La Rubrica online “Piazza Navona” oggi vi parla della silloge “Le scarpe del flâneur” di Jonathan Rizzo (Edizioni Ensemble). Quaranta poesie scritte dall’Autore elbano e parigino di nascita che raccontano attraverso uno sguardo – a volte tenero a volte severo e sprezzante – la nostra (e la sua) realtà. E non perdete l'”Incontro con l’Autore”!
La trama
Le scarpe del flâneur di Jonathan Rizzo è una silloge composta da quaranta poesie scritte tra Italia e Francia. Parigi la sua città di adozione. Quaranta componimenti scritti per lo più in italiano ma anche in inglese e francese rispecchiando l’animo girovago e “zingaro” dell’Autore. Versi proiettati e ambientati a Parigi dove l’Autore si muove e si agita alla osservando chi, come lui, vive la città. Attivamente o subendola. Il poeta si muove nel suo ambiente parlando alle persone di cui, da buon flâneur, osserva comportamenti e atteggiamenti. Bambini e adulti si incontrano, giovani e sconosciuti si scambiano sguardi, chi passeggia… chi disegna… chi scatta fotografie. È il cielo di Parigi (ricordate la celebre canzone Sous le ciel de Paris?!) a far da testimone alla vita, al tempo che passa e ai pensieri, ai gesti di questo Autore che sembra voler divincolarsi a forza da ogni momento di – vera o presunta – quiete.
Sul libro
Nel dicembre 2020 lo scrittore elbano e parigino di adozione Jonathan Rizzo pubblica nella Collana di Poesia “Alter Affluenti” della Casa Editrice Ensemble la silloge dal titolo Le scarpe del flâneur.
Già dal titolo si respira l’aria di Parigi portando alla memoria il flâneur della poetica di Charles Baudelaire e di Gustave Flaubert. Con tale termine, infatti, si indica un “perdigiorno” ovvero un uomo che vaga per le vie delle città facendo del suo ozio una vera e propria forma d’arte. L’ozio, l’inoperosità e il dolce far niente divengono, così, strumenti attraverso il quale osservare – anche in chiave assai critica a analitica – la realtà circostante nonché gli atteggiamenti e i comportamenti dei propri simili. La letteratura di fine Ottocento ha dedicato molte pagine a questo “personaggio”: pensiamo, ad esempio, al Frédéric Moreau de L’educazione sentimentale di Gustave Flaubert e nelle poetica del celeberrimo poeta decadente Charles Baudelaire raccolta ne I fiori del male.
Ma Jonathan Rizzo con il suo animo irrequieto, zingaro, vagabondo e desideroso di strappare qualsiasi momento di quiete (seppur apparente) e di caos calmo si spinge oltre. Forse un tantino oltre. La sua poetica ha una base parigina e i suoi versi ci raccontano e mostrano l’osservazione della sua realtà ovvero dal suo punto di vista. Di uomo e di poeta. Con sensibilità e ruvidezza. Con amore a rabbia. Attraverso i suoi quaranta componimenti – alcuni dei quali scritti anche in inglese e in francese – l’Autore si mostra al pubblico pur tenendolo sempre a una certa distanza. Proprio l’esempio di aver scritto delle poesie in lingua inglese e francese senza la traduzione a fronte è un primo sentore di questo distacco dal proprio Lettore dando anche l’idea – magari errata, ci mancherebbe – di porsi su un gradino più alto rispetto ad esso. Ed è una scelta lecita e ponderata, certo, ma il Lettore si sente più libero e a suo agio quando gli si parla “occhi negli occhi” e non sentendosi obbligato a sollevare lo sguardo (o anche abbassare). Questa osservazione viene avvalorata e resa più concreta leggendo la prefazione del filoso Marco Incardona che introduce e impreziosisce il volume quando si legge ad esempio, Quello che il poeta vuole suggerirci, ma forse imporci sarebbe il verbo più corretto, è il fatto che per leggere poesia davvero, bisogna essere capaci di vedere il mondo come lo guarda un poeta o ancora, in conclusione, quando si parla di un messaggio che non tutti potranno raccogliere.
Molto probabilmente, ahimè, la sottoscritta sarà tra questi ultimi ma lo scarto “impertinente” tra Autore e Lettore che sembra venirsi a creare non favorisce il rapporto tra i due pendendo solo da una parte a discapito dell’altra. Un “chi c’è c’è” troppo sparato in pieno volto e, forse, troppo esagerato. Quindi, come scritto nella prefazione, Vadano pure al diavolo coloro che credono che il poeta deve seguire gli strumenti e le forme che consentono di avere un riscontro pubblico. Ergo, deduco, anche la sottoscritta che però, non va a caccia di like o simili ma di una forma e di un sano e scambievole rapporto con l’Autore – chiunque esso sia – e ciò che vuole raccontare attraverso il suo stile e le sue parole.
Ciò non toglie, però, che la poesia di Rizzo pur – a volte – spingendosi oltre (vedi, ad esempio, Pisciando sulla tomba di Henri Matisse) pare più per “colpire” e “stupire” che per “dire” – lascia una traccia di sé. Non si può dire che Jonathan Rizzo non sia stato coerente con se stesso e che non abbia (giustamente!) seguito il proprio istinto e il proprio essere. Ogni Lettore poi riempirà lo spazio che lo riguarda come meglio crede e può. Certamente l’Autore ha raccontato con i suoi occhi e i suoi sensi la realtà circostante (parigina e non solo) con il suo modo di essere “fuori dagli schemi”, tra una sberleffo e una commozione, senza andare a caccia di consensi.
Un poeta. Parigi. La realtà. E qui Jonathan Rizzo con il suo stile fa certamente del suo meglio per raccontare e mostrare una realtà fatta di sentimenti ma anche di consumismo, di mercificazione, di falsi miti, di insicurezze e di esistenze che divengono spettacolo di sé stesse. Ed è tutto vero. Il poeta lo sa. Anche il Lettore. Ma tutto si gioca su una sottile linea di sguardi.
Incontro con l’Autore
Come è avvenuto il suo primo incontro con la Poesia?
Credo a scuola alle elementari. Le mie due maestre Licia ed Antonella, facevo il tempo pieno, ai miei giorni la scuola era rispettata e valorizzata, ci fecero leggere ed amare il dramma umano di Giuseppe Ungaretti ed io me ne innamorai. Da lì è rimasto il seme e sono rimasto un bambino emozionato.
Come è nato il progetto editoriale della silloge Le Scarpe del Flâneur?
Nella tradizione dei grandi autori americani racconto la mia vita cronologicamente perché si svolge attraverso i miei libri. Questo percorso è arrivato alle poesie parigine ed alla fase del Flâneur.
Il termine flâneur deriva dalla poetica di Baudelaire e indica i poeti che si mescolano alla folla osservandone e analizzandone i comportamenti e gli atteggiamenti. Si sente anche lei un flâneur della modernità?
Di questi tempi più che altro sono un fuorilegge con le mie scarpe bucate tra la gente per le strade libero senza paure né proibizioni.
Dallo scorso anno dirige e conduce il programma radiofonico “Al bar della Poesia” sulla web radio “Garage radio”. Radio e Poesia: come si influenzano e comunicano questi due mondi?
Purtroppo la crudeltà di questi giorni ha voluto sottrarre anche questo innocuo passatempo, ma ho accumulato un piccolo bagaglio d’esperienze a riguardo e posso dire di come la radio sia un contenitore magico capace di dare voce ed asilo con innocente leggerezza ed entusiasmo al più disparato lotto di argomenti. Puoi ridendo seriamente passare dall’alta letteratura alla barzelletta da caserma, niente ne viene sminuito, ma anzi esaltato.
Tra i suoi progetti c’è anche “Jhonnysbar (Nuova gestione)” ovvero un incontro tra poesia e musica. Può dirci qualcosa di più in merito?
Personalmente odio e sto combattendo una guerra umana personale con l’accademia ed il salotto poetico letterario autoreferenziale che si nutre di se stesso e non necessità di calore umano tanto si crede perfetto con la sua metrica matematica vuota d’anima. Questo mi porta tra la gente a leggere poesia con musicisti d’accompagnamento per facilitare e superare le sciocche paure che sempre l’accademia ha imposto per scremare l’élite dalla massa, e così nelle piazza, nei bar o in libreria e teatro il fuoco della vita s’incendia tra la gente.
Quale vuole essere il messaggio della sua poesia?
Nessun messaggio specifico o profetico. Sono un uomo che scrive perché non sa fare altro.
Come definirebbe il suo stile poetico e letterario?
Poesia Impressionista. Quadri e ritratti scritti.
Qual è la poesia o il verso che avrebbe voluto scrivere? E perché?
Non saprei, tanti. A dirne uno solo non faccio torto a chi non cito, ma a tutta la bellezza che amo ed ho letto.
Quali sono stati i poeti e i libri che hanno contribuito a formarla come “Autore” e come “Lettore”?
Una miriade come dicevo. Solo classici moderni comunque, non amo i contemporanei. Mi pare non abbiano sentimento. Ne citerò giusto una cinquina anche se il Pantheon ha molte più nuvole, Don Quixote, Cyrano, Campana, Bukowski e Vittore Hugo.
Quali sono i suoi prossimi impegni professionali ed editoriali?
Reading, Reading, Reading. Portare il Flâneur in giro per il mondo.