Letto per voi… “Lamentarsi non serve a niente” di Federico Longo

La Rubrica online “Piazza Navona” ha letto per voi Lamentarsi non serve a niente di Federico Longo (Catartica Edizioni). Il vuoto invade lo spazio e i protagonisti della vicenda la cui unica occupazione è fare senza fare niente. E non perdete l’Incontro con l’Autore!

La trama

Federico Longo, “Lamentarsi non serve a niente” (Catartica Edizioni, 2022)

Lamentarsi non serve a niente. È una constatazione e un dato di fatto da cui parte Federico Longo per la sua omonima opera. Ventinove brevi capitoli-racconti che narrano l’apparente inutilità della vita, soprattutto se si lavora per la Fondazione delle Cose Utili, ovvero quelle cose richiestissime e amatissime, a prescindere, ma inaccessibili. E la vita? Si chiede anche il protagonista di questa storia che a tratti (molti!) ricorda le (dis)avventure del celeberrimo ragionier Ugo Fantozzi. Realtà (finzione?) amara che ci porta a riflettere sul nostro reale stato attuale. Impiegati che si consegnano al lavoro ormai come ostaggi arresi senza condizioni, il tempo che corre e fugge senza aver – spesso – concluso nulla, il profondo vuoto di queste anime perse che, a loro volta, si perdono nei meandri della vita e delle sue cose (in)utili e prendendosela con una mosca che si permette di entrare in una stanza senza nemmeno bussare e chiedere il permesso.

Sul libro

Catartica Edizioni

Catartica Edizioni pubblica, nell’agosto 2022, uno dei suoi libri migliori (senza nulla togliere agli altri, ovviamente): Lamentarsi non serve a niente dello scrittore veneto Federico Longo e inserito nella collana “In Quiete”. Lo ammettiamo sin da subito: il titolo già conquista e pian piano che si scorrono le pagine e i ventinove capitoli che compongo il testo questo primo impatto diventa sempre più convinzione. Federico Longo, forse, ispirandosi alla saga del ragionier Ugo Fantozzi matricola 1001/bis, traduce su carta – attraverso una intelligente e pungente ironia – una critica analisi della nostra società lanciata come fosse una elegante sfilettata. Possiamo dire quasi con assoluta certezza che dire lamentarsi non serve a niente è diventato quasi un mantra per tutti noi. Nonostante tutto, quotidianamente si stringono i denti e si va avanti. In famiglia, a scuola, a lavoro…

Federico Longo, “Lamentarsi non serve a niente” (Catartica Edizioni, 2022)

Federico Longo prende questo mantra e ne fa un godibilissimo romanzo. Sulla vita, sull’esistenza, sull’approccio che si ha verso di esse. Non ne esce un quadro idilliaco, come si usa dire adesso, crudele ma onesto. E assai veritiero, ahinoi. Longo ci porta all’interno della Fondazione delle Cose Utili dove vige la regola del fare per non fare, disfare per fare di nuovo continuando a non fare. Da qui l’Autore ci fa vedere e capire come funzionano la vita e i rapporti. Non solo lì dentro, in realtà. Ci regala un’atmosfera sospesa, quasi ferma, immobile di idee, di vitalità, di entusiasmi. Cosa ci si potrebbe aspettare di trovare in un luogo-non luogo dove si realizzano quelle cose che poi, in fondo, non servono in realtà a nessuno perché non indispensabili ma semplicemente “un di più”? E anche tra colleghi lì ci si guarda con sospetto. Gli uni si riflettono negli altri sperando di non essere né come gli uni né come gli altri non realizzando di essere, però, tutti uguali. Spenti e moribondi d’animo.

Federico Longo, “Lamentarsi non serve a niente” (Catartica Edizioni, 2022)

Longo con la sua bravura crea un microcosmo dell’assurdo partendo da ciò che, nella realtà almeno in parte, ha intorno senza andare a cercare altrove tanto materiale utile. Una parola che ricorre spesso in Lamentarsi non serve a niente è assuefazione. Scrive Longo, Ora tutto è ammesso e accettato, siamo talmente assuefatti, non siamo in grado di fare distinzioni di merito, non ci sono più regolatori sociali non ci sono più dubbi, come se tutto avvenisse perché deve avvenire, e abbiamo cancellato una parte dei sentimenti, “Siamo talmente impegnati a fare che nulla ci può più fermare, non abbiamo più possibilità di resistere”, diceva Giovanni. Fatti, servono solo sono i fatti, diceva lo scrittore. Non fare tutto quanto quello che mi viene richiesto è l’unica forma piccola di resistenza, certo non eroica ma è l’unica che riesco a mettere in atto (…). Si è talmente persi nella morsa del nulla che persino il non fare niente diventa un atto rivoluzionario, di ribellione e di resistenza! E non manca un intelligente e pensato richiamo a uno dei più famosi passi de Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa quando Longo scrive che nella Fondazione delle Cose Utili (FCU) tutto torna anche se è un movimento apparente, tutto cambia perché tutto resti uguale ma di solito non n resta del tutto uguale, un po’ tende a peggiorare se è possibile e pare proprio sia possibile. È il senso di colpa che fa macinare il denaro alla Fondazione delle Cose Utili: esiste la povertà ma il povero in questione con il lavoro si può uscirne. È solo questione di volontà. Questo, però, non deve far nascere desideri o richieste. Tutto va conquistato e, possibilmente, acquistato.

Federico Longo, “Lamentarsi non serve a niente” (Catartica Edizioni, 2022)

Questo e molto altro c’è all’interno di Lamentarsi non serve a niente che Federico Longo, come già accennato, scrive con arguta ironia e un intelligente cinismo. Un romanzo di circa centosessanta pagine ben scritto, ben ritmato che, per quanta verità racconta, ci si stupisce che sia tutto vero. Leggendo questo libro si ha la stessa sensazione di quando si osserva un quadro, un disegno o un dipinto così somigliante alla realtà che ci meraviglia vederla e osservarla in quel modo. Proprio come se fosse la prima volta. All’Autore vanno dei grandi complimenti per non essere caduto nella facile trappola della macchietta o della battuta troppo facile e scontata. Le immagini, gli episodi che racconta meriterebbero di essere trasformati in fumetto. E tanti, molti sono gli spunti di riflessione che regala al Lettore cui si rivolge come fosse un vecchio amico, un caro confidente e volesse raccontargli un pochino come stanno effettivamente le cose ma senza pretesa alcuna perché tanto lamentarsi non serve a niente. E intanto si ha l’impressione di aspettare Godot.

Incontro con l’Autore

Lo scrittore Federico Longo (Per gentile concessione di Federico Longo)

Come ha scoperto il suo interesse per la scrittura?

Non saprei dire come. Non ho iniziato a scrivere da piccolo e non ho il sacro fuoco della scrittura. È più un passatempo direi, qualcosa che mi piace fare. Qualcosa che riempie il vuoto del tempo. Una cosa, tra l’altro, che non serve a niente, per questo meravigliosa. Vuoto che non deve essere necessariamente riempito con qualche attività, sia chiaro –  anche fare niente o guardare il calcio è passare il tempo in modo molto costruttivo, io credo. È come tenere traccia di qualche passaggio della vita, ognuno lo fa nei modi più disparati. A volte, devo dire, scrivere è anche un po’ salvifico, cioè mi è capitato di pensare: “Cosa faccio ora?, Mi butto dalla finestra o scrivo quella cosa che mi è venuta in mente l’altro giorno?” E per ora ho sempre scelto di scrivere quella cosa.

Come è nato il progetto editoriale di Lamentarsi non serve a niente?

Avevo letto da poco Misteri dei Ministeri, un libro bellissimo, da poco ripubblicato, di Frassineti. Era poi il periodo delle stragi del Bataclan, di Charlie Hebdo etc e avevo letto Uno di noi, la biografia di Breivik, lo stragista nazista norvegese. Da questi elementi, e dal tentativo di scrivere una storia un po’ strampalata, è nata questo libro che in fondo ha una trama molto semplice e succedono cose un po’ strane ma verissime, pur in un contesto complesso, contesto che però non è diverso da quello che molti di noi si trovano a vivere quotidianamente, al lavoro, in famiglia, o altrove.

Federico Longo, “Lamentarsi non serve a niente” (Catartica Edizioni, 2022)

Nel suo libro vi è un grande e oscuro protagonista: il vuoto. Il vuoto dei sentimenti, del pensiero, delle relazioni professionali e affettive, delle proprie coscienze… Quanto c’è di reale in tutto questo? E le tecnologie quanto hanno reso (e rendono) questo vuoto ancora più straniante?

Il reale in generale mi spaventa quando parliamo di reale in un libro o in generale di forme di espressione che lo descrivono, che lo imitano, il reale intendo. Manco sono sicuro che esista il cosiddetto reale. Non lo cerco, non mi interessa, il reale mi fa schifo, oserei dire. Non credo sia importante ritrovarlo in un libro, cioè penso che la cosa più bella che possa accadere a un libro sia di avere molte diverse letture, fantastiche. In un momento in cui ragioniamo spesso in modo binario (mi piace, non mi piace) e, per forza di cose semplicistico, lasciare ai lettori più elementi di riflessione è un gran bel risultato. C’è un bel racconto di Celati, in Quattro novelle sulle apparenze, che si chiama I lettori di libri sono sempre più falsi. Credo sia un bell’esempio di come tutti possiamo avere dei rapporti diversi con la lettura e che questo rapporto muta nel corso del tempo.

Federico Longo, “Lamentarsi non serve a niente” (Catartica Edizioni, 2022)

Tornando alla domanda, il vuoto è qualcosa del presente, è proprio ciò che tentiamo di riempire facendo passare il tempo, scrivendo o facendo altro ad esempio. Lo straniamento non penso dipenda dalle tecnologie (che certo possono favorire, accelerare alcuni processi), penso però che anche le tecnologie possano aiutarci a decostruire la cosiddetta realtà, a farcela essere meno famigliare. Se perdiamo l’abitudine di osservare con i nostri occhi quello che succede fuori dalla finestra oppure dentro di noi, abbiamo qualche strumento in più per comprendere anche ciò che ci può risultare particolarmente ostico o lontano, almeno credo.

Nella nostra realtà, quale potrebbe essere la giusta declinazione o rappresentante della Fondazione delle cose utili?

Non lo so, la fondazione è un’allegoria del reale, in questo senso accetto di confrontarmi con la realtà. La trovo ovunque, al supermercato, in stazione, in ufficio, nelle fabbriche dove ho lavorato, la ritrovo in piazza, al cinema. Se guardo fuori dalla finestra a volte vedo un mondo che non mi appartiene, che mi piace poco e che fatico sempre di più a comprendere. Forse è solo il racconto del mondo a non essere nelle mie corde, ma siamo fatti di racconti e storie in fondo, quindi non posso farne a meno. Come diceva Dickens “Questo mondo mi ha superato,  non lo biasimo ma non lo capisco più”. Posso però provare a scriverne.

Federico Longo, “Lamentarsi non serve a niente” (Catartica Edizioni, 2022)

Perché ha scelto di lasciare anonimo il suo protagonista?

Per lasciarlo un po’ fuori dai giochi, perché mi piace scrivere in prima persona ma la prima persona rischia di prendersi la scena. Non so se sia un libro corale, ma forse il tentativo è un po’ quello, far emergere le varie voci senza veri protagonisti. Poi il personaggio anonimo lo è anche un po’ nei suoi atteggiamenti, nei suoi pensieri, nel suo modo di vedere il mondo (o forse più che anonimo è meditativo, ma questo lo lascio decidere al lettore). In ogni caso è di certo in contrapposizione con Mario che invece è molto deciso, assertivo.

In Lamentarsi non serve a niente ci sono alcuni tratti e alcuni spunti di fantozziana memoria come, ad esempio, la descrizione-presentazione di LUI, sua eccellenza, il mega direttore della ditta. Si tratta di un caso o effettivamente le tragicomiche avventure dell’impiegato italiano più famoso le sono state, in qualche modo, di ispirazione?

Federico Longo, “Lamentarsi non serve a niente” (Catartica Edizioni, 2022)

Sì, di sicuro. Ora non saprei dire quanto consapevolmente, perché come ho detto prima, le suggestioni per scrivere son venute da altri testi ma di certo i Fantozzi, soprattutto i primi, sono dei film eccezionali. In generale volevo un po’ prendere in giro la venerazione per il potere, o per il potente di turno. Spesso diventa una cosa comica o tragica.

Ha mai pensato di tradurre in strisce, in fumetto gli incontri e le (dis)avventure del suo protagonista?

No, non ho la minima predisposizione al disegno e ho sempre odiato disegnare. Penso sia un retaggio della scuola, dove vivevo le ore di artistica come un vero e proprio incubo.

Qual è stato il personaggio o il passaggio della sua narrazione più complesso da creare? E perché?

Devo dire che la costruzione della storia è stata lineare. Ho immaginato un’azienda e alcune figure che di solito ci sono con alcune forzature, penso a quello che ha solo il ruolo di raccogliere le cicche dal cortile o a quello matto che non deve fare nulla se non il matto. Avevo abbastanza chiaro quale sarebbe stato l’epilogo, anche se all’inizio volevo scrivere una sorta di finto trattato (come Frassineti appunto oppure Cavazzoni nella Storia naturale dei giganti)

Federico Longo, “Lamentarsi non serve a niente” (Catartica Edizioni, 2022)

Quali sono gli autori e le opere che hanno formato il suo essere scrittore e lettore?

Ci sono molti autori che, in diversi momenti e per diversi aspetti, ho letto con piacere e a cui mi sento legato. Cito solo un contemporaneo, nato e cresciuto più  o meno nelle mie zone, morto l’anno scorso: Vitaliano Trevisan. Credo che sia l’autore che inconsapevolmente, cioè attraverso i suoi libri e le sue parole, mi ha spinto verso il tentativo di scrivere.

Lei ha lavorato anche in progetti di accoglienza e protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Questa sua esperienza quanto ha influenzato la sua scrittura ma anche la sua vita?

Federico Longo, “Lamentarsi non serve a niente” (Catartica Edizioni, 2022)

Sì certo, ho praticamente vissuto in un centro di accoglienza per due o tre anni. Ci stavo tutti i giorni per molte ore e mi è capitato pure di fermarmi a dormire alle volte. Lì è forse dove ho sperimentato e capito alcune cose, ad esempio la potenza delle storie, la mistica del viaggio con il portato di tragedie, violenza, speranza e rivalsa che si possono incontrare quando i viaggi sono così dolorosi e pieni di forza. È stato un periodo importante perché ero appena uscito dall’Università e ho conosciuto un’umanità che viene raccontata in forme diverse ma spesso stereotipate. Non so perché le voci da dentro le situazioni vengono spesso silenziate, come se tutto dovesse far parte di un grande gioco delle parti. Là non c’erano parti da giocare o recitare, c’erano volontà, bisogni, desideri, paure, curiosità e così via. C’era vita in fuga dalla morte. Aver a che fare con persone, in carne e ossa, con la loro esperienza, il loro bagaglio culturale, i loro bisogni e i loro sogni, poter costruire un percorso con loro, scontrarsi, litigare, mi ha permesso di affrontare meglio le paure, le opportunità, le insicurezze, banalmente le cose della vita. Perché l’accoglienza è sempre un atto biunivoco, se non si viene accolti se non si accoglie a nostra volta. A volte questo tentativo fallisce, altre funziona. A volte si continua ad avere voglia di confrontarsi, altre volte ci si stanca e ci si prende una pausa. 

Federico Longo, “Lamentarsi non serve a niente” (Catartica Edizioni, 2022)

Quali sono i suoi prossimi impegni e progetti editoriali?

Sto scrivendo un libro che ha come protagonista il mondo del calcio, o meglio i protagonisti sono i tic, le fissazioni, i riti, le paranoie, le chiacchiere di chi tifa.

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