La Rubrica online “Piazza Navona” ha letto per voi “Pietre. Storie di provincia” di Vincenzo Elviretti (Catartica Edizioni). Una raccolta di racconti dal sapore amaro la cui protagonista è la provincia, madre e matrigna. E non perdete l'”Incontro con l’Autore”!
La trama
Sette racconti. Questi sono l’anima di Pietre. Storie di provincia di Vincenzo Elviretti. Sette storie e altrettanti protagonisti che si muovono nello spazio ristretto e, in un certo senso, più protettivo della provincia. Una provincia senza nome, senza riferimenti se non la sicurezza degli sguardi e della presenza di chi la abita e la vive. Racconti che narrano vite, speranze, sogni, delusioni, illusioni di uomini, donne, ragazzi che sono parte integrante del tessuto sociale cui appartengono e che, in alcuni casi, difendono anche. Un pittore, un attore, giovani in viaggio, drogati, alcolizzati, sbandati… storie e scorci di vita che pesano come pietre. Sette racconti dal riso amaro figli di una provincia madre e matrigna.
Sul libro
Pietre. Storie di provincia. Questo è il titolo semplice ed essenziale della raccolta di racconti di Vincenzo Elviretti che Catartica Edizioni pubblica nella Collana “Urban Jungle” (2021).
Sette brevi racconti che il Lettore riceve e accetta come gli fossero lanciati, così, di getto. Come una pietra dura e solida ma che non fa male. Anzi. È una pietra che costruisce quella di Vincenzo Elviretti. E tante pietre, tante storie danno vita a questa antologia che ci fa vivere il bello e il brutto, i difetti e i pregi di una vita in provincia. Apparentemente più trattenuta, più silenziosa, più tranquilla e dosata per poi scoprirsi scatenata, furente, furiosa, appassionata, disinibita, senza regole.
A tal proposito, Alberto Leoncini nella sua prefazione scrive che in Pietre. Storie di provincia
si fanno i conti anche con i tratti meno edificanti e più oscuri della provincia: un modo per esorcizzarli deformandone i tratti come maschere rituali sperando poi di poterle togliere terminando tutto in una risata liberatoria e, perché no, una vasca nel viale del centro. Il peggio sembra essere passato. Un paese di borghi e città
Ed è così che, con vivo interesse, il Lettore scopre le storie del pittore Ninni e della sua ribellione a una vita ingiusta e dispettosa, della sorte del tossicodipendente Billo e della comitiva in preda allo sballo offerto da un mix di droga e alcool, a una surreale e incredibile morte sul palcoscenico, il destino di Giacomo, pilastro di una Polisportiva di calcio che ha trascorso tutta una vita cercando di far parte di una squadra così da sentirsi meno solo e utile, gli scazzati che trascorrono gran parte del tempo al “baretto” a parlare di tutto e di niente, la banda che parte per un gemellaggio in Francia tra sogni, incubi e realtà. In tutte queste storie batte il cuore dell’umanità. Sì, perché Elviretti è riuscito (alla grande!) a rendere l’indolenza, la noia, la fuga dalle abitudini dei suoi abitanti della provincia. Persone che, però, non vogliono fuggire fisicamente dal luogo cui appartengono facendolo come possono: bevendo, suonando, dipingendo, drogandosi… Si tratta di una sorte di tradimento della mente ma non del corpo, se così si può dire. L’Autore ricalca alla perfezione questo “disegno”, questo pensiero attraverso questi suoi scritti già pubblicati circa dieci anni fa e che oggi prendono una nuova vita e nuova luce. Eppure, restano attuali. Infatti, leggendo Pietre. Storie di provincia non sembra essere passato del tempo dalla sua prima stesura. È uno di quei miracoli della lettura e della scrittura: a volte è senza tempo perché su di esso è sospeso e in perfetta armonia.
Dal canto suo il Lettore non può non diventare amico di Ninni, Giacomino, Billo e di tutta la banda di scazzati che anima la raccolta di racconti. E cosa ancora più interessante: non li giudica divenendo egli stesso parte del racconto. Una presenza tacita e taciturna ma palpabile. Forse perché conosce ed è parte di quella provincia. Forse perché è lontano da quella provincia cui, invece, avrebbe tanto voluto rifugiarsi ed esserne parte. Arrivando, però, a una sola conclusione: non è tanto importante l’ambiente poiché nessuno è al sicuro in nessun luogo e, come scriveva il drammaturgo americano Tennessee Williams, ognuno è solo nei confini della propria pelle.
Proprio per questo Pietre. Storie di provincia ha il suo peso specifico. Proprio per questo le storie e le vicende che racconta con estrema semplicità e con uno stile diretto, privo di fronzoli inutili, di troppi ghirigori e di luoghi comuni diventano pietre solide su cui poter poggiare la propria vita e osservarla da un punto di vista privilegiato: da pari a pari, con tutto il carico di aspettative, delusioni, speranze, sorrisi, amarezze, buoni propositi e fallimenti che ci appartengono. In fondo, non c’è luogo dove una banda di scazzati e di animi troppi speranzosi non si riunisca per cantare a squarciagola in compagnia di una chitarra, birra e bevande.
Incontro con l’Autore
Come è nato il progetto editoriale di Pietre. Storie di provincia?
È nato innanzitutto grazie alla disponibilità di Giovanni Fara e della sua Catartica Edizioni.
Mi è stata data la possibilità di ripubblicare il testo, uscito qualche anno fa con una differente casa editrice, di quelle cosiddette a pagamento. Quella scelta fu dettata da frettolosità, ingenuità e inesperienza, e per anni mi sono avvilito pensando di aver gettato alle ortiche un lavoro che ho sempre ritenuto valido. Quando l’ho fatto leggere a Giovanni mi ha mostrato subito il suo interesse e ha aperto uno spiraglio anche con la consapevolezza che si sarebbe trattato di una ripubblicazione. Una volta che abbiamo avviato il lavoro di editing devo dire che è stato molto facile raggiungere il risultato finale, che mi sembra molto buono anche a livello di grafica (grazie al lavoro di Salvatore Palita che ha rimaneggiato una mia foto scattata presso il parco di divertimenti “Italia in miniatura”) e di impaginazione (scelta del carattere, qualità della carta, ecc.).
In che modo crea l’architettura narrativa e sviluppa la costruzione dei suoi personaggi?
I personaggi di Pietre sono differenti tra i i vari racconti. Alcune storie sono ambientate in decenni diversi (a cavallo del nuovo millennio), ma l’ambientazione è simile per tutte e cioè, come si può evincere dal sottotitolo, la provincia. Provincia dei piccoli paesini italiani più che delle cittadine di qualche decina di migliaia di abitanti, entroterra più che zone costiere, montagna più che pianura. Provincia intesa non come provincialismo, anzi, questo è più facile trovarlo nei grossi centri a mio modo di vedere perché in quest’ultimi spesso latita una caratteristica che rappresenta quantomeno un appiglio alla socialità condivisa, e cioè, l’autenticità. Nonostante siano passati diversi anni mi ricordo che per sviluppare i racconti mi appuntavo su un taccuino (che dovrei avere ancora in giro per casa), lo scheletro della storia e qualche sfumatura dell’ambientazione. Partivo da quelle poche righe e poi grazie alla fantasia e a pochi ricordi del mio vissuto o di cose che avevo sentito raccontare, sviluppavo il tutto.
Pietre. Storie di provincia ha avuto una sua prima pubblicazione qualche anno fa. Oggi torna in una nuova veste. Cosa differenzia le due pubblicazioni?
Innanzitutto una nuova disposizione dei racconti, che in questa edizione si conclude con La banda, mentre in quella precedente il libro si concludeva con Scazzati. Poi una maggior cura all’editing che per forza di cose, in una pubblicazione a pagamento viene sempre fatto in maniera molto superficiale. Ultimo ma non ultimo, un “affinamento” della narrazione derivante dal fatto che i racconti sono stati riscritti nel corso degli anni diverse volte.
Nei suoi racconti i protagonisti sono tutti degli antieroi ben consapevoli dell’ambiente in cui vivono. Perché ha scelto di dare questo volto ai suoi personaggi? E perché ha preferito ambientare le sue storie tutte nella provincia?
I protagonisti di Pietre fanno quasi tutti una brutta fine. Scrissi Pietre in circa un mese, ero all’estero e mi ero da poco laureato. Mi trovavo in Irlanda, mi ero concesso una sorta di viaggio premio, speravo di trovare occupazione per prolungare il soggiorno ma, con il fatto che parlavo poco o niente l’inglese e che non avevo esperienze pregresse, non riuscii nell’intento. Dovevo trovare il modo di “passare il tempo”. E così iniziai a buttare giù i racconti. Al tempo avevo un rapporto di amore/odio con la provincia, ci avevo vissuto la maggior parte dei miei anni di allora e mi sembrava tutto molto asfissiante. Volevo scappare. Poi, però, sono rimasto. Ora diciamo che ci ho fatto pace. Questa mia “negatività” dell’epoca, si proiettò completamente sulle storie di Pietre, chiedo perdono ai suoi personaggi se li ho fatti morire o soffrire.
Perché ha scelto di dedicarsi soprattutto alla creazione e alla scrittura di racconti?
Per Pietre, che poi è il primo lavoro a cui mi sono dedicato, scelsi la forma racconto perché non era nelle mie corde (leggasi esperienza) di scrivere un romanzo. Fattore non secondario è stata la questione che per la costruzione delle storie avevo bisogno di velocità di narrazione, di impulsività descrittiva, di emotività. Ed ero convinto che queste peculiarità si sarebbero adattate bene alla forma di un racconto breve. Però non è che abbia scritto solo racconti in vita mia, anzi. Ad esempio Il vento, precedente pubblicazione edita sempre da Catartica, è un romanzo breve. Vi rivelo pure che ho scritto una romanzo vero e proprio che tengo in un cassetto da anni, e che ho intenzione di rivedere e correggere non appena avrò il tempo per farlo.
Dall’idea alla fase di stesura: quali sono le difficoltà nel creare una storia, dei personaggi funzionali e ben definiti nello spazio, se vogliamo, “limitato” di un racconto?
Io non è che ci vedo molti limiti alla forma racconto. Addirittura ultimamente mi diverto a scrivere storie di 101 parole che pubblico su una rivista locale a cadenza mensile. Nella narrativa il racconto, così come un romanzo, una novella, rappresentano una veste a un’espressione di fantasia; sta all’autore scegliere quale meglio si adatta a quel che si vuole raccontare.
A quale dei suoi personaggi sente di essere più legato? E perché?
A Billo, protagonista della seconda storia di Pietre. Ho chiamato così pure l’orsacchiotto di mio figlio e lui lo chiama allo stesso modo. Sono inseparabili, ci dorme insieme tutte le notti, è il suo orsacchiotto del cuore.
Per i suoi racconti da cosa o da chi trae ispirazione?
È una domanda difficile. Temo di essere vago e generico. Mi ritengo un curioso e posso dire di trarre ispirazione sia dal vissuto personale che da tutto quel che mi circonda.
Quali sono i suoi Autori e i suoi libri di riferimento?
Quando scrissi Pietre ero fortemente attratto dall’opera e dal personaggio di Pier Vittorio Tondelli. Chi lo ha letto può facilmente scorgervi dei paralleli sia per i temi trattati che per il ritmo di scrittura. Nella vita sono stati molti gli autori che mi hanno influenzato. Anni fa leggevo molto di più, negli ultimi tempi, soprattutto per colpa degli impegni “da adulto”, non trovo lo spazio che desidererei dedicargli. Comunque, i miei autori di riferimento sono sempre stati Jack London, John Fante, Beppe Fenoglio, Niccolò Ammaniti, Italo Calvino, Dino Buzzati, e altri.
Quali sono i suoi prossimi progetti editoriali?
Ho scritto una storia a quattro mani con una mia amica, si chiama Licia Patrizi, e più in là vorrei proporla a Giovanni di Catartica, semmai fosse interessato. Idealmente andrebbe a concludere una sorta di “trilogia della provincia”, iniziata con Il vento. Come accennavo prima, ho un romanzo scritto tempo fa, che però necessita di profonda revisione e ancora non ho ben in mente quando e come pubblicarlo. Infine, anche se negli intenti questo dovrebbe essere più un progetto legato all’arte fotografica che alla letteratura, una volta che avrò finito di scrivere 101 storie di 101 parole, (ognuna delle quali trae ispirazione da una mia foto), credo che unitamente potrebbero essere meritevoli di una pubblicazione editoriale.