La Rubrica online “Piazza Navona” vi presenta Cuore di serpente, il romanzo di Giovanni Montini (Bertoni Editore). Esistenze in crisi e messe in subbuglio a causa di sentimenti espressi e repressi nell’Italia del 1977. E non perdete l’Incontro con l’Autore!
La trama
Estate 1977, San Felice Circeo. Mentre a Bologna e in altre città italiane gli studenti scendono in piazza la giornalista Francesca Bacci e suo marito Andrea invitano lo scrittore Giulio a trascorrere da loro alcuni giorni di vacanza e relax. Giulio accetta ma subito se ne pente. È in piena crisi amorosa con il suo compagno Alberto e in piena crisi creativa. Ad accoglierlo oltre ai padroni di casa vi è anche l’intraprendente Nicoletta che ne approfitta per rigenerarsi di tutti gli eventi mondani della stagione appena trascorsa. Giulio è sempre più inquieto e desideroso di calma. A complicare ulteriormente le cose è l’arrivo di Gabriele, nato da un precedente matrimonio di Andrea e che Francesca ha cresciuto come fosse figlio suo. Tra Giulio e il ragazzo è intesa a prima vista. Gabriele non perde tempo e, nonostante la sua giovane età, conquista lo scrittore gettandolo ancor di più nello sconforto e nella confusione. Tra i due nasce una relazione clandestina anche perché nessuno è ufficialmente a conoscenza dell’omosessualità di Giulio. Tra quest’ultimo e Gabriele si intreccia una rete amorosa sempre più fitta e intricata, stretta da gelosie e timori. Paura di lasciarsi andare e di venire allo scoperto. Gabriele, però, spinge sempre più avanti questo legame sino a un punto di non ritorno che cambierà per sempre le vite e le esistenze di tutti i protagonisti.
Sul libro
Nel settembre 2022 Bertoni Editore pubblica il romanzo Cuore di serpente dello scrittore romano ma torinese di adozione, Giovanni Montini. Si tratta di un libro che traccia una parabola ben precisa di una crisi esistenziale comune a tutti i protagonisti (Andrea, Francesca, Nicoletta e Giulio) ad eccezione del giovane Gabriele per il quale giocoforza della sua giovane età, tutto è lecito, possibile e per il quale è ingiusto farsi spaventare o fermare dai limiti che la vita o noi stessi ci imponiamo. Giulio, il protagonista centrale della vicenda, è uno scrittore che ha superato di poco i quarant’anni, in piena crisi creativa e affettiva non sentendosi più attratto né profondamente innamorato dal suo compagno Alberto. È anche per questo che lo scrittore accetta l’invito dell’amica Francesca a trascorrere un paio di settimane al mare nella sua villa del Circeo. Giulio preferisce prendere delle distanze, fuggire sia dalla situazione che lo circonda sia dai suoi stessi pensieri. L’uomo, però, non ha fatto i conti con il destino che gli fa incontrare Gabriele, un ragazzo che di lì a poco farà vacillare tutte quelle poche forze e sicurezze che gli sono rimaste.
Il giovane è figlio di Andrea e della sua prima moglie morta suicida e che Francesca ha poi cresciuto come fosse figlio suo. In realtà, è proprio da qui, dalla morte della madre di Gabriele che tutto ha inizio. Questa donna, come un fantasma, aleggerà per tutte le pagine del romanzo svelando solo alla fine la verità dei fatti e cosa si nasconde dietro gli atteggiamenti di Francesca, di Andrea e dello stesso Gabriele che ha preferito (e ottenuto) andare a studiare a Londra. È da tutto questo che si deve partire per capire la complessità della vicenda e dei personaggi. Giulio, così, credendo di trovare un po’ di pace, si ritrova invischiato in un’altra crisi di tipo familiare, fatta di abuso di alcolici, liti, gelosie, incomprensioni. E’ lui, a dover fare da ago della bilancia quando quel cuore di serpente ha invaso i suoi sentimenti e i suoi pensieri. Una storia nella storia. E fuori la villa del Circeo l’Italia che lotta e scende in piazza quasi senza farsene accorgere.
C’è tutto questo e molto altro nel romanzo che Giovanni Montini ha scritto con uno stile accattivante, fluido, ordinato pur iniziando con un flashback e terminando con un salto nel futuro. Il cuore, il cuore di serpente appunto, è tutto al centro del romanzo occupandone il corpo principale con estrema agilità ed eleganza. Sì, perché lo stile e la scrittura di Montini lo sono. Così come lo sono le descrizioni, i passaggi più profondi, più intimi dei vari personaggi. Si può dire con certezza che in alcuni momenti sia ovvio lo sguardo che l’Autore posa sul film La piscina, interpretato dai bellissimi Alain Delon e Romy Schneider e diretto da Jacques Deray nel 1969. Ma c’è dell’altro ancora. In alcuni tratti, il romanzo sembra avvicicarsi a Il laureato di Mike Nichols, mentre in altri Giulio sembra persino essere il prolugamento di Gustav von Aschenbach, il protagonista di La morte a Venezia di Thomas Mann innamorato e conquistato dall’adolescente Tadzio. Giulio, infatti, sembra posare sul più giovane Gabriele lo stesso sguardo, la stessa benevolenza, lo stesso affetto nonché abbandonarsi quasi alla stessa sottomissione. Cuore di serpente, così, diviene il romanzo di un animo particolarmente inquieto, di un amore vissuto e creduto ma che la società trova impuro e corrotto. Di qui, lo scontro con la Storia, con il mondo.
Uno scontro purtroppo attuale, vivo, quotidiano. Per questo va a Giovanni Montini un particolare plauso, quello per aver raccontato con dolcezza e delicatezza un amore al di là del genere, dell’età e di qualunque altro impedimento sociale e mentale. E lo ha fatto con eleganza, con uno stile lineare, pulito, sgonfio di moralismi e pieno di sentimento e buonsenso. Ci è voluto un gran cuore per tradurre su carta le tentazioni di un cuore di serpente che si sono trasformate in un amore mai dimenticato. Nemmeno quando… questo potrete scoprirlo solo leggendo il libro! Buona lettura!
Incontro con l’Autore
Come è avvenuto il suo incontro con la scrittura?
Ho sempre amato leggere. Ricordo che da bambino mi perdevo in libreria, girando incantato tra gli scaffali, Lo consideravo un luogo magico, che celasse qualcosa di meraviglioso, che andava difeso. Aprivo un libro a caso e ne aspiravo l’odore (cosa che faccio ancora adesso), inebriandomi. Intorno ai quattordici anni, sentivo che leggere non mi bastava più. Avevo bisogno che le tante storie che si affastellavano nella testa prendessero forma. Mi cimentai con il mio primo racconto: Una giornata di sole. La nipote esaudiva il sogno della nonna di portarla al mare prima di morire. Lo conservo ancora. Era scritto malissimo ma mi lasciò stordito e confuso. Fu quello il momento in cui intuii che la scrittura poteva rappresentare una strada percorribile, in cui avevo qualcosa da dire.
Lei ha studiato antropologia per poi dedicarsi alla moda e alla scrittura. Cosa può dirci di questo suo percorso così ampio e variegato?
Ne ho tratto un grande insegnamento, che mi ha consentito di riconciliarmi con me stesso e con la vita. Ho compreso di come i miei limiti possano trasformarsi in una grande risorsa. Un percorso di crescita soprattutto interiore.
Come è nato il progetto editoriale di Cuore di serpente?
Avevo un’idea che mi frullava in testa da diverso tempo: quanto siamo manipolati dalle persone che ci circondano. E noi la esercitiamo anche sugli altri? Questo è il filo conduttore che mi ha permesso di indagare su un aspetto del nostro quotidiano, a mio avviso, molto importante ma spesso trascurato. Quale valore può avere l’influenza degli altri sulle nostre scelte.
Qual è stato il momento più complesso da affrontare in fase di stesura del romanzo? E perché?
Il finale mi ha procurato tanta sofferenza. Lo scrivevo e riscrivevo continuamente senza mai esserne del tutto soddisfatto. Mancava sempre qualcosa o il taglio che avevo impostato non mi soddisfaceva. Confesso che per questo romanzo avevo pensato a un epilogo diverso. Ma era poco funzionale: i personaggi non potevano esaurirsi in quel modo. Era necessario un colpo di scena che ribaltasse l’intera vicenda, non tanto per sorprendere il lettore, quanto per sorprendere me. Un pomeriggio, ero in metropolitana, accaldato e avvilito, ebbi un’illuminazione. Il finale mi si dispiegò davanti in modo semplice e lineare. Risalii in superficie e di corsa tornai a casa per scriverlo.
Cuore di serpente ha un taglio fortemente cinematografico. Diversi sono i film che riporta alla nostra mente: da Il laureato di Mike Nichols a La piscina di Jacques Deray arrivando persino a sfiorare Morte a Venezia di Visconti e il relativo romanzo di Thomas Mann. Tanti e diversi elementi utili a raccontare una storia ambientata negli anni Settanta ma, in realtà, universale e senza tempo. Ecco: il cinema quanto ha influenzato questa sua opera? E ha mai pensato a una possibile trasposizione di Cuore di serpente per il grande schermo?
Il cinema per me rimane una grande e irrinunciabile passione. Molti lettori mi hanno confidato che leggendo il romanzo è come se fossero stati catapultati all’interno di una pellicola. Non è voluto e nemmeno cercato: è semplicemente il mio modo di scrivere. Qualcuno potrebbe definirlo uno stile. Non spetta a me dirlo. Confesso che prima di buttare giù una scena o descrivere un’emozione, un passaggio, lo immagino prima nella mia testa. Per me, anche un’esitazione ha un valore importante per lo svolgimento della storia. Ha citato capolavori del cinema ma aggiungerei all’elenco altre due opere che mi hanno fortemente influenzato, oltre al film di Deray. Teoremadi Pasolini, per l’ospite inatteso che stravolge il delicato equilibrio degli adulti, e La luna di Bertolucci, per l’ambiguità del rapporto madre-figlio. Sì, mi piacerebbe tantissimo che Cuore di serpente avesse una trasposizione cinematografica e avrei pensato anche al regista: François Ozon. Sono certo che avrebbe la giusta sensibilità e soprattutto il piglio di morbosità che pervade il romanzo.
La struttura del suo romanzo è assai particolare. All’inizio vi è un flashback, poi il corpo centrale e, infine, un viaggio nel futuro e lo svelamento di quel primo (e unico) flashback. A cosa è dovuta questa scelta stilistica e questa impostazione così funzionale allo svolgimento della vicenda?
Quando ho cominciato a buttare giù la struttura del romanzo mi sono ispirato a un cerchio. Non volevo che ci fosse nessuna linea di demarcazione tra l’inizio e la fine. O viceversa. La vicenda doveva confondersi su sé stessa. In fondo un cerchio, o un anello, non ha né un principio, né tantomeno una fine. Cuore di serpente può essere letto anche al rovescio: il prologo potrebbe benissimo trasformarsi nell’epilogo senza intaccare la vicenda. Funzionerebbe altrettanto. Questo era il mio intento.
Il suo romanzo ha al suo centro l’amore. Ma anche il suo contrario. In Cuore di serpente sono raccolti tutti i peccati capitali, vizi e virtù dell’essere umano nel suo essere forte e fragile. In che modo è riuscito a trovare il giusto equilibrio in una così vasta gamma di “colori”, emozioni e sentimenti?
In verità non è stato per niente facile far convergere nel romanzo le varie e variegate sfaccettature dei sentimenti umani. I miei personaggi sono poliedrici e a secondo dell’angolazione in cui vengono osservati cambiano prospettiva. L’escamotage utilizzato è stato quello di dare maggior risalto a tutti i loro aspetti caratteriali. Contraddizioni e contrasti inclusi. Certo, la fragilità e la forza sono comuni ma ho cercato di declinarle a secondo delle circostanze. Mi ha aiutato tanto riflettere sul loro vissuto, al bagaglio emozionale accumulato nel corso del tempo.
Cuore di serpente ha il coraggio e il pregio di raccontare una storia che va al di là di ogni possibile barriera e di un bellissimo e intenso rapporto d’amore omosessuale vissuto con passione e tenerezza, alla ricerca di quella normalità che alla fine degli Settanta è ancora un tabù. In tal senso, quale vuole essere il messaggio del suo romanzo?
Non sono certo se il mio romanzo contenga un messaggio o meno. L’intento era quello di raccontare il labirinto di passioni a cui siamo soggetti, alle contraddizioni della vita e delle scelte che compiamo e fin dove ci si possa spingere nel nome dell’amore. Mi piace più pensare al fatto che ciascun lettore trovi qualcosa in cui possa riconoscersi, perché un romanzo non appartiene solo all’autore ma anche, e soprattutto, a chi lo legge.
Qual è stato il personaggio più complesso da costruire e raccontare? E perché?
Francesca è il personaggio più complesso e semplice allo stesso tempo. È cerebrale ma vive anche di istinti. Darle voce, forma, consistenza, è stata una sfida a cui, nel corso delle varie stesure, mi ha procurato maggior sconforto. Volevo ritrarre una donna volitiva, di carattere, cinica, ma farne trasparire anche la fragilità, le contraddizioni, la paura di essere fraintesa per le scelte compiute, l’esuberanza, l’entusiasmo. Non è stato per niente facile. C’era sempre qualcosa che non mi tornava, che le sue azioni fossero esasperate, a volte disumane. Le ho dato il cognome Bacci in onore dell’artista Edmondo Bacci, fondatore del movimento spazialista, una corrente artistica d’avanguardia, che tendeva a ‘smaterializzare’ l’arte. Sono partito da qui: comporla e ricomporla di volta in volta, ora accentuando una particolarità del suo carattere, ora il suo contrario. Anche se apparentemente il romanzo segue la storia complessa e travagliata di Giulio e Gabriele, lei ne è il personaggio chiave, il motore che mette in moto l’intera vicenda. Inoltre, è un doveroso omaggio a tutte quelle attrici che sono state protagoniste di quella commedia all’italiana considerata dai critici come spazzatura ma a mio avviso geniale. Leonora Fani, Olga Bissera, Lilli Carati, che ho avuto il piacere di conoscere personalmente prima che ci lasciasse.
Quali sono gli autori e le opere che hanno formato il suo essere lettore e scrittore?
Sono tanti e l’elenco sarebbe lunghissimo. Bassani, Pasolini, ma anche Almudena Grandes e Anaïs Nin. Per questo romanzo però ho divorato gli scritti di Patricia Highsmith. Mi hanno aiutato a ricostruire certe atmosfere, il senso di soffocamento che aleggia nell’aria.
Quali sono i suoi prossimi progetti e impegni professionali?
Sono alla stesura finale di un nuovo romanzo che affronta un tema abbastanza scabroso. Poi un racconto sulla perfidia che può scaturire tra colleghi e infine un monologo per il teatro. Cimentarmi in questa nuova avventura è elettrizzante.