La Rubrica online “Piazza Navona” vi presenta In Fabula, il nuovo album di Oscar Del Barba Ox Trio per l’etichetta nusica.org: una raffinata ricerca del ritmo tra modern jazz e musica contemporanea. E non perdete l’Incontro d’Arte con Oscar Del Barba!
Lo scorso 18 ottobre per l’etichetta musicale nusica.org è uscito In fabula, il nuovo lavoro di Oscar Del Barba Ox Trio formato da Oscar Del Barba, Giacomo Papetti e Andrea Ruggeri. Attraverso un raffinato lavoro di ricerca e sperimentazione, il gruppo raggiunge il perfetto equilibrio tra ritmo e armonia spaziando dal modern jazz alla musica contemporanea e afroamericana. Tanti stili e linguaggi musicali diversi ma uniti dallo stesso intento, quello di creare un dialogo con il pubblico che, attraverso le dieci tracce che formano l’album, riempie uno spazio etero e magico. Non è un caso che questo ultimo progetto musicale abbia per titolo In Fabula. Qui, infatti, le meravigliose favole di Esopo divengono protagoniste con richiami precisi e puntuali. Pensiamo solo ai titoli dei brani musicali: Il cane e il campanello; Il cavallo e l’asino; Il lupo e l’agnello; Il topo di campagna e il topo di città; L’aquila e lo scarafaggio; La cicala e la formica; La rana e lo scorpione; La volpe e il caprone; La volpe e l’uva; La volpe e la pantera; Il pipistrello e le donnole. In tal modo Oscar Del Barba Ox Trio realizzano un album da ascoltare e da intendere come un articolato racconto contemporaneo, un’opera unita e unica che sfiora l’eternità della favola e del suo senso più profondo servendosi di un ritmo e di un’armonia senza eguali.
Incontro con Oscar Del Barba
Come è avvenuto il primo incontro con Giacomo Papetti e Andrea Ruggeri?
Il nostro incontro musicale è stato il frutto di una serie di circostanze che ci hanno portato a lavorare con la musica. Inizialmente, eravamo tre musicisti che avevano lavorato in contesti diversi, ma ci siamo subito trovati a condividere un desiderio di andare oltre le convenzioni. Da quel primo incontro, abbiamo cominciato a suonare insieme e a scoprire quanto fosse potente l’energia che nasceva dall’incontro delle nostre esperienze musicali. Da lì, il nostro progetto è cresciuto e si è evoluto in qualcosa di più grande di quanto avessimo immaginato
Come nasce il gruppo Oscar Del Barba OX Trio?
Molti anni fa, a seguito di una fase di crisi creativa in cui mi accorsi che tutto ciò che scrivevo o suonavo mi appariva come già sentito, ebbi l’intuizione di superare tale impasse unendo le diverse esperienze maturate, sia come esecutore che come compositore. In particolare, gli studi sulla composizione contemporanea e sperimentale mi furono di grande aiuto nel definire un linguaggio che incorporasse non solo l’influenza del jazz nelle sue molteplici direzioni, ma anche della musica classica tonale e di certi approcci sperimentali che avevo esplorato attraverso autori come Bartók, Ligeti, Stockhausen e altri. Da questa esigenza di sintesi tra diverse tradizioni musicali nacque il desiderio di unirmi a musicisti che condividevano affinità con tali elementi, non necessariamente in modo identico, ma con la predisposizione a portare il progetto in una direzione che lasciasse ampio spazio alla creatività e alla sperimentazione. Così, quasi per caso e al contemporaneo con una certa volontà, cominciammo a suonare insieme, io, Giacomo e Andrea. Già da subito il suono che emerse fu interessante, lontano da ogni banalità. Da quel momento sono passati circa dieci anni e credo che abbiamo fatto enormi progressi.
Le vostre diverse carriere e influenze come sono riuscite ad armonizzarsi in modo così completo ed equilibrato?
Credo che l’armonia e l’equilibrio che caratterizzano il nostro gruppo derivano prima di tutto dalla volontà di ciascun musicista di mettere la propria esperienza e il proprio talento al servizio della musica, in un’ottica di crescita collettiva. Abbiamo compreso che un progetto ha il potenziale di evolversi non solo in termini musicali, ma anche nella valorizzazione delle qualità artistiche individuali di ogni componente. Questa consapevolezza ci ha permesso di integrare in modo naturale e fluido le nostre diverse esperienze, senza che l’ego personale prevalesse sul bene comune della musica. La capacità di accogliere l’apporto di ciascuno, pur mantenendo la propria identità, ha favorito una sintesi tra stili, sonorità e influenze, creando così un linguaggio musicale condiviso che, pur rimanendo aperto alla sperimentazione, risulta al contemporaneo coeso e organico, in grado di esprimere una visione musicale complessa e contemporanea, capace di coinvolgere ed emozionare.
I brani che compongono In Fabula album richiamano le favole di Esopo. Da dove viene questa idea?
L’ispirazione affonda le radici in un progetto che mi è stato commissionato diversi anni fa, in occasione di un laboratorio estivo organizzato da un’accademia locale per un’orchestra di ragazzi e bambini. Le composizioni richieste dovevano essere semplici e immediate, e per questa ragione decisi di abbinare alla musica una fonte letteraria. La scelta cadde su Esopo, la cui scrittura, caratterizzata dalla semplicità e dall’ironia delle favole, mi sembrò perfetta per il tipo di narrazione che intendevo creare. Le morali talvolta pungenti delle favole mi offrono l’opportunità di scrivere musiche altrettanto varie, ora ironiche, ora grottesche, ora sognanti, utilizzando tecniche compositive politonali, influenze jazz (alcune strutture richiamano veri e propri blues), o accenni al rock. Dopo una riuscita esecuzione da parte dell’orchestra giovanile, queste composizioni sono rimaste in sospeso per qualche anno, fino ad essere riprese e rielaborate per un organico jazz, in particolare per poi essere ripensate per un organico jazz e in particolare per OX Trio.
Da chi e da quali stili, generi musicali è ispirata la musica di Oscar Del Barba OX Trio?
Le influenze che plasmano la musica di OX Trio sono molteplici e di varia provenienza: spaziando dalla musica classica tonale al jazz, con artisti come Ornette Coleman, Thelonious Monk e John Coltrane; dalla musica sperimentale al rock, in particolare al progressive, con il contributo di Frank Zappa, fino ad arrivare alla lezione dei Beatles. Non mancano anche riferimenti alla musica rinascimentale e alla tradizione latino-americana. L’intento è quello di fondere questi diversi universi sonori cercando costantemente un equilibrio, sia su un piano “micro” (nelle esecuzioni dei temi scritti) che “macro” (nella struttura complessiva del brano), affinché il risultato non risulti mai prevedibile o banale. Ad esempio, nel brano “L’aquila e lo scarafaggio” emerge una forte influenza beatlesiana, così come in “Il lupo e l’agnello” si percepisce un richiamo al suono di Frank Zappa, mentre “La cicala e la formica” fa pensare un Ornette Coleman. Nelle improvvisazioni, ma anche nelle sezioni intermedie, ogni strumento gode di una certa libertà, sempre in relazione con gli altri. Questo permette a ciascun musicista di intraprendere sperimentali direzioni, creando livelli e piani sonori con diversi gradi di densità, in cui gli strumenti possono suonare con “interplay”, seguendo un’idea di uno degli esecutori oppure seguire ognuno la propria strada sviluppando elementi diversi a creare diversi piani sonori.
Quale vuole essere il messaggio o il racconto di In Fabula e della vostra musica?
Questa serie di composizioni intende raccontare una storia che non è necessariamente legata al titolo della fiaba di Esopo, ma che lascia ampio spazio all’ascoltatore per creare una propria narrazione. Spesso si tratta di “storie dentro la storia”, come nel caso de “La rana e lo scorpione”, dove l’introduzione del contrabbasso crea una situazione particolare, timbrica, per l’uso del tremolo dell’arco per sfociare nel tema principale, suonato dal pianoforte, dal carattere saltellante e ironico. Poi si cambia nuovamente clima col contrabbasso che esegue un walking bass sul quale il pianoforte improvvisa seguito dalla batteria che ne sottolinea le situazioni, per poi finire con la ripresa del tema e il brano termina poi con un punto esclamativo che richiama la morale della favola di Esopo. Ogni composizione, dunque, si sviluppa attraverso momenti contrastanti, cambi di scena e variazioni di colore sonoro, invitando l’ascoltatore a immaginare una propria storia. La musica lascia spazio a un’esperienza personale e creativa, dove l’ascoltatore è libero di intrecciare la propria visione del racconto, senza vincoli precostituiti. La nostra intenzione è quella di stimolare la fantasia, offrendo diverse interpretazioni, proprio come accade quando si ascolta una favola che, pur avendo una struttura di base, può suscitare in ogni individuo sensazioni e immagini uniche.
Nei vostri precedenti album avete incontrato e dato una nuova veste, se così posso dire, a pezzi d’opera di Verdi e al Bernstein di West Side Story. In che modo è possibile leggere e re-interpretare musiche e compositori del passato dando loro una nuova vita e una nuova contestualizzazione anche musicale?
Sono convinto che qualsiasi musica, anche quella del passato, possa essere rivisitata, estrapolata dal suo contesto originale e riorientata in una nuova direzione. L’inizio di questo processo dipende da diversi fattori, come, ad esempio, se il brano mi ispira, se mi sento riposato o stanco, o anche da fattori più quotidiani come cosa ho mangiato. Non è una banalità: il nostro stato d’animo e fisico può influenzare molto il lavoro creativo. Una volta però che ho compreso la direzione da prendere, il processo diventa più fluido. Nel mio modo di lavorare su queste rielaborazioni, cerco sempre il suono che immagino nella mia mente, e l’organico musicale che ho a disposizione gioca un ruolo fondamentale. A volte inizio in modo molto istintivo, il che mi porta a fare molta ricerca per trovare la giusta strada. In altri casi, parto da un espediente tecnico o da un’idea legata all’aspetto naturale, come ad esempio lo sviluppo di un albero o una metamorfosi, che per me significa cambiare l’aspetto di un elemento musicale in vari modi possibili. In altre occasioni, prendo spunto da generi come il rock, re-interpretando i temi dei pezzi ma mantenendo il materiale tematico riconoscibile, per esempio, cambiando profondamente il ritmo, utilizzando ritmi dispari, creando contrasti forti. In questo modo, anche un brano classico può rinascere con una nuova energia e un’interpretazione contemporanea.
Quanta voglia di sperimentare ha il vostro trio?
La sperimentazione è alla base della nostra idea musicale. Non potremmo farne a meno, anche se questo comporta correre dei rischi. Ma è proprio questa l’essenza del nostro approccio: è un po’ come camminare sul ciglio di una scarpata, in un delicato equilibrio, e anche il rischio di cadere è una possibilità che accettiamo. Il risultato non è mai scontato, e proprio per questo ogni volta è una nuova avventura. Questo modo di procedere ci regala emozioni indescrivibili, perché ci spinge sempre oltre i nostri limiti e ci permette di esplorare territori musicali sconosciuti.
È una domanda ingrata, me ne rendo conto: delle dieci tracce di In Fabula, a quale siete più legati? E perché?
Credo che siamo legati a tutte e a nessuna in particolare. Ogni traccia ha il suo valore, ma ciò che ci lega davvero è il modo in cui le re-interpretano ogni volta che le suoniamo. Non sono fisse, sono vive e in continua evoluzione, e questo ci permette di reinventarle ogni volta, adattandole al momento e all’emozione che vogliamo trasmettere.
Quali sono i vostri prossimi progetti musicali e professionali?
Ora stiamo cercando di goderci In Fabula, ma nel cassetto ci sono già diverse idee in fase di sviluppo. Ad esempio: una serie di pezzi di George Harrison riarrangiati, un progetto su Domenico Modugno e anche un ciclo di brani miei ispirati a una leggenda della zona in cui vivo. Per il momento, vedremo come si evolveranno, ma sicuramente ci saranno nuove direzioni da esplorare.