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“Van Gogh”, a Palazzo Bonaparte la mostra evento dedicata al pittore olandese

La Rubrica online “Piazza Navona” è felice di presentarvi un appuntamento con l’Arte assolutamente da non perdere: la mostra “Van Gogh” a Palazzo Bonaparte che vi aspetta numerosi fino al 23 marzo 2023. Lasciatevi rapire da tanta Bellezza!

Vincent van Gogh,
“Autoritratto”. Parigi, aprile – giugno 1887 Olio su cartone, cm 32,8×24 © Kröller-Müller Museum, Otterlo, The
Netherlands

Alla vigilia dei 170 anni dalla sua nascita, dall’8 ottobre 2022 Palazzo Bonaparte ospita la grande e più attesa mostra dell’anno dedicata al genio di Van Gogh. Attraverso le sue opere più celebri – tra le quali il suo famosissimo Autoritratto (1887) – sarà raccontata la storia dell’artista più conosciuto al mondo.

Nato in Olanda il 30 marzo 1853, Vincent van Gogh fu un artista dalla sensibilità estrema e dalla vita tormentata. Celeberrimi sono i suoi attacchi di follia, i lunghi ricoveri nell’ospedale psichiatrico di Saint Paul in Provenza, l’episodio dell’orecchio mozzato, così come l’epilogo della sua vita, che termina il 29 luglio 1890, a soli trentasette anni, con un suicidio: un colpo di pistola al petto nei campi di Auvers. Nonostante una vita impregnata di tragedia, Van Gogh dipinge una serie sconvolgente di Capolavori, accompagnandoli da scritti sublimi (le famose “Lettere” al fratello Theo van Gogh), inventando uno stile unico che lo ha reso il pittore più celebre della storia dell’arte.

Vincent Van Gogh, “Pini al tramonto”. Saint–Rémy, dicembre 1889 – Olio su tela, 93,5×74,2 cm
© Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherlands

La mostra di Roma, attraverso ben 50 opere provenienti dal prestigioso Museo Kröller-Müller di Otterlo – che custodisce uno dei più grandi patrimoni delle opere di Van Gogh – e tante testimonianze biografiche, ne ricostruisce la vicenda umana e artistica, per celebrarne la grandezza universale. Un percorso espositivo dal filo conduttore cronologico e che fa riferimento ai periodi e ai luoghi dove il pittore visse: da quello olandese, al soggiorno parigino, a quello ad Arles, fino a St. Remy e Auvers-SurOise, dove mise fine alla sua tormentata vita.

Dall’appassionato rapporto con gli scuri paesaggi della giovinezza allo studio sacrale del lavoro della terra scaturiscono figure che agiscono in una severa quotidianità come il seminatore, i raccoglitori di patate, i tessitori, i boscaioli, le donne intente a mansioni domestiche o affaticate a trasportare sacchi di carbone o a scavare il terreno; atteggiamenti di goffa dolcezza, espressività dei volti, la fatica intesa come ineluttabile destino. Tutte queste sono espressione della grandezza e dell’intenso rapporto con la verità del mondo di Van Gogh.

Vincent Van Gogh, “Il seminatore”.
Arles, 17 – 28 giugno 1888 ca – Olio su tela, 64,2×80,3 cm © Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherlands

Particolare enfasi è data al periodo del soggiorno parigino in cui Van Gogh si dedica a un’accurata ricerca del colore sulla scia impressionista e a una nuova libertà nella scelta dei soggetti, con la conquista di un linguaggio più immediato e cromaticamente vibrante. Si rafforza anche il suo interesse per la fisionomia umana, determinante anche nella realizzazione di una numerosa serie di autoritratti, volontà di lasciare una traccia di sé e la convinzione di aver acquisito nell’esperienza tecnica una fecondità ben maggiore rispetto al passato. È di questo periodo l’Autoritratto a fondo azzurro con tocchi verdi del 1887, presente in mostra, dove l’immagine dell’artista si staglia di tre quarti, lo sguardo penetrante rivolto allo spettatore mostra un’insolita fierezza, non sempre evidente nelle complesse corde dell’arte di Van Gogh. I rapidi colpi di pennello, i tratti di colore steso l’uno accanto all’altro danno notizia della capacità di penetrare attraverso l’immagine un’idea di sé tumultuosa, di una sgomentante complessità.

Vincent van Gogh, “Contadina che raccoglie il frumento”. Nuenen, luglio – agosto 1885. Gessetto nero, gouache grigia, acquerello opaco bianco e tracce di latte fissativo su carta velina,
52,2×43,2 cm © Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherlands

L’immersione nella luce e nel calore del sud, a partire dal 1887, genera aperture ancora maggiori verso eccessi cromatici e il cromatismo e la forza del tratto si riflettono nella resa della natura. Ecco quindi che torna l’immagine de Il Seminatore realizzato ad Arles nel giugno 1888, con la quale Van Gogh avverte che si può giungere a una tale sfera espressiva solo attraverso un uso metafisico del colore. E così Il giardino dell’ospedale a Saint-Rémy (1889) assume l’aspetto di un intricato tumulto, mentre lo scoscendimento di un Burrone (1889) sembra inghiottire ogni speranza e la rappresentazione di un Vecchio disperato (1890) diviene immagine di una disperazione fatale.

La Mostra

Prima sezione – Helene Kröller-Mülle

Helene Kröller-Müller affida all’arte il compito di traghettare la società verso il futuro, espandendo il mondo delle opere oltre il concetto del bello. Se l’arte ha il compito di condurci verso il domani, l’artista diventa il mediatore fra i due mondi, dando voce a sentimenti non ancora registrati e offrendo al mondo la sua visione del futuro attraverso l’esperienza estetica. Van Gogh, più di ogni altro, riesce a portare Helene oltre la sicurezza del presente, l’epica racchiusa nell’umanità sofferente che ritrae, valica i confini del tempo.

Vincent Van Gogh, “Tronchi d’albero nell’erba”.
Saint–Rémy, tardo aprile 1890 – Olio su tela, 72,5×91,5 cm© Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherlands

Il realismo disperato che emerge dalle tele dell’artista conforta Helene, che riconosce nel pittore olandese lo stesso tormento che la pervade, ma quel tormento Vincent non lo nasconde anzi, lo accentua, lo esaspera, espone la sua sofferenza. Helene comprende il senso di modernità rivoluzionario nella violenta trascrizione della realtà contenuta nelle opere di Vincent. La ricerca di assoluto di Van Gogh la disorienta e affascina, percepisce nei dipinti la stessa inquietudine che sente nella sua anima, che trova consolazione e pace grazie al valore terapeutico della pittura, la porta verso un universo altro. Helene desidera ardentemente appagare l’intima e profonda esigenza di lasciare un segno del proprio passaggio sulla terra e comprende il valore del contributo che può dare, favorendo il cambiamento attraverso la creazione di una grande collezione di opere d’arte moderna. È il 1908 quando acquista il primo dipinto di Van Gogh, poi altri tre nei mesi seguenti e poi altri e altri ancora fino a costituire la collezione di opere del pittore olandese più importante al mondo, seconda solo al Van Gogh Museum di Amsterdam.

Vincent Van Gogh, “Donne nella neve che trasportano sacchi di carbone”. L’Aia, novembre 1882 – Carboncino, acquarello opaco e inchiostro su carta velina, 32,1×50,1 cm
© Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherlands

Seconda sezione – Il periodo olandese

L’attività artistica di Van Gogh si svolge nel breve scorrere di anni dal 1881 al 1890. Dominata inizialmente da un disegno animato da tratti di colore, presto si arricchisce nell’uso dell’olio adoperato in toni scuri capaci di creare un clima sorprendentemente ricco al di là di ogni significato letterale. Un realismo spiritualizzato. Dominante è l’amore per la terra e per l’attività di esseri umani impegnati in un duro lavoro sempre illuminato da un atteggiamento spirituale e da una religiosità, che rende sacra l’umiltà di una fatica quotidiana. Vincent guarda con interesse le opere dei barbisonniers francesi, in particolare si ispira a Jean François Millet e a Charles François Dubigny. Ciò che stupisce e conquista è il realismo non privo di crudezza, illuminato dall’amore per i poveri protagonisti di un mondo: contadini, tessitori, boscaioli, donne impiegate faticosamente nel lavoro dei campi e in attività domestiche. Si respira un clima intatto, non corroso da alcun tipo di evoluzione sociale o mondana, legato a un senso del dovere che ha la forza di rendere la fatica epica, nobile, necessaria. Van Gogh si sente parte di un mondo che vive in capanne di terra, che prega devotamente con la consapevolezza di vivere la totalità di un’esperienza sempre degna di essere vissuta. Lo seguiamo spostarsi da Etten, a L’Aia, al Drenthe, a Nuenen sempre alla ricerca di testimonianze vive di un mondo che ha per lui un valore assoluto incarnato nelle sue figure.

Vincent van Gogh, “Vecchio disperato (Alle porte dell’eternità)”.
Saint–Rémy, maggio 1890. Olio su tela, 81,8×65,5 cm © Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherlands

Terza sezione – Parigi

Alla fine di febbraio 1886 Van Gogh decide di trasferirsi a Parigi avvertendo la necessità di confrontarsi con un mondo di cui gli giungono, seppur indirettamente, significative notizie. Si trova di fronte all’ottava ed ultima mostra impressionista dominata dalle giovani figure di Seurat, Signac e Gauguin. Penetra intensamente nel nuovo dibattito che vede l’esperienza impressionista mutarsi in un linguaggio dai presupposti scientifici, basato sull’accostamento dei colori puri e su un disegno sintetico. Un nuovo modo di intendere la natura denota un’adesione a un linguaggio impressionista e liberamente neo-impressionista, la tavolozza accoglie la luminosità del colore. Conquistato, il pittore individua una moltitudine di possibilità espressive, dato rilevabile anche nelle belle nature morte dominate da ricchi accostamenti cromatici, specie se l’artista dipinge fiori che dispiegano un raro sfarzo. Nel breve soggiorno parigino, Vincent assorbe il clima artistico vitale della città, si lega ad artisti come Émile Bernard, Toulouse-Lautrec e Loius Anquetin. Definisce sé stesso e i gli amici come gli artisti del Petit Boulevard, mentre riserva ai grandi protagonisti dell’Impressionismo come Monet, Degas, Renoir, Sisley e Pissarro l’appellativo di artisti del Grand Boulevard. Conosce Gauguin appena tornato dalla Martinica, che per lui incarna un’ideale immagine di vagabondo, di viaggiatore intorno al mondo, alieno da ogni precisa destinazione.

Vincent Van Gogh, “Natura morta con un piatto di cipolle”. Arles, inizio gennaio 1889. Olio su tela, 49,5×64,4 cm © Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherlands

Quarta sezione – Arles (febbraio 1888 – maggio 1889)

In una lettera del 18 agosto 1888 scrive al fratello Theo: “Quanto ho appreso a Parigi svanisce, e io sto tornando alle idee che mi erano venute in campagna, prima di conoscere gli Impressionisti. […] Infatti, invece di cercare di riprodurre fedelmente ciò che ho davanti agli occhi, mi servo del colore in maniera più arbitraria, per esprimermi con maggiore forza”. I colori, nella luce accecante del sud, assumono un’altra dimensione. La lezione di Parigi non è più determinante. Vincent riprende a sognare sinfonie di colori associabili a toni musicali. Ogni spazialità disegnata è eliminata, le forme si collocano in un morbido assemblarsi e fluire senza rigore, con grande dolcezza. Lo spazio è creato dal colore. Si avverte il senso di una nuova libertà. Fin dall’arrivo il pittore sfrutta le suggestioni di quella terra, cerca di rinnovarsi e riversare nei suoi dipinti un clima vitale di giovinezza. Paragona il suo soggiorno in Provenza a quello di Delacroix in nord Africa, anch’egli all’inseguimento della luce e del colore. Ricorda come Monet e Signac abbiano visitato le regioni del Mediterraneo e Cézanne abbia stabilito la sua residenza definitiva ad Aix-en-Provence.

Vincent Van Gogh, “L’amante (ritratto del sottotenente Milliet)”. Arles, settembre – inizio ottobre 1888. Olio su tela, 60,3×49,5 cm
© Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherlands

La geografia delle associazioni si estende fino al Giappone, luogo immerso nell’età dell’oro e dell’innocenza. Descrivendo la campagna vuole esprimere sensazioni allegre, gioiose. Viva è la speranza di realizzare dipinti sempre luminosi. Van Gogh discende nell’abisso ma è capace di risalire in modo subitaneo e veemente. Lo studio del colore è sempre associato a una sua interiorizzazione, a una trasformazione del dato tecnico in altri significati. Ciò allontana il pittore sempre più dall’Impressionismo, legato al prevalere dell’esperienza ottica, mentre permane la passione per Delacroix, Millet e Corot. Attraverso il colore amplifica i significati della realtà, anche nella rappresentazione della figura umana.

Quinta sezione – Saint-Rémy-de-Provence e Auvers-sur-Oise (maggio 1889 – luglio 1890)

A Saint-Rémy l’artista vuole ritornare a un uso del colore più semplice, paragona l’astenersi dal bere alla rinuncia alla generosità cromatica, mirando ad una maggiore lucidità. La sua fiducia nel potere terapeutico dei colori moderati si dimostra ingiustificata. Il suo primo attacco di follia nel manicomio di Saint-Paul-de-Mausole lo colpisce a metà di luglio, mentre dipinge nei campi in una giornata di vento. Dopo il primo mese nel quale non gli è concesso di uscire dai confini dell’ospedale, finalmente si avventura oltre le mura, torna nei campi. Nei giorni sereni, quando le tempeste della mente si placano, è persino perfettamente in grado di formulare un’autoanalisi.

Vincent Van Gogh, “I mangiatori di patate
Nuenen”, aprile 1885 – Litografia su carta velina, 28,4×34,1 cm © Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherlands

È circondato dalle sue opere, eseguite proprio prima degli attacchi o durante il periodo in cui si ristabilisce. Crede che questi lavori riflettano gli alti e bassi del suo stato e soprattutto che possano essere proprio le sue creazioni artistiche a scatenare la follia. Si chiede se il mutamento del suo linguaggio sia in qualche modo legato all’instabilità delle sue condizioni mentali. Le insidie che precedono la caduta si ritrovano in una natura incapace ormai di concedere dolcezza. Lavorare dal vero non è il suo unico impegno. Dal 23 ottobre 1889, quando riceve dal fratello una nuova serie di riproduzioni da Millet, affianca alla pittura en plein air l’esercizio di copia da lui ritenuto fondamentale come esperienza artistica oltre che attività piacevole e consolatoria. Negli ultimi tre mesi trascorsi a Auvers-sur-Oise si dedica a un gran numero di opere: ritrae persone vicine ma anche modelli occasionali, dipinge paesaggi e nature morte. Quanto al ritratto, afferma di volerlo esplorare in chiave moderna.

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