeno per una larga parte del panorama pittorico contemporaneo, per un pittore, mi conveniva optare per la scultura. Ma siccome io, per costituzione mentale, tra una via più breve e una più difficile, scelgo sempre quella più difficile, scelsi pittura… poi, il colore, mi sarebbe mancato… Ma questo non mi ha impedito di fare anche la scultura. Anzi, tuttora sono impegnato in una fase che chiamo il periodo della “scultura dipinta”.

Ogni tuo dipinto vive della sua storia e vive nel vero senso della parola: è in movimento. E ci sono ballerine, clown,… alcuni sembrano riportarci alla Commedia dell’Arte ma anche al mondo del Circo… da cosa nasce questa doppia vita della tua Arte che letteralmente esce dalle sue cornici e carezzandoci ci permette di entrare in quel mondo meraviglioso?   

I miei personaggi sono eterni viandanti che percorrono le strade del mondo, e per poterlo fare si guadagnano da vivere con piccoli spettacoli viaggianti, sono attori itineranti, musicisti di strada, acrobati, equilibristi, danzatrici, si innamorano, se sono stanchi hanno una spalla sulla quale appoggiare la testa, fanno nuovi incontri, percorrono mari e monti, visitano città, si vestono con panni senza tempo, un po’ da circensi, un po’ da teatro della Commedia dell’arte, in somma, sarebbe bello poter allineare tutti i quadri che ho dipinto per poterli vedere come gli affreschi di una cattedrale gotica, si capirebbe meglio il loro viaggio, anche se non è difficile, il loro è il viaggio della vita… E tutto nasce dai miei amori di bambino e di ragazzo prima e di uomo poi, come il circo, la musica, il cinema, il teatro, la letteratura, l’arte, e la vita…

Sergio Nardoni, "Giovani viandanti", olio su tela
Sergio Nardoni, “Giovani viandanti”, olio su tela

Ma nei tuoi dipinti si racconta anche la Storia del Cinema. Hai ritratto Anna Magnani, Marlon Brando, Marilyn Monroe, Clint Eastwood, Russell Crowe… Come puoi raccontare di questa proiezione della Settima Arte.. nella tua Arte e nella tua concezione di Arte e Pittura?

La scelta per i soggetti dei miei quadri non è mai razionalmente giustificabile, non è programmata. Ho dipinto sempre tutto quello che mi veniva in mente, per poi accorgermi però che tutte le mie scelte avevano una caratteristica comune: facevano parte dei miei affetti. Se si escludono i ritratti su commissione, i miei modelli sono stati mia moglie, mio figlio, i miei amici, i miei oggetti di studio, i miei ambienti, i paesaggi che mi circondavano, in altre parole quello che amavo. E tra le tante cose che ho amato, e tanto, c’è sicuramente il cinema. Ricordo il primo film che ho visto in vita mia, ricordo, avevo quattro anni. Il babbo e la mamma mi portarono una sera al cinema vicino casa, l’ “Universale” (non c’era ancora la televisione). Già entrare in questa grande sala, con la platea e la galleria sopra, la penombra rotta da quel fascio di luce, tutte le persone attentissime e meravigliate, era meraviglioso. E poi il film, ricordo come se fosse ora, Peter Pan, che letteralmente mi rapì. Quei personaggi che parlavano e si muovevano come noi erano però disegnati e avevano però il potere di trascinarmi in un altro mondo, tanto che me li sognai per tutta la settimana seguente, anzi, quando la mamma voleva, con mio grande disappunto, che dormissi un po’ nel pomeriggio, l’unico modo per addormentarmi era mettermi a pensare a quel film, a quei personaggi e figurarmi come loro, partecipando alle loro mirabolanti avventure. Poi il disegno, riempivo, a partire dal quel fatidico giorno, album e qualsiasi altro foglio di carta che mi capitava a tiro di figure, di personaggi, di storie che derivavano da quel film. Così, col passare degli anni, i miei eroi diventarono 007 e Clint passando per Marlon Brando, i miei primi amori Marilyn e Anna Magnani, per poi passare in tempi più recenti a Nicole Kidman, il Gladiatore e tanti altri… Come potevano, una volta diventato pittore, dopo averli tanto amati, non entrare anche loro nei miei quadri?

Dalla prima volta che ho ammirato i tuoi dipinti ho sempre avuto la sensazione di essere trasportata in un’altra dimensione, calda, con luci e ombre ben definita, protetta. Tutti i tuoi “personaggi”, reali o di fantasia, raccontano una parte di sé e di te che osservi. A volte sei tu stesso a dirigere quest’orchestra divenendo artista e oggetto dell’Arte. Vedendo le tue opere alla mente mi tornano spesso le note delle musiche felliniane di Nino Rota nostalgiche e coraggiose, vive, armoniose.. e alcuni vivaci colori daliniani. Da cosa nasce quest’atmosfera così unica e indimenticabile?

Noi siamo il frutto di ciò che vediamo, che leggiamo, che ascoltiamo, e abbiamo padri nobili. Così, tutte le belle cose che hai detto del mio lavoro discendono direttamente da questo. Ma dobbiamo aggiungere anche ricordi , suggestioni, sentimenti , gioie dolori, speranze , illusioni e disillusioni che la vita ci ha regalato e abbiamo la nota completa del terreno fertile in cui cresce quella che tu chiami “quest’atmosfera così unica e indimenticabile”. Ma, in fondo, tutte queste cose che hanno prodotto l’atmosfera di cui tu parli, si potrebbero riassumere in una sola parola, anzi due: dalla vita, o meglio, dalla mia esperienza di vita.

Sergio Nardoni, "Il leone di Dalì", olio su tela
Sergio Nardoni, “Il leone di Dalì”, olio su tela

Come è stata la tua esperienza come insegnante in Italia e all’estero (soprattutto in Cina)?

Ah, confesso un piccolo rimpianto. Ho lasciato l’insegnamento quando avevo 45 anni ma mi piaceva tanto insegnare. Ero però convinto che la pittura fosse prima che una professione una condizione esistenziale e non poteva essere esercitata a mezzo servizio, ero convinto, e lo sono ancora, che la pittura sia un amante che non tollera rivali.

Voglio però rendere più figurato quanto ho appena detto con qualche esempio. Il mio primo incarico, giovanissimo, avevo vinto un concorso, fu come insegnante di Educazione Artistica nella Scuola Media. Ricordo che ero stato invitato da un importante critico, Renato Barilli, ad una altrettanto importante mostra, “Firenze per l’Arte contemporanea” al Forte di Belvedere a Firenze. Volevo fare il massimo e dipinsi per questa occasione un quadro di grandi dimensioni, si intitolava “Amici in posa” dove c’erano ben quattro ritratti oltre al mio autoritratto. Solo che la mostra stava per cominciare e il quadro non era ancora pronto, così chiesi quale fosse l’ultimo momento utile per la consegna. Il professor Barilli, mi dissero, viene da Roma domani mattina alle 9 per il montaggio della mostra, quello è l’ultimo momento. Così, le lezioni a scuola finivano all’una, avevo tutto il pomeriggio e la notte. Di corsa allo studio e avanti tutta la sera e, senza neanche mangiare, al lavoro fino alla mattina. Alle 7 e trenta ero al Forte di Belvedere con il quadro, consegna e via, alle 8 e trenta c’è la scuola …

Sergio Nardoni, "Amici in posa", olio su tela
Sergio Nardoni, “Amici in posa”, olio su tela

“Stamattina”, dissi ai miei ragazzi appena arrivato, “andiamo a disegnare fuori dal vero, boato in classe di approvazione, album sotto il braccio e via verso il parco di Villa Strozzi, non distante dalla scuola”. Una volta arrivati indicai agli studenti i soggetti da disegnare e tutti si misero al lavoro. Io mi sedetti su una panchina in modo da tener d’occhio un po’ tutti e come è facile prevedere, dopo un po’, mi addormentai. Fui svegliato dalla voce risentita di una delle allieve che diceva: “guardi che il professore ha lavorato tutta la notte!” Infatti, mi dissero poi i ragazzi, che due nonne con i bambini piccoli che avevano portato a giocare nel prato, avevano detto; “guarda la scuola di oggi, il professore lascia i ragazzi a disegnare e lui si mette a dormire!”

Ma non fu in questo momento che lasciai l’insegnamento. Il secondo incarico che mi fu affidato riguardava una Università americana, precisamente del New Jersey, con sede a Firenze, la Rutger’s Universty, per una serie di master di tre mesi sull’Arte italiana. Fu un periodo molto bello. Voglio però affidare al racconto di un piccolo episodio l’atmosfera che si era creata tra me e gli studenti nel corso di questa mia esperienza. L’età degli studenti era sui 22 – 25 anni e io ne avevo poco più di trenta. Eravamo quasi coetanei e riuscii a stabilire con loro un rapporto di amicizia prima di quello docente – discente. Ricordo che alla fine dei tre mesi di corso era previsto un esame di storia dell’Arte che attribuiva agli studenti crediti per la loro laurea e la mia valutazione diventava così molto importante per loro. Il mio programma prevedeva un finale con la visita e la permanenza a Roma per una settimana subito dopo l’esame. Nel corso del viaggio in pullman fui avvicinato da una studentessa che mi mise al corrente del malumore per la valutazione bassa che insieme ad altri aveva ricevuto all’esame stesso, che prevedeva solo una interrogazione orale. Mi disse che, siccome l’esame era in lingua italiana, erano stati avvantaggiati gli studenti di origine italiana che parlavano bene l’italiano, mentre lei insieme a tanti altri non lo era, trovando così qualche difficoltà ad esprimersi oralmente in italiano. Trovai che aveva ragione e che dovevo inventarmi qualcosa per riequilibrare la situazione. Bene, mi recai dal Direttore americano del programma che li accompagnava e gli dissi che, differentemente da come avevano fatto fino a quel momento, per dare una valutazione più corretta non bastava un colloquio orale, e ci voleva una prova scritta. Fu accettata la mia proposta e appena rientrati a Firenze si fece anche un esame scritto. Il finale lo puoi immaginare, tutti gli studenti ebbero i loro “credits” e se ne tornarono tutti contenti nel News Jersey. Qualcuno mi scrive ancora …

Sergio Nardoni, "La sfera della musica", olio su resina
Sergio Nardoni, “La sfera della musica”, olio su resina

Così, saltando diverse fasi e cambiamenti  arriviamo alla recente avventura cinese. Anche se non possiamo parlare di lezioni vere e proprie, perché in realtà sono stato invitato a tenere una serie di conferenze sul mio lavoro in diverse Università del Sichuan, una provincia del centro della Cina. Ovviamente parlavo in italiano, tradotto da una interprete, ed è stata veramente un’esperienza esaltante. Sì perché nei quattro anni, con soggiorni di due – tre mesi ogni anno, che ho trascorso in quel lontano paese, ho avuto la netta percezione che la nostra bella Italia sia considerata molto di più quanto lo sia a casa nostra. Come esempio, voglio raccontare qualcosa della prima delle conferenze che ho fatto a Chengdu, alla Sichuan University of China. Auto nera con autista a prenderci all’Hotel in cui eravamo alloggiati, poi una volta raggiunto il Campus Universitario il Preside della Facoltà di Belle Arti con un gruppo di docenti ad aspettarci fuori dell’ingresso, mi aprono lo sportello e appena uscito dalla macchina alzo gli occhi e, da parte a parte del viale, uno striscione rosso con scritta gialla che declamava: “Benvenuto Sergio Nardoni”… Io, in vita mia, non avevo mai visto niente del genere… Guarda:

"Benvenuto Sergio Nardoni" in Cina

Tra tutte le tue opere ce n’è qualcuna cui sei più legato e da cui non potresti mai separarti?

Ce ne sono, ce ne sono! Ma io, a trattenerli, non ci riesco! Ne ho fatti di tentativi per tenermi qualche quadro, ma niente da fare, o quasi… Infatti, in casa ho soltanto nove quadri miei, pensa però , lo sai, io lavoro molto, che in vita mia ne ho dipinti quasi tremila! Quelli che ho in casa sono piuttosto grandi, uno è la porta di un guardaroba che dovrebbe essere intoccabile, anche se, tre o quattro volte l’ho smontata e mandata a qualche mostra, gli altri sono ritratti di mio figlio e di mia moglie, dei miei cani, il ritratto di famiglia dove ci sono anch’io, l’albero genealogico e basta…

Sergio Nardoni, "Roberta con la sua gattina", olio su tela
Sergio Nardoni, “Roberta con la sua gattina”, olio su tela

In passato mi ero inventato questa: quando facevo un quadro che mi sembrava più riuscito di altri, dopo averlo consegnato al gallerista e sicuro di non vederlo più, ne dipingevo una replica con qualche variante, magari di misura più piccola, così da crearmi una piccola collezione. Ebbene, durò poco, quando ne avevo messi da parte meno di dieci arrivò il gallerista dicendo ci vogliono i quadri, ci vogliono quadri, e io, convinto dal vecchio detto “bisogna pur vivere”, glieli diedi.

Ma l’opera da cui non potrei mai separarmi direi che non esiste, perché quella che pensavo fosse tale, nel 2011, un anno terribile (o meglio terribilmente bello) in cui feci la mostra antologica per i miei 40 anni di pittura al Museo di Fiesole, la mostra per i 150 anni dell’Unità d’Italia, il viaggio in Cina dove iniziai la mia collaborazione con la Sichuan University, arrivò il gallerista per una rassegna in Sardegna, in un luogo meraviglioso dove aveva invitato anche me, siccome non avevo più quasi niente, mi prese una piccola tavola che avevo in casa dove c’era una Natività e tra gli astanti figuravano anche i ritratti di mia moglie e mio figlio (tanto non gli riuscirà a venderlo, pensavo) e invece, se ne andò anche quello…

Sergio Nardoni, "Natività", olio su tavola
Sergio Nardoni, “Natività”, olio su tavola

Le tue prossime mostre, i tuoi prossimi impegni artistici… la tua prossima opera. Cosa ti aspetta in quest’anno appena iniziato?

Sto preparando una mostra per il prossimo aprile, anche se chiamarla mostra non so quanto sia appropriato, perché si tratta in realtà di uno Speciale Televisivo a me dedicato, dove un critico d’Arte, Giovanni Faccenda, dopo un’intervista in diretta commenta e presenta 25 miei quadri che, ovviamente vengono proposti in vendita ai telespettatori. Il mio gallerista infatti, Orler di Venezia, oltre a gestire diverse gallerie tradizionali, ha come principale mezzo di diffusione una televisione che trasmette tutti i giorni 24 ore su 24 e le sue trasmissioni sono molto seguite. Al centro di quella che io continuo a chiamare mostra, anche se la durata dell’esposizione dura soltanto tre o quattro ore, compensate però dal numero alto di visitatori, una media di 5.000 per ogni trasmissione, ci sarà l’opera alla quale sto lavorando proprio ora, una struttura solida geometrica dipinta, che ho già sperimentato e di cui ti ho già parlato in domande precedenti della tua intervista. Si tratta di una piramide pentagonale sulle cui facce triangolari racconto le età dell’uomo, ma si potrebbe dire anche della donna, perché più della metà dei personaggi che compaiono nell’opera, sono femminili.

Cosa mi aspetta in quest’anno? Tanti quadri da dipingere, ma soprattutto uno un po’ differente da tutti gli altri, per dimensione e per soggetto. E’ una grande composizione di soggetto sacro, che andrà sulla volta di una chiesa, non un affresco perché la chiesa è a pochi metri dalla riva del mare a Santa Maria di Castellabate (SA) e l’umidità presente potrebbe danneggiarlo, ma un olio su tela incollata sulla volta stessa, alla maniera degli antichi “teleri” veneziani, molto più resistente all’umidità.

E, infine, la domanda forse più difficile visto tanto Amore per questo tuo importantissimo impegno artistico che, nel 2012, ti ha permesso di essere insignito dell’Onorificenza di “Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana” e, nel 2015, di essere eletto dal Collegio dei Professori delle Arti del Disegno e proclamato dal Consiglio di Presidenza Accademico d’Onore della più antica Accademia del mondo, l’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze: cos’è per te l’Arte?

Sì, sono stato onorato da questi due riconoscimenti, diventare Accademico, a dire il vero, l’ho sempre desiderato, ma Ufficiale della Repubblica mi sembra perfino un po’ troppo, io ho solo dipinto dei quadri… Ma per rispondere alla domanda che tu definisci, a ragione, “più difficile” chiedo l’aiuto di un grande spirito che l’umanità ci ha regalato in questi ultimi centocinquanta anni, e che con i suoi racconti ha fatto capire, come pochi altri, il vero senso dell’arte. Si tratta del grande Leone Tolstoj, il patriarca della letteratura russa, che racconta di quando, su di una terrazza assolata sul Mar Nero, nei primi anni del Novecento, insieme a due altri grandi personaggi discuteva animatamente su che cosa fosse l’Arte. Erano Massimo Gorkij, cantore dell’ormai imminente rivoluzione d’ottobre e Anton Cechov, poetico autore del “Giardino dei ciliegi”.

La vera Arte, affermava con vigore il grande Tolstoj, è l’uomo che ascende verso Dio. No, no, rispondeva il futuro rivoluzionario Gorkij , l’Arte è Dio che scende nell’uomo.

Nel frattempo Cechov, apparentemente distratto dalla profonda ed elevata discussione, si divertiva a lanciare il suo cappello qua e la per la terrazza. “Anton”, gridò irritato Tolstoj, “invece che giocherellare con il cappello, raccontaci che cos’è l’Arte per te! L’Arte per me, rispose Cechov, è catturare quel raggio di sole con il mio cappello …”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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