Un nuovo incontro della rubrica online “Piazza Navona” con gli Autori e i libri vincitori del Premio Letterario Nazionale “EquiLibri” 2018. Oggi incontriamo Alessandra Cotoloni, l’Autrice di “Il Diario di Pietra” (Edizioni Il Papavero).
La trama
NOF4. Nannetti Oreste Fernando. Nato a Roma nel 1927 a soli dieci anni viene inserito, per volere della madre, in una struttura psichiatrica perché affetto da spondilite (una forma artritica grave che provoca forti dolori alla colonna vertebrale e agli arti) che gli causa urla lancinanti. Anni dopo viene accusato di oltraggio a pubblico ufficiale per aver colpito un poliziotto. Viene prosciolto ma nuovamente internato nel manicomio romano di Santa Maria della Pietà. È il 1958 quando Fernando Nannetti entra nel manicomio criminale di Volterra per poi morire, nel 1994, nell’Istituto Bianchi appartenente alla stessa struttura.
In tutto questo tempo il nostro protagonista vede e ascolta cose assurde commesse da quelle persone che, proprio per la posizione che occupano, sono ritenute “normali ed equilibrate”. La sola via d’uscita per resistere a tutto questo per Ferdinando è crearsi una realtà alternativa anche per evitare le continue minacce, le percosse e l’elettroshock. Ed è così che entra nel suo mutismo, che diventa Oreste, che trasforma i suoi dolori fortissimi alla schiena in messaggi in codice provenienti dall’universo esclusivamente per lui, che inizia a scrivere, a incidere e a disegnare la sua vita e i suoi fantastici incontri sui 180 metri lineari del muro del Padiglione Ferri servendosi dell’ardiglione della fibbia del gilet trasformata nella sua fedele penna.
Sul libro
Alessandra Cotoloni, architetto senese, nel marzo 2018 pubblica per le Edizioni Il Papavero il suo ultimo libro dal titolo Il Diario di Pietra. N.O.F.4 I fantasmi sono Fulmidabbili dopo la sua seconda apparizione prende sembianze umane impreziosito dalla prefazione del Professor Alessandro Meluzzi e selezionato tra i libri del Premio Strega 2019. Come è riportato all’interno del volume si tratta di una storia liberamente ispirata alla storia di Fernando Nannetti. Ma l’opera di Alessandra Cotoloni è molto di più. Infatti, l’Autrice attraverso la vita, gli incontri, gli scontri, le sfortune, le disavventure e i traumi del romano Nannetti racconta con precisione, attenzione e profondo rispetto una delle pagine più oscure e controverse della Storia del nostro Paese: ovvero l’uso e l’abuso dei manicomi che, con la legge Basaglia del 1978, sono stati definitivamente chiusi.
L’Autrice, così, dopo aver studiato e approfondito a dovere tale argomento lo ha trattato e affrontato rivolgendogli uno sguardo severo eppure dolce senza mai mettere in primo piano le proprie personali idee. Il protagonista indiscusso è il geniale Fernando Nannetti la cui unica colpa è stata quella di essere affetto da spondilite e tacciato per folle per tutte le sofferenze e le grida di dolore che tale malattia gli causava. Scriveva Alda Merini: Chi è prigioniero diventa potenzialmente libero.
Questo è esattamente ciò che è accaduto al Nannetti il quale per sentirsi libero in quella orrenda prigione della mente inizia a fantasticare e ad inventare. Unico testimone di tutto il suo scrivere è stato un inserviente che ha condiviso con il resto del mondo tale dono prezioso. E non è affatto un caso che il nostro protagonista sia anche considerato uno tra i massimi esponenti dell’art brut, ovvero dell’“arte grezza” o “arte spontanea” che il pittore francese Jean Dubuffet ha pensato nel 1945.
Ad ogni modo si deve ad Alessandra Cotoloni il merito di aver creato un’opera e un racconto che rispolverano e riportano alla luce un periodo della nostra Storia davvero oscuro per non dire vergognoso. E ancor di più le si deve il merito di aver (ri)portato alla memoria la storia di un uomo e di un personaggio come Fernando Nannetti che del suo dolore – fisico e interiore – ha fatto la sua forza e ha tratto il suo coraggio più grande. Di vivere. Di non arrendersi.
Ero matta in mezzo ai matti. I matti erano matti nel profondo, alcuni molto intelligenti. Sono nate lì le mie più belle amicizie. I matti son simpatici, non così i dementi, che sono tutti fuori, nel mondo. I dementi li ho incontrati dopo, quando sono uscita.
(Alda Merini)
Il Diario di Pietra edito da Edizioni Il Papavero ha partecipato alla prima edizione del Premio Letterario Nazionale “EquiLibri” nella Sezione “Romanzo” classificandosi al primo posto con la seguente motivazione:
L’Autrice dimostra di possedere una spiccata capacità e una sensibilità non comuni nel trattare un tema difficile come quello della follia. Così, attraverso il suo racconto, la sua scrittura e il suo stile pulito e attento crea un romanzo coinvolgente che va a riempire uno spazio lasciato vuoto dalle poche notizie che si hanno (ri)portando alla luce la storia di una vita passata in manicomio e le ombre – nonché i lati oscuri – dell’uso e dell’abuso dell’istituzione psichiatrica.
Incontro con l’Autrice
Come è nata l’idea di realizzare Il Diario di Pietra?
L’idea è nata per caso. Mia figlia appassionata di fotografia era stata con dei suoi amici a visitare l’ex manicomio di Volterra per fare delle foto. La sera quando è tornata, mi ha mostrato le foto fatte e tra queste c’erano alcune che mostravano questo muro con dei particolari segni che, a prima vista parevano geroglifici. Lei mi ha detto che le aveva tracciate un signore che era sempre stato in manicomio, ma non sapeva altro. Così, incuriosite, ci siamo messe a cercare informazioni su internet ed abbiamo scoperto la storia di Fernando Nannetti in arte NOF4.
Come è riuscita a documentarsi e a ricreare quelle tristi e claustrofobiche atmosfere?
Innanzitutto, nonostante anche a Siena, avessimo una storia passata manicomiale con il San Niccolò, mi sono documentata leggendo libri proprio sul sistema manicomiale e non solo. Ho cominciato anche ad ascoltare le tantissime interviste fatte ad ex degenti di manicomi e più ascoltavo le loro storie e più mi accorgevo che esistevano grosse similitudini, nei loro soggiorni presso questi istituti. Tutte storie molto tristi e spesso terribili.
Poi ho cominciato proprio a leggere le poche cose che avevano scritto su Nannetti e soprattutto ho avuto a fortuna di parlare con Andrea Trafeli che è il figlio di Aldo, ossia dell’infermiere che negli anni ‘70 si accorse per primo della realizzazione del murale da parte di Fernando.
Andrea è il presidente di un’associazione importante, che si chiama Inclusione, Graffio e Parola, volta appunto alla tutela di questo muro che NOF4 ha graffiato con l’ardiglione per 180 ml e alto 2 ml, sull’intonaco esterno del Padiglione Ferri in cui era rinchiuso. Grazie a lui e all’associazione ho avuto le informazioni , seppur minime, perché chiaramente nessuno si interessava in quegli anni ad un malato mentale, ma necessarie per entrare un po’ nella mente di questa persona.
Poi mi sono recata più volte sul posto e sono come stata ad ascoltare. È stato utile perché era quello che desideravo: cercare di entrare dentro quelle anime, percepire la loro sofferenza. Soprattutto, dato che Fernando era stato abbandonato in manicomio dall’età di sette anni, ho cercato di provare ciò che può significare essere abbandonato da un genitore, non ricevere più delle carezze o dei baci, l’amore insomma, di una famiglia e soprattutto di una madre. Ecco sono partita da qui: dalle sensazioni che può aver provato un Fernando Nannetti bambino.
Con questo libro ha vinto il primo premio nella sezione “Romanzo” al Premio Letterario Nazionale “EquiLibri”: cosa ha significato per lei questo riconoscimento?
Un riconoscimento davvero importante!
Un libro per chi scrive, lo ripeto sempre, è un po’ come un figlio, ne vai orgoglioso, sai quale sia la fatica stessa che hai provato nello scrivere, le energie impiegate, i timori nel trattare certi argomenti e al tempo stesso il desiderio di comunicare agli altri anche le tue stesse percezioni su certe situazioni. Questi riconoscimenti sono dunque un po’ come un ripagarti dell’impegno che sai di aver messo in quei mesi di lavoro ed è gratificante comprendere che emozioni, sensazioni, pensieri siano arrivati agli altri, che in qualche modo, abbiano scosso l’altrui pensiero. Lo ritengo, questo uno scopo importante della scrittura: “spettinare” gli animi delle persone.
Oggi viviamo in un mondo in cui tutto corre ad una velocità eccessiva, che non lascia il tempo neanche per riflettere o addirittura emozionarsi e quando invece ti accorgi che le tue parole hanno fatto breccia nel cuore delle persone, portandole a riflettere su certe situazioni e ad argomentare le proprie visioni o idee, questo significa, a mio avviso, che sei riuscito a fare un buon lavoro, perché hai indotto gli altri a soffermarsi su alcuni pensieri. Scambiarsi poi le idee, far circolare i rispettivi punti di vista altro non serve che ad arricchirci reciprocamente. Credo che questo sia uno degli obiettivi fondamentali, del resto, della cultura.
Il Diario di Pietra racchiude in sé un messaggio, un racconto di vita, una parte triste della nostra Storia. Quanto ancora spaventa questa “follia” che non esiste ma che è solo traduzione in essere della propria anima?
Credo che oggi spaventi molto la diversità. I fatti che viviamo giornalmente ce lo dimostrano. Ci sono vari aspetti qui che dobbiamo mettere in rilievo. Innanzitutto, come dico spesso, a prescindere dalla storia che chiaramente non è allegra né comica, a mio avviso trasmette tuttavia un messaggio molto positivo che è quello di vivere cercando di essere se stessi. La nostra società, in linea generale al contrario tende ad uniformarci, impone un certo modo di vita, persino di pensieri e quando tu ti discosti da quelli sei già tacciato di “diverso” e quindi relegato in un angolo. La diversità, e qui mi riferisco anche alla capacità di molte persone di essere creativi, non sempre viene accettata.
Il rischio che si corre di essere “messi da parte” fa paura alla persona stessa che vorrebbe infrangere certi schemi, per timore dell’”esclusione” che da questo deriva. Fernando nella sua follia, che io chiamo “sana”, ci insegna il concetto della libertà. Essere liberi significa dare modo alla propria anima di trovare e percorrere la propria strada, purché questo non danneggi altre persone, esattamente come ha fatto Nannetti. Pertanto, se alla fine una persona che vive rinchiusa in un ambiente che non è certo l’habitat naturale per un essere vivente, è riuscita, in qualche modo a trovare la propria essenza e a ritagliare un proprio modo per essere libero, lontano da pregiudizi, da schemi, da pensieri imposti, forse possiamo riuscirci anche noi. Forse basta avere il coraggio di vivere, senza mascherarci sempre dietro mille impedimenti che spesso ci costruiamo noi stessi, per crearci degli alibi, dei pretesti per non prendere in mano la nostra vita ed esporci al mondo.
A volte ciò che frena ad essere se stessi è solo la paura. In molti casi sono le nostre “convinzioni” stereotipate e sclerotizzate ad essere proprio quei quei limiti che crediamo invalicabili.
Oggi è nella rosa dei candidati al Premio Strega: un traguardo importantissimo per ogni Scrittore. Quali sono le sue aspettative e i suoi pensieri al riguardo?
Essere selezionata al Premio Strega è stata un’esperienza straordinaria, sia per me che per la mia casa editrice Il Papavero. A tal riguardo ringrazio tantissimo la mia editrice Donatella de Bartolomeis, che ha creduto in me sin dall’inizio, sin da quando ho cominciato a scrivere questo libro, lei mi ha dato piena fiducia e questo non posso dimenticarlo. Ringrazio inoltre il dott. Piero Mastroberardino che quando ha letto IL DIARIO DI PIETRA, ha ritenuto il libro valido per poterlo presentare al Premio Strega.
Certi risultati sono l’espressione della sinergia che si crea fra più persone. Per questo per me è stato un momento importante perché avvalora la mia teoria secondo la quale da soli non andiamo molto lontano, abbiamo sempre bisogno del prossimo e più il nostro lavoro lo realizziamo con passione, sentendolo vibrare dentro di noi, più gli altri percepiscono questa cosa e uniscono le loro energie alle nostre.
Non c’è Scrittore che non sia Lettore… che Lettrice è? Quali Autori hanno segnato la sua formazione non solo di Lettrice ma anche di Scrittrice?
Esatto! Penso che gli scrittori in primis debbano essere degli ottimi lettori. Io ho letto sin da bambina e non ho mai smesso. Le mie letture poi si sono affinate nel corso degli anni e soprattutto da quando scrivo mi interessa e mi incuriosisce molto leggere sia autori contemporanei che autori classici. Penso che la formazione culturale passi da entrambe queste cose. Così ci sono momenti in cui mi dedico ai classici (Dostoevskij, Ionesco, Salinger, Schnitzler, Cassola, Roth, Svevo…) e momenti in cui amo i contemporanei (Amos Oz, David Grossman, Paolo Cognetti, Margareth Mazzantini, Erri de Luca…), non solo quindi, letteratura italiana, ma anche straniera proprio per cogliere diversità di pensiero o espressioni.
Di sicuro un’autrice che è stata determinante per me nell’età giovanile è Oriana Fallaci, la sua grinta e il suo modo di esprimersi e di toccare sempre argomenti affatto facili, mi ha segnata profondamente anche dal punto di vista del pensiero e della riflessione.
Quali sono i suoi prossimi impegni letterari ed editoriali?
Sono nella fase di raccolta materiale e documenti relativamente a due progetti che sto seguendo, non facili, per cui occorrerà diverso tempo per poterli realizzare, sono entrambi impegnativi, ma stimolanti per me, e questo è essenziale.
Forse la domanda più difficile per chi vive di parole fermate su carta: cos’è per lei scrivere?
O forse la risposta più semplice per me: scrivere è il mio ossigeno, è l’espressione di ciò che sono e sento.
Qui di seguito il video della Cerimonia di Premiazione del Premio Letterario Nazionale “EquiLibri” tenutasi lo scorso 26 gennaio nel Salone d’Onore di Palazzo di Città di Cava de’ Tirreni (Riprese e montaggio di Alberto Accarino e Massimo Pinto).